giovedì 29 settembre 2011

I lupini della domenica

Quando la domenica, in estate, si partiva alla volta del mare era ineluttabile passare dal famigerato “Ponte Primosole”; ancora prima di iniziare il viaggio papà cominciava a paventare, forse solo per esorcizzare, una lunga, duplice, fila di auto arroventate (il climatizzatore non era stato ancora concepito) che, a passo d’uomo, aspettavano di arrivare all’irraggiungibile semaforo collocato al di là del ponte, passato il quale, come d’incanto, la via del mare correva veloce. Che fare per ingannare il tempo? Dai vapori d’asfalto bollente, tra le file di macchine fantozziane, come un miraggio, compariva dal nulla un omino vociante che offriva, in piccole buste di plastica, lupini salati. Con il caldo, direte voi, chissà che arsura: ed invece no i lupini erano buoni e ci accompagnavano gustosi, come passatempo alimentare, al di la del semaforo. Con l’avvento delle rotonde e la scomparsa dei semafori il mestiere di venditore di lupini è andato progressivamente scomparendo ma in Sicilia, a Reitana una piccola frazione di paese, vicino la verghiana Aci Trezza, è ancora in funzione un piccolo stabilimento che produce lupino salato da asporto.
Lupinus luteus
E’ , infatti, dal 1500 che in questa zona etnea, caratterizzata da una serie di mulini collegati tra loro da una via d’acqua, si coltiva il lupino. Il genere lupinus, appartenente alla famiglia delle Fabaceae (Leguminosae) è rappresentato in Italia da diverse specie spontanee ma le forme coltivate sono sostanzialmente tre: Lupinus albus (fiore bianco), Lupinus luteus (fiore giallo) e Lupinus angustifolius (fiore blu), quest’ultimo diffuso allo stato spontaneo sulle pendici del massiccio etneo. La specie, tuttavia più coltivata nell’area Mediterranea a scopo agricolo è il lupino bianco che fino alla metà del secolo scorso, considerata l’elevata adattabilità della specie ai terreni sabbiosi, veniva impiegata come pianta da sovescio nei vigneti dell’Etna;  il legume secco, addolcito con un procedimento di ammollo in acqua fluente, ancora oggi viene utilizzato per l’alimentazione umana. I semi di lupino sono ricchi di proteine (fino al 40%) hanno una buona quantità di olio ma contengono un alcaloide molto amaro e pertanto, prima di essere consumati devono essere “sanati”. Presso lo stabilimento del signor Chiarenza, la cui famiglia si dedica alla produzione di lupini da 250 anni, i legumi, seccati al sole sulla pianta e  raccolti in luglio, vengono posti dentro ceste in alluminio collocate all’interno di una vasca dove scorre acqua proveniente da una sorgente vicina.
L’ammollo dura dai cinque ai venti giorni durante i quali l’amaro dei semi progressivamente diminuisce; i lupini ammollati vengono, poi, posti all’interno di grandi caldaie dove si procede alla cottura a cui segue un nuovo periodo in immersione. Al momento della vendita vengono mescolati con sale e farina per renderli più gustosi. Di domenica, è tradizione per i paesi vicini a Reitana, andare dal signor Chiarenza a comprare lupini da consumare come passatempo davanti la tv del pomeriggio.                     

I popoli nordici, al contrario dei meridionali, hanno preferito sfruttare le prerogative estetiche del fiore di lupino creando splendidi ibridi partendo da specie nord americane come Lupinus polyphyllusLupinus perennis e Lupinus hartwegii.
A ciascuno il suo.

sabato 24 settembre 2011

Opuntia ficus indica: il pane dei poveri

Il fico d’india, pianta emblema o, se volete, stereotipo della Sicilia da cartolina, è tra le specie vegetali più resistenti agli stenti delle lunghe estati meridionali ed è per questo che è largamente usata, in Sicilia sia come pianta da frutto che come specie ornamentale capace di valorizzare gli angoli più inospitali dei nostri giardini. Opuntia ficus indica, questo è il suo nome botanico, pur caratterizzando in modo inconfondibile il paesaggio siciliano è, tuttavia, specie di origine incerta. La sua notevole diffusione sugli altipiani del Messico e su tutto il versante occidentale della Cordigliera delle Ande farebbe supporre un'origine sudamericana della specie e di conseguenza, una sua introduzione in Europa ad opera degli spagnoli; questa ipotesi, tuttavia, contrasta con la documentata presenza del fico d'india in aree desertiche dell'Asia e dell'Africa del Nord in epoche antecedenti la scoperta dell’America. Il nome del genere Opuntia, ad esempio, sembrerebbe derivare dal nome dell'antica città greca di Oponzio od Oponte, presso la quale il fico d'india era coltivato. Quel che è certo, indipendentemente dall'origine, è che il fico d'india si è rapidamente diffuso in aree geografiche caratterizzate da siccità e da condizioni pedologiche proibitive per molte specie vegetali. La specie è, infatti, una succulenta capace di una lunga autonomia idrica essendo dotata di organi carnosi in grado di imbibirsi d'acqua e di robuste radici atte a disgregare la roccia più resistente alla ricerca di umidità nel terreno. Il suo habitat ideale è l'ambiente desertico, arido e pietroso, caratterizzato da piogge rare e temperature mai al di sotto dello zero. Non stupisce, pertanto, la sua notevole diffusione nei paesi del Bacino del Mediterraneo dove la specie si è così ben inserita da apparire come un elemento tipico del paesaggio vegetale. Da un punto di vista botanico il fico d'india è una dicotiledone appartenente al genere Opuntia che è il più vasto e diffuso della famiglia delle
Cactacee.


La pianta adulta ha, di norma, portamento cespuglioso e, in alcuni esemplari, arborescente ed è formata da un insieme di articolazioni carnose dette botanicamente cladodi che costituiscono le cosiddette pale del fico d'india. Le pale sono i rami della pianta divenuti verdi per svolgere attività fotosintetica, capaci di accumulare, nel tessuto fibroso, notevoli riserve idriche. Nel passato le pale costituivano un diffuso alimento per il bestiame e spesso, in estate, venivano disposte intorno al tronco di specie arboree di pregio come riserva idrica d'emergenza. Le vere foglie della pianta sono di forma uncinata, poco visibili e disposte alla base delle gemme che ricoprono la superficie delle pale. Dopo circa un mese dalla loro comparsa diventano gialle e cadono, lasciando sporgere gli aculei posti a difesa delle gemme.
I fiori sono ermafroditi e vengono portati in prevalenza sulle pale di un anno. Sono molto vistosi e hanno petali di colore giallo zolfo, cangiante al rosso prima della sfioritura. Il frutto è una bacca zuccherina a polpa succosa, ricca di vitamine e piena di piccoli e durissimi semi. La buccia è cosparsa, come le pale, di piccoli noduli coronati da spine ed ha colore variabile dal rosso al giallo paglierino. E' proprio grazie alla bontà dei frutti e alla facilità di conseguire buone produzioni con poche cure colturali che questa specie si è diffusa come coltura agraria in molte aree marginali del Mediterraneo.

In Sicilia, per esempio, i frutti del fico d'india, freschi o più spesso trasformati in mostarda o in sciroppo, hanno costituito per intere generazioni di contadini un alimento abituale tanto che, oltre un secolo fa, si parlava del fico d'india come del pane dei poveri; dai frutti, mediante fermentazione alcolica del Saccaromices opuntiae, si otteneva la produzione di alcool e dalla pressatura dei semi si ricavava un olio commestibile. Sulle pale, poi, si praticava l'allevamento di un insetto, il Dactylopius coccus dal quale si estraeva l'acido carminico, detto commercialmente "rosso di cocciniglia", utilizzato come colorante. Se, in passato, venivano raccolti prevalentemente i frutti prodotti su piante spontanee, oggi la coltivazione del fico d'india viene svolta in impianti specializzati ubicati in regioni vocate come Sicilia, Calabria, Sardegna e Puglia. Dal mercato sono praticamente scomparsi i frutti estivi che vengono consumati prevalentemente a livello locale; la produzione di miglior valore commerciale è quella autunnale ottenuta con una particolare tecnica di potatura verde detta " scozzolatura ". Il fico d'india, infatti, se privato, in giugno, di tutti i fiori e delle giovani pale emesse all'inizio della primavera ha la prerogativa di rifiorire a distanza di circa un mese dall'intervento. La nuova fioritura porta a maturazione frutti tardivi ( bastardoni) che presentano caratteri organolettici di pregio. Infatti, mentre i frutti che derivano dalla fioritura ordinaria maturano ad agosto e, avendo compiuto il ciclo produttivo nel periodo di maggiore siccità sono generalmente piccoli, a polpa scarsa e piena di semi, i frutti scozzolati maturano normalmente nel periodo delle piogge, dalla fine di settembre sino a Natale, e sono perciò più ricchi di polpa, più voluminosi, coloriti e profumati. Tra le varietà siciliane più diffuse: la Surfarina, a polpa croccante di colore giallo zolfo, la Sanguigna a frutto rosso e la Bianca. Esistono anche la varietà inermis, senza spine, ed una varietà senza semi, ma ambedue hanno riscosso scarso successo per il frutto di qualità non eccelse.

mercoledì 21 settembre 2011

Quiz botanico settembre 011

Cinque indizi per una specie


Prendo nome da una figura mitologica capace di mutarsi in ogni cosa;

Nello specifico sono simile ad un carciofo;

 La nazionale di rugby sudafricana mi porta sul cuore;

 La casa di produzione della cantante Antonella Ruggero si chiama come me;

 A San Sebastiano, presso Torino, il Marchese di Spigno ne aveva una collezione ricchissima;

venerdì 16 settembre 2011

Chorisia: falso kapok a chi?

Quando arriva settembre, dopo un’estate passata a sudare, tutti speriamo che il tempo rinfreschi e finalmente si torni a dormire. Quando arriva settembre dai addio alle vacanze perché tra riunioni, esami integrativi ed avvio delle attività didattiche il tempo del lavoro è arrivato. Quando arriva settembre e non ne puoi più di piante malconce, secche, intristite dal troppo caldo e dalla mancanza di pioggia ecco che una pianta ti riconcilia con la natura. E’ la chorisia, uno spettacolare albero di origine tropicale che in settembre, dalle nostre parti, comincia a fiorire. Giri lo sguardo su uno spartitraffico anonimo e una cascata di "bei fior carnosi", come dice la canzone, ti fa desiderare un’ immediata partenza per l'equatore. E’ un albero dalla chioma aperta e ben ramificata con foglie palmate e a margine seghettato, presente lungo le aree costiere del Mediterraneo. Ce ne sono due specie in coltura: Chorisia insignis (grandi fiori color crema) e Chorisia speciosa (fiori rosa screziati di giallo); entrambe le specie fanno parte della famiglia delle Bombacaceae e sono originarie rispettivamente di Perù e Brasile ma diffuse in tutta l’America tropicale dove sono note con il nome di falso kapok o "albero bottiglia" per il caratteristico rigonfiamento del tronco in cui si raccoglie acqua e sostanze di riserva per superare i periodi di siccità.

E questo spiega il trucco di tanta esuberanza in un periodo dell’anno in cui, se ancora non piove, le altre piante sono allo stremo delle riserve idriche. In Argentina, la specie è chiamata, per questo, “palo borracho” (albero ubriaco) per la somiglianza del tronco ad una botte di vino.
Tutta la pianta è quasi interamente ricoperta di corte spine, usate come strumento di difesa, nei luoghi d’origine, dagli animali predatori e nei nostri giardini, dai graffitari. Non le toccate, per dabbenaggine, come ho fatto io; hanno una punta che si stacca maligna conficcandosi in un fiat nel tuo dito maldestro. Dalla fioritura si producono grossi frutti verdi, a salamotto,  a lungo persistenti sulla pianta rimanendo appesi ai rami nudi per tutto l' inverno anche in assenza delle foglie.
Raggiunta la maturità i frutti esplodono disperdendo i semi che sono immersi in una lanugine leggera simile al kapok, usata per imbottire cuscini e materassi. La specie è indicata, infatti come “falso kapok" perché produce una fibra di  qualità più scadente rispetto a Ceiba pentandra altra bombacacea africana che produce il kapok più pregiato. E’ una fibra tessile particolare: è idrorepellente, elastica e otto volte più leggera del cotone; dotata di buone proprietà isolanti si presta bene per fare imbottiture di piumini, cuscini, salvagenti e come isolante.
Ed è proprio per utilizzarne la fibra che le chorisie sono arrivate in Italia, a Palermo, presso il Giardino Coloniale dell’Orto botanico, intorno al 1930, e poi, da Palermo, dopo avere abbandonato le velleità di sfruttamento agricolo, si sono progressivamente diffuse nei giardini delle aree costiere dell’isola per le indubbie caratteristiche estetiche e per la facilità di riproduzione; il seme germina, infatti, rapidamente ma si ottengono piante molto variabili geneticamente in quanto le due specie  si ibridano con facilità, creando esemplari sempre diversi per fioritura (colore) e spinosità del fusto. Gli esemplari più belli in assoluto, per me, sono quelli presenti a Palermo lungo il viale delle Chorisie presso l’Orto botanico, nella sezione del Giardino Coloniale. Anche a Catania ci sono splendidi esemplari di chorisia relegati a  fare da  recinzione al parcheggio di una pizzeria;  resti di quello che era il giardino di una villa nobiliare degli inizi del 900.
Secondo la recente revisione tassonomica operata da GRIN (Germplasm Resources Information Network) anche le chorisie son classificate come ceibe e si ritrovano dunque, con una nuova identità botanica chiamandosi rispettivamente Ceiba insignis e Ceiba speciosa; a rigor di logica, è evidente che non è più lecito dar loro del “falso kapok”; potrebbero sempre dire : falso kapok, a chi?

martedì 13 settembre 2011

Cruciverba botanico "Acaena"

Criciverba botanico "Acaena"

Orizzontale: 2: iniziali della specie chiamata anche Digitaria insularis; 4: foglia rigida, appuntita, pungente; 7: frutto non ancora maturo; 10: Triticum dicoccum; 11: iniziali di botanico britannico che dal 1860 al 1890 fu bibliotecario dell'erbario dei Royal Botanic Gardens, autore del testo The botany of the Speke and Grant Expedition; 12: insieme al cataratto è uno dei vitigni autoctoni siciliani da cui si prepara il Marsala; 14: l’aglio.. inglese; 15: Attilio Zuccagni; 16: Associazione Agraria; 17: iniziali dell’unica specie del genere Ubium; 19: nome comune del Pinus roxburghii; 21: International Society of Arboricolture; 22: in botanica di dice dell’ovario posto più in alto rispetto agli altri organi fiorali;
Verticale: 1: varietà di Ficus carica che prende il nome da una città del Marocco affacciata sull'Oceano Atlantico, nella regione di Doukkala-Abda, ; 2: Brassica oleracea; 3: bagnare una pianta con una soluzione antiparassitaria; 4: iniziali del nome botanico della specie nota come “Vischio del ginepro”; 5: iniziale del nome del botanico italiano Agosti (1715-1785); 6: parassita eterotrofo la cui alimentazione è completamente dipendente dal suo ospite; 8: rizomi di Atracrylodes lancea; 9: malattia del pesco determinata da fungo Taphrina deformans; 11: mosca delle olive; 13; iniziali del nome botanico di un arbusto sempreverde noto agli inglesi come Hollyleaf Sweetspire; 15: Achillea clypeolata Sm.; 18: abbreviazione standard medico francese e botanico Ludovic Savatier; 20: il centro.. di Atriplex; 21: genere della famiglia delle Compositae a cui appartiene la specie ambondrombeensis;


Soluzione

sabato 10 settembre 2011

Orto botanico di Palermo

Un luogo di ..."perdizione botanica"
 
Per un appassionato del verde visitare un Orto Botanico è un' esperienza ben diversa dal visitare un parco o un giardino o una villa pubblica o privata. Infatti, in un parco o in un giardino gli elementi di interesse sono essenzialmente di natura estetica e paesaggistica. Un Orto Botanico è invece un museo all'aperto dove il clima, la storia e la ricerca scientifica concorrono a selezionare collezioni vegetali uniche ed irripetibili. L' Orto Botanico di Palermo per le particolari condizioni climatiche e per il ruolo scientifico e culturale svolto in quasi due secoli di storia è, oggi, uno dei più prestigiosi Orti Botanici italiani ed europei. Da un punto di vista vegetazionale, infatti, la città, che è posta all'estremità occidentale della Sicilia, è un ponte di passaggio tra la vicina Africa e l'Europa. L'assenza di gelo, la vicinanza del mare, il clima temperato in inverno, rendono possibile la contemporanea presenza, su una superficie di circa 10 ettari, di 12000 specie provenienti da climi e continenti diversi.  Un vero luogo di .. perdizione botanica. I maestosi esemplari di Ficus magnolioides, le grandi sterculie, le Chorisie, le Erithryne, le palme coesistono nell'Orto con annosi esemplari di querce, di platani ed allori. Passeggiando, in penombra, per i viali dell'Orto ciò che più colpisce il visitatore, insieme alla innumerevole varietà di specie presenti, è la  vegetazione lussureggiante ed il prorompente sviluppo di rami, liane, tronchi e radici di specie tropicali e sub tropicali qui perfettamente acclimatate. Ne è un esempio emblematico il maestoso esemplare di Ficus magnolioides Borzì presente ai margini dell'Orto che con la sua chioma dalle grandi foglie occupa una superficie di quasi 1000 metri quadrati. L'esemplare ha vigorose radici superficiali serpeggianti sul suolo e dai suoi rami scendono radici aeree che li sostengono formando robuste colonne.
Un po’ di storia
L'Orto Botanico viene istituito a Palermo nel 1779 dall'Accademia dei Regi Studi insieme alla cattedra di Storia Naturale e Botanica. Il suo scopo è essenzialmente didattico dovendo servire per la coltivazione dei “semplici” cioè delle piante medicinali utilizzate come supporto pratico allo studio delle scienze. Dopo un primo periodo trascorso presso una sede periferica, nel 1789, viene scelta come sede definitiva per l'Orto una vasta area accanto al giardino pubblico di Villa Giulia già sorto, nel 1777, fuori le mura della città, in prossimità del mare. L'Orto viene così inaugurato nel 1795 ma i lavori di completamento procederanno nel corso del secolo e sino alla metà dell'ottocento, prima con la realizzazione di un acquario e degli edifici del complesso architettonico del'Orto, poi con la ricostruzione in ferro fuso della serra chiamata " giardino d'inverno" in sostituzione di una precedente serra in legno e vetro donata alla fine del 700 da Maria Carolina moglie di Ferdinando Borbone re di Napoli e di Sicilia.

Serra Carolina
L'Orto Botanico ha subito successivi ampliamenti e  oggi si compone di tre sezioni distinte.
Il sistema di Linneo che costituisce il nucleo originario dell'Orto Botanico, si sviluppa su una superficie rettangolare posta di fronte al Ginnasio e suddivisa in aiuole geometriche dove le specie seguono la classificazione botanica linneana. A questo nucleo storico appartengono l'acquario, il boschetto esotico insieme alle serra Carolina.
Il giardino coloniale istituito nell'ambito dell'Orto nel 1911 con lo scopo di introdurre specie esotiche capaci di adattarsi al clima dell'Italia Meridionale. E' al giardino coloniale che si deve l'introduzione in Europa di molte specie oggi diffusamente presenti in coltura come il mandarino (Citrus deliciosa) introdotto a Palermo nel 1821; il nespolo del Giappone (Eryobotrya japonica (1827) e l'acclimatazione di specie esotiche coma il banano, l'avocado (Persea gratissima),  Annona cherimolia, e la coltura del cotone e dei suoi ibridi. Infine, il sistema di Engler che, introdotto nell'Orto tra il 1928 e il 1939 occupa una vasta area posta a sud-est. In esso le specie vengono suddivise per famiglie, raccolte in grandi aiuole irregolari, separate da viottoli, che presentano nel complesso una composizione informale molto distante dalla rigida disposizione linneana. Considerando che è veramente impossibile, se non con molte e successive visite in stagioni diverse, apprezzare completamente le mille meraviglie botaniche di questo Orto giardino vi suggerisco un breve elenco di angoli da non perdere:


Acquario; ad esso si arriva percorrendo, dal Ginnasio, il viale centrale. E' una grande vasca circolare divisa in 24 settori regolari che ospita varie ninfee e il bellissimo Loto indiano o Nelumbo nucifera dalle grandi foglie peltate tondeggianti e dai fiori estivi di grande diametro e di colore rosato. Intorno all'acquario una fitta cortina di bambù che lo separano dalla collina esotica. Qui su una collinetta artificiale, accanto ad una capannina di canne, vegeta un monumentale esemplare di Dracaena draco o sangue di Drago. E' una specie originaria delle Canarie caratteristica per l'intreccio fitto dei rami che forma una chioma compatta. Opuntie e altre specie xerofite fanno da cornice alla palude del boschetto esotico, lussureggiante di papiri e piante acquatiche. Dal viale delle palme si accede alla Serra Carolina che ospita all'interno numerose specie d'interesse botanico tra le quali, due esemplari di Coffea arabica provenienti dai monti dell'Abissinia e che maturano in estate frutti rossi contenenti due semi dal caratteristico solco verticale; Parmentiera alata detta
Parmentiera alata
anche albero dei bicchieri dai grossi frutti attaccati al tronco utilizzati, vuoti, come utensili da cucina; Pimenta acris o falsa cannella per il particolare odore emanato dalle foglie stropicciate. Alle spalle della serra Carolina nella sezione del Giardino coloniale è il magnifico Viale delle Chorisie nelle due specie  Chorisia insignis  e C. speciosa. La Chorisia è una bombacacea originaria del Sud America denominata falso kapok o albero bottiglia per il caratteristico rigonfiamento del tronco ricoperto da fitti aculei. La fioritura e' autunnale con grandi fiori crema o rosa screziati di giallo. Caratteristici sono i frutti grossi e persistenti che disperdono con i semi una lanugine leggera simile al kapok. La specie è sta intodotta all'Orto nel 1896 e nel corso del '900 si è diffusa nelle aree costiere siciliane. Tra le molte curiosità botaniche presenti  nella zona del Giardino coloniale cercate Sapindus mukorossi var. carinata o albero del sapone caratteristico per i frutti ad alta concentrazione di saponina e uno spettacolare esemplare di Cycas revoluta che, donato all'Orto dalla regina Carolina, si ritiene uno dei primi esemplari introdotti in Europa. 

Sito ufficiale
Bibliografia:
F.M.Raimondo, P.Mazzola, A. Di Martino. L'Orto Botanico di Palermo, Editrice Arbor, 1993, Palermo.
A.A., Guida all'Orto Botanico di Palermo, Dharta Editrice, 1990. Palermo

Ultima visita il 7 maggio 2012, domenica pomeriggio, costo del biglietto di 5 euro

giovedì 8 settembre 2011

Soluzione Cruciverba botanico "Abutua"

Orizzontale: 1: Genere delle Amaryllidaceae  simili alle Agavi che comprende grandi piante americane coltivate in luoghi secchi e caldi riconoscibili per il fusto formato da un ciuffo di grandi foglie; 8: di medicamento estratto da organi vegetali  (es. tubero di ciclamino) usato negli avvelenamenti in quanto provoca vomito senza altri effetti collaterali; 9: involucro esterno, molto ispessito e resistente del granulo pollinico; 10:classiche mele inglesi utilizzate per produrre il sidro;12: Nel nome specifico del corbezzolo vuol dire.. mangiare; 13: di organo botanico senza spine o aculei; 16: querce che producono ghiande dalla caratteristica calotta a squame arricciate; 17: Iniziali di botanico statunitense  che nel  1933  pubblicò insieme a  Sloane  il libro “The Stapeliaeae, an introduction to the study of this tribe of Asclepiadaceae considerato  l'opera più importante per la conoscenza di questo genere di piante succulente (Alain Campbell) ; 18: albero della famiglia della Juglandaceae, che produce caratteristici frutti (drupe); 20: iniziali del nome botanico della specie nota come “firrastrina bianca” (Rouya polygama) ; 21: fu direttore dell´Orto botanico vaticano agli inizi del 1600,  il primo studioso a parlare di botanica per la materia da lui insegnata (Giovanni Faber) .Verticale: 1: simbolo dell’elemento chimico carente nelle foglie affette da clorosi; 2: prominenza rilevata al centro del cappello di alcuni funghi; 3: Iniziali del nome botanico della specie nota come Golden evergreen raspberry (Rubus ellipticus); 4:  abbreviazione  genere naturale Cattleyella fornita da Julian Shawe presso la Royal Horticultural Society; 5: operazione colturale che si effettua quando la semina non ha successo o la crescita è molto rada; 6: lo sono le acque a cui viene aggiunto acido nitrico per l’irrigazione in produzione di gardenia grandiflora; 7: Prima parte del nome di una varietà di Acer palmatum chiamata Momiji (Acer palmatum Eono Momiji) ; 10: genere del cece; 11: in botanica primo elemento di parole composte che significano secco, arido;  14: iniziali di genere e specie di ravanello selvatico (Raphanus raphanistrum); 15; genere di piante arboree la cui foglia stilizzata è presente sulla bandiera del Canada; 17: succo di frutta contenente retinolo, acido ascorbico  e tocoferolo; 19: in botanica prefisso che all’inizio di un termine sta a significare la posizione rovesciata di ciò che segue;

martedì 6 settembre 2011

Consigli verdi per il giardino di un'amica

Sito di reperimento
Quando ero una giovane inesperta neo laureata in agraria ho cominciato a fare pratica presso lo studio di un agronomo tra i più qualificati in città. Vito Sardo, titolare insieme al padre dell’omonimo studio, era un uomo di cultura dal carattere guascone, consulente di tutti i più importanti proprietari di agrumeti della Sicilia orientale dei quali curava, particolarmente, la realizzazione degli impianti di irrigazione. Ogni mattina (signorina, la passo a prendere alle cinque?)  con la sua macchina scassata e volutamente trasandata, a folle velocità, correvamo in giro per le campagne a controllare il lavoro degli operai o lo stato dell’arte degli impianti in progettazione. Vito era fonte inesauribile di conoscenze tecniche (stilava una perizia giurata di getto, senza una cancellatura né un ripensamento) e di aneddoti divertenti. Quando qualche cliente gli sottoponeva un problema o gli faceva vedere piante affette da qualche ignoto patogeno lui rispondeva senza esitazione dispensando spiegazioni tecniche che dimostravano competenza e approfondita conoscenza del problema. Una volta tornati  in macchina però, quando gli chiedevo come avesse potuto formulare in termini così rapidi una diagnosi certa  e circostanziata, Vito mi rispondeva che in realtà non era per niente sicuro di avere inquadrato correttamente il problema ma ai clienti occorreva dare risposte certe “sparando minchiate” con competenza. Per rimediare ad eventuali errori (e devo dire che non ce n’erano quasi mai) c’era sempre tempo, durante il quale studiare ed approfondire l’argomento. A questo insegnamento di Vito Sardo non sono mai riuscita ad attenermi. Di fronte ad un quesito tecnico che presuppone molteplicità di scelte che attengono la sfera del gusto personale e dell’estetica non riesco ad essere “autorevole” come Vito avrebbe saputo fare. E dunque, di fronte al quesito di Audrei su come sostituire, nel suo giardino, un antico tasso ormai morto con una nuova essenza arborea che non faccia rimpiangere il tasso estirpato, cercherò di non “sparare minchiate” ma di fornire solo dei semplici consigli ad un’ amica.




Non so molto sull'ubicazione di questo giardino ma la presenza di un tasso, di tigli, di cespugli di bosso e di conifere, insieme, mi pare, ad oleandri, fa pensare ad un giardino di clima continentale, diciamo da Roma in su, ma non molto più in su. Il giardino è chiuso da un alto muro posto sulla sinistra rispetto alla casa ed ha il suo punto di forza nei grandi tigli e nel prato, punteggiato da esili alberi (che in foto non sono riuscita ad identificare). Predomina il verde e le poche fioriture sono di colore bianco. Nell’insieme un giardino essenziale, quasi monastico, la cui cifra identificativa è una ricercata semplicità.
Quesito
Come ovviare alla perdita di un vetusto esemplare di Taxus baccata posto di fronte alla grande vetrata che dalla casa sguarda al giardino?



Considerando che il tronco del tasso era messo proprio al centro della visuale, penso che, per prima cosa, sarebbe meglio defilare un poco l’ubicazione del nuovo impianto, spostandolo verso il muro di cinta, così da dare profondità alla vista.
Vicino ai cespugli di bosso per non lasciare lo spazio vuoto, si potrebbero mettere bulbose o erbacee perenni come Iris bianchi, Agapanto (anch'esso nella varietà bianca),  lavanda o rose rifiorenti tappezzanti o, ancora, se il clima lo consente delle peonie o delle ortensie. 
Gingko biloba
La specie arborea di nuovo impianto, per forza di cose, dovrà essere di sviluppo contenuto e, per evitare, in inverno, di ombreggiare eccessivamente la casa , sarebbe bene sceglierla spogliante. Se si vuole puntare sull’effetto estetico del fogliame si potrebbe pensare di utilizzare Gingko biloba , specie che cresce molto lentamente e ha sviluppo colonnare; in autunno le foglie a ventaglio, prima di cadere, diventano di un bel colore giallo dorato. Se si desidera, invece, una specie fiorita penserei al ciliegio da fiore (se il clima è freddo) o in alternativa Albizia julibrissin, una mimosacea dai fiori rosati, a piumino o, ancora, Catalpa speciosa. Si potrebbero utilizzare, altresì, specie da frutto come Diospyros kaki dal magnifico fogliame autunnale o  se viceversa si preferisce un’ombra più decisa  Morus nigra varietà "Platanifolia" che non produce frutti. 
Albizia julibrissin
 
Catalpa speciosa
 

Trachelospermum
  Vorrei dire, inoltre, che il muro che incombe sul giardino mi pare un poco spoglio. Se non c’è un particolare motivo a tenerlo “nudo” lo si potrebbe un po’ rivestire con Trachelospermum jasminoides o Ficus repens, o in alternativa con la classica edera o vite americana (spogliante).

Conclusioni
Hai fatto scelte ben precise per il tuo giardino, dimostrando di sapere esattamente quello che vuoi; al di la dei miei consigli,  la visita di un buon vivaio insieme ad un'osservazione accorta dei giardini vicini  rimane la migliore tattica per una scelta oculata.

domenica 4 settembre 2011

Nelumbo nucifera : soluzione quiz botanico "agosto 011"

NELUMBO NUCIFERA  
Nelumbo nucifera o loto indiano è specie palustre originaria dell’Africa boreale e dell’Asia tropicale; caratterizzata da grandi foglie peltate a lamina tondeggiante ricoperte da un rivestimento ceroso idrorepellente, ha fiori estivi di grande diametro e altezza che presentano un pistillo appiattito di colore giallo oro ricoperto da lunghi stami e da grossi fori circolari che persiste a lungo, una volta secco, attaccato al rizoma commestibile. I grandi fiori sono profumati e durano un solo giorno.


Sito di reperimento
Il loto ha un profondo significato religioso per gli indù e i buddisti simboleggiando la bellezza, la purezza e la divinità. Per gli induisti infatti, la Dea Lakshmi, consorte di Vishnu , eterea come la fortuna e il benessere che rappresenta, viene spesso dipinta seduta su un fiore di loto e tra le mani le scorre un fiume di monete. Anche quasi tutte le divinità del buddhismo sono rappresentate sedute sui fiori di loto che ne simboleggiano la purezza; i molteplici petali dei suoi fiori rappresentano, infatti, la molteplicità degli universi sui quali regnano le divinità raffigurate.

 E’ del 1973 la canzone “Clinica Fior Di Loto Spa” del complesso italiano Equipe 84 (musica e testo di Maurizio Vandelli). La canzone racconta la storia di un uomo che si risveglia in una clinica psichiatrica e lentamente inizia a ricordare il motivo per cui si trova rinchiuso e cioè l'uccisione della moglie e del suo amante.


In autunno in Cina si festeggia la luna; è un giorno in cui si mangiano e si regalano tradizionalmente le torte della luna fatte con pasta di semi di loto e rossi d'uovo di anatra salati. Il popolo cinese ritiene che il loto sia un cibo molto salutare, infatti, come confermano recenti studi è ricco di fibre, vitamina C, potassio, tiamina, riboflavina, vitamina B6, fosforo, rame e manganese e contiene pochi grassi.

I semi di Nelumbo sono delle nocule di un frutto multiplo molto duro impermeabile all’acqua e all’aria e la tradizione vuole che possano rimanere vitali per secoli. La prova scientifica della loro leggendaria longevità è stata effettuata nel 1995 su semi di loto reperiti sul letto asciutto di un antico lago nella Cina nord-orientale che analizzati con tecniche di spettrometria hanno evidenziato un’età di circa 1300 anni, riuscendo perfettamente a germogliare.

Le fibre ricavate dal loto sono utilizzate per la tessitura di stoffe con cui vengono realizzati gli abiti dei monaci buddisti di alto rango. Recentemente l’azienda italiana “Loro Piana” ha avviato un progetto in Birmania, con le popolazione locali, per la realizzazione di tessuto per sartoria ricavato dai gambi del fiore di loto. Essi vanno raccolti, rullati e filati entro 24 ore per evitare l'essiccamento con speciali tecniche usate e tramandate dalle popolazioni locali da secoli; si ritiene che in un mese si potranno produrre massimo 50 metri di tessuto con il quale realizzare giacche dal costo di circa 4000 euro l’una. Sono necessari 32.000 steli di lotus per produrre un metro di stoffa.

Sito di riferimento
Molto interessante
Mentre ci sei dai un'occhiata qua

venerdì 2 settembre 2011

Sun Island Nursery: un vivaio di giovani amici

Giampietro e Laura li conosco da ragazzi; entrambi entusiasti del verde, della bellezza esotica delle specie tropicali, delle emozioni che può dare la fioritura di una nuova varietà di ibisco o della soddisfazione di portare a termine una ricerca spasmodica di una rara, particolare, varietà di plumeria. Entusiasti lo erano già da ragazzi, ognuno per proprio conto.
Giampietro, cresciuto tra le piante, al seguito del padre Jan Petiet, genetista-vivaista olandese che in Sicilia, sulla riviera jonica, a Calatabiano aveva costruito con tenacia il vivaio “Isola del sole” specializzato in varietà di ibisco da innesto, prodotte a cespuglio o alberello. Se andavi in azienda o lo incontravi alle fiere, Giampietro, ragazzo dal carattere solare, ti trasmetteva entusiasmo, passione giovanile, interesse botanico mostrandoti orgoglioso i colori, le tonalità, le screziature dei fiori di ibisco delle ultimissime varietà prodotte dal padre.

Serra di produzione
Laura, di carattere più schivo e sensibile, studentessa di agraria, era anche lei affetta dal sacro fuoco della passione botanica; se si trattava di maneggiare piante, travasare, realizzare composizioni floreali, niente la spaventava; non il caldo tropicale delle serre di produzione, ne la fatica dello studio universitario. Ognuno per proprio conto, due fanatici del verde. Era ineluttabile che i due ragazzi si incontrassero e dopo qualche anno mettessero su famiglia. Li ritrovo dopo quindici anni cresciuti in età, maturati e forse segnati da vicissitudini familiari e lavorative ma l’entusiasmo, la passione, l’interesse che da ragazzi avevano per il verde si è, in entrambi, mantenuto e se possibile accresciuto in modo sinergico. Oggi gestiscono insieme, a Calatabiano su una superficie di 30.000 mq, il vivaio del padre Jan, scomparso da alcuni anni, ribattezzato Sun Island NurseryL’ibisco è ancora la specie leader prodotta in azienda con circa 150 varietà in produzione insieme alla bougainvillea prodotta prevalentemente in vaso o in basquet con varietà a sviluppo contenuto.





Bougainvillea "Mini Thai"
Ma i ragazzi, ormai cresciuti, sono ancora degli appassionati; non potevano perciò non lanciarsi con tutto il peso del loro entusiasmo nella ricerca, selezione e produzione di una nuova specie esotica, perfetta per la coltivazione in serra, in clima siciliano: la plumeria. Ed allora via con contatti nelle principali aree di coltivazione: Hawai, Ceylon e Thailandia per acquisire materiale di propagazione certificato da riprodurre e commercializzare,  realizzando in poco tempo un assortimento varietale che in Italia non ha eguali. 
Plumeria " Bun Yen"
Plumeria  "Dan Leidke"
Varietà di Plumeria cartellinate, a fiore rosso, rosato, giallo, bianco puro sono già prodotte e commercializzate in azienda per la gioia di chi volesse visitare il vivaio; per chi volesse acquistarle per corrispondenza  potrà farlo, sotto l’etichetta “tropicale” su rinomati e blasonati siti web italiani, affezionati clienti dei miei giovani amici.
Sun Island Nursery di Giampietro e Laura Petiet
C.da S. Biagio, sn. 95011 Calatabiano (Ct)

 
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...