martedì 30 luglio 2013

Merremia dissecta, un rampicante poco usuale

Merremia dissecta è una specie rampicante a fusto volubile proveniente dai paesi dell’America del sud, appartenente alla famiglia delle Convolvulceae, che vive assai bene in clima mediterraneo soprattutto lungo le coste e dove l’inverno è blandamente rigido;  a prima vista è molto simile, nei caratteri distintivi, ad una Ipomoea  alla quale assomiglia molto per la forma del fiore anche se da un punto di vista sistematico differisce per alcuni caratteri del polline. E’ una specie che si comporta da vero rampicante attorcigliandosi con i suoi fusti lianosi intorno ad ogni appiglio ed appoggio che incontra sul suo percorso, spingendosi su fino ai  tre metri d’altezza. 
I fusti, le foglie ed i peduncoli fiorali  sono molto pelosi ed hanno la particolarità che se schiacciati emettono un liquido lattiginoso all’aroma di  mandorla amara. Ha foglie di colore verde scuro, alterne, semplici, portate da un lungo peduncolo, con una forma particolare  perché,  palmate e profondamente lobate, incise sino alla base della foglia. Il fogliame assicura una copertura leggera, di aspetto merlettato, ma con elevata capacità  coprente.
I fiori a forma di imbuto ma con la corolla svasata sono solitari con petali di colore bianco e gola viola. Il frutto è una capsula globosa avvolta totalmente dai sepali che a maturità si apre con forma stellata mettendo in evidenza quattro semi di forma tondeggiante, come grani di pepe, di facile germinazione.

La specie può comunque essere riprodotta per divisione del cespo o staccando tralci da porre a radicare. Pur essendo specie gradevole, per la discreta fioritura che si prolunga tutta l’estate e soprattutto per la grande capacità che ha la pianta di coprire reti, recinzioni ed altri manufatti che spesso in giardino è bene nascondere, non è molto diffusa nei nostri giardini anzi, a ben pensare l’unico esemplare che conosco vegeta, saranno oramai circa vent’anni, nel giardino della mia amica Daniela ad Acicastello. C’è arrivata sull’ onda dell’ entusiasmo che, negli anni compresi tra il 1992 e l’inverno del 1994, suscitò l’iniziativa ideata e portata avanti da Guglielmo Betto di creare in Italia una Società di Acclimatazione Sperimentale che aveva lo scopo di ..”favorire gli studi e gli esperimenti amatoriali concernenti l’acclimatazione delle specie vegetali sia ornamentali che d’uso alimentare e industriale fuori dalla loro area d’origine; la coltivazione sperimentale di specie poco note o sconosciute in Italia...”. Tutti i soci erano invitati ad inviare all’Associazione semi di specie rare o esotiche di cui disponessero ed i semi andavano a costituire un Index Seminum cui attingere l’anno successivo. Ai nuovi soci venivano regalate al momento dell’adesione 10 bustine di semi di specie presenti in elenco. L’anno in cui sia io che Daniela fummo accolte da Betto (immeritatamente per parte mia) nell’ambito del competente consesso di soci, non avendo molta pazienza nelle semine passai la scelta a Daniela.
Da lì l'arrivo in Sicilia della Merremia dissecta che da allora occupa militarmente un angolo del suo giardino. 

venerdì 26 luglio 2013

Mister Plumeria

Cosa c’è di meglio nella vita che fare del proprio lavoro un divertimento? A me la cosa non riguarda perché lavorare non mi diverte ed aspetto il periodo delle vacanze come una vera e propria liberazione, ma ci sono persone che vivono il proprio lavoro così intensamente, con tanto entusiasmo e in ogni momento della giornata e sentimento della vita da non volere staccare, interrompere, mettersi in pausa mai, per non dovere, ritengo, porre un limite al proprio diletto. 
Di queste persone ne conosco diverse e so di che parlo; basta, ad esempio,  andare a trovare Giampietro al lavoro che è per lui azienda ma anche casa e famiglia e hobby e passione, se lo trovi stanco dopo ore passate al caldo delle serre a mettere ordine tra centinaia di vasi, da come ne parla capisci che stare accanto alle sue amate plumerie è stato per lui un piacere e a sera sprizza ancora entusiasmo che si traduce in un fiume inarrestabile di parole che rimani affascinata ad ascoltare mentre ti mostra e descrive la storia di ogni singolo vaso.
Ed è una storia che in bocca a Giampietro diventa il racconto di un’avventura felice che dura oramai da dieci anni, da quell’acquisto di cento talee di Plumeria rubra, ritirate in gran segreto dall’America, per esaudire, al primo anniversario di matrimonio, il desiderio della moglie Laura, di qualcosa di speciale, di una nuova specie da fiore che fosse profumata, coltivata in Sicilia per tradizione, ma al contempo esotica, da affiancare alla produzione di ibischi e bougainville, le specie per cui l’azienda Sun Island Nursery era conosciuta ed affermata da anni. 


Da quelle prime talee lavorate in azienda, grazie alla passione di Giampietro e al sostegno di Laura, le plumerie sono diventate migliaia e le varietà della collezione botanica sono oltre 1200; una raccolta proveniente dai più importanti centri di coltivazione del mondo che si traduce in una produzione di 400 varietà che fanno dell’azienda Sun Island Nursery una delle più importanti realtà produttive per la coltivazione ed il commercio della plumeria in Europa, punto di riferimento per collezionisti e semplici simpatizzanti del Genere. 


E per te, Giampietro,  il lavoro è passione se riesci a tessere una rete di buoni rapporti con i più esclusivi produttori del mondo che ti porta ad acquistare talee di plumeria alle Hawaii, mandarle ad acclimatare in Florida, presso vivai amici, per farle gradualmente abituare al clima mediterraneo prima di trasferirle, dopo sei mesi, in Sicilia.
Ed il lavoro diventa gioco se scegli, la notte, di non dormire per cercare di vincere ad un’asta, su eBay, preziose talee della Doric JL, una rara varietà di plumeria che infine ti aggiudichi alle tre del mattino per una cifra che è meglio che Laura non venga a sapere.
Sei , poi,  così pazzo delle tue plumerie  che ne sei fatto tatuare due fiori sul braccio;  e che  dire  del bagno di casa che hai requisito per far rianimare talee appena arrivate da reidratare e usi la vasca per far germinare semi di plumeria che tanto i bambini oggi non si dovranno lavare, c’è caldo ed è per loro più divertente andare al mare?
Ma come è possibile dire che è troppa passione se anche a me tra profumi stordenti e colori di cera è venuta la smania da collezione; le vorrei avere tutte le tue plumerie, passando le ore ad immortalarne i colori con foto che rendano anche solo in parte la bellezza dei loro fiori.

Non tergiversare, Giampietro, non perdere tempo e scrivilo in fretta questo libro che hai in mente, perché siamo in tanti a volere sapere tutto, ma proprio tutto,  delle tue plumerie.

 

venerdì 19 luglio 2013

Gardenia, un fiore dal profumo ineffabile

Ci avete fatto mai caso? Molti tra i profumi più intensi, freschi ed inebrianti prodotti dal mondo vegetale emanano da fiori di colore bianco; sarà forse perché i fiori bianchi non essendo molto vistosi dal punto di vista cromatico hanno avuto la necessità di adottare altri accorgimenti per farsi notare dai pronubi: gelsomino, philadelphus, zagara, tuberosa, mandevilla, murraja, carissa e gardenia sono tutte specie dotate di fiori di un colore virginale il cui profumo è in grado di sprigionare note olfattive multisensoriali capaci di richiamare, inebriandoli, pronubi e non.
Tra le specie arbustive a fioritura estiva, presenti nei giardini dove non esiste il rischio di gelate, la gardenia è specie dal profumo caldo ed avvolgente che si fa riconoscere anche a distanza spandendo intorno un’aura di benessere olfattivo; è una fragranza che non è esagerato definire ineffabile in quanto l’estrazione dell’essenza dai fiori di gardenia è un processo così complesso e costoso da essere ritenuto non economico. Il profumo che si definisce commercialmente “alla gardenia” è, dunque, solo una evocazione dell’aroma originario ottenuto in laboratorio miscelando insieme fragranze diverse, secondo il gusto e la sensibilità delle più celebri case profumiere.
 
Per godere l’odore dei suoi fiori l’unica alternativa alla spesa per profumi dal costo proibitivo è, dunque, in estate, l’acquisto di una pianta di gardenia fiorita, da tenere in vaso o in giardino anche se non è una specie di facile coltivazione.
Gardenia jasminoides che, tra le molte specie di gardenia appartenenti al genere, è quella maggiormente coltivata in vaso perché meno vigorosa, è specie di origine asiatica presente allo stato selvatico dal Vietnam all’ India da dove è poi giunta in Europa tramite gli inglesi alla metà del settecento.
E’ un bell’arbusto anche senza fiori perché ha portamento compatto e vegetazione sempreverde di lucide foglie leggermente cerose, dalle nervature prominenti; in piena terra l’arbusto si sviluppa sia in altezza che in larghezza assumendo un forma tondeggiate. In estate sbocciano grandi fiori carnosi, semplici o doppi in base alle numerose varietà selezionate, che hanno una durata di circa tre giorni prima di ingiallire e sfiorire. La difficoltà di coltivazione della gardenia è dovuta alle esigenze pedologiche della specie che pretende un terreno acido con un pH intorno al 5; situazione difficile da mantenere in casa se si utilizza per innaffiare acqua di rubinetto, generalmente calcarea (bisognerebbe dare acqua demineralizzata).

La specie è infatti calcifuga e di star male lo dimostra chiaramente dopo qualche tempo con inspessimento delle nervature che rimangono verdi ed ingiallimento della lamina fogliare; le foglie in breve si staccano e cadono spogliando i rami. Non c’è altro modo per salvare la pianta che acidificare il substrato utilizzando aceto o succo di limone e, per i più sofisticati, chelati di ferro.
Nonostante possa sembrare strano, in Sicilia in alcune aree collinari della fascia jonica che da Giarre si estende sino a Messina la coltivazione della gardenia appartiene alla tradizionale floricoltura locale utilizzando per la coltivazione in vaso substrati fortemente acidi tipici di alcuni ambienti collinari dei monti Peloritani. Ho avuto modo di seguire anni fa la produzione di vasi fioriti di gardenia in due aziende specializzate che a quei i tempi avevano sede a Giarre. Il segreto per la produzione di vasi fioriti di gardenia stava sia nella preparazione del terriccio di coltivazione, una miscela di torba bionda e pomice con aggiunta di calce per compensare il pH della torba (3-4) che era troppo basso rispetto al valore ottimale (4-5), sia nella tecnica di irrigazione; per ridurre i sintomi da clorosi ferrica che si evidenziavano nella gardenia con valori di pH del terreno superiori a 6, si aggiungeva acido nitrico nell’acqua di irrigazione con concentrazioni che variavano dai 200 ai 400 cc ogni metro cubo d’acqua.
La prepazione delle talee avveniva d'estate e le piantine così ottenute venivano vendute in gennaio a grossisti che le commercializzavano l’estate successiva. Entrare nelle serre di produzione era un’esperienza unica in particolare per me che amo moltissimo il profumo della gardenia e quando è giugno ne compro sempre qualche vaso da tenere in balcone sino a che dura; è il mio toccasana, il mio segreto del buon umore perché me ne basta una sniffatina e le difficoltà della giornata passano via lievi. 
Quando, ad esempio, nonostante  mille cautele ed attenti controlli, un fazzoletto di carta ridotto a pallina rimane nascosto in fondo alla tasca di un jeans di mio figlio insieme al bucato del nero; a lavaggio finito osservando incazzata l’effetto di mille coriandoli bianchi su felpe e magliette pulite, vorrei sprofondare pensando ai commenti di figlio e marito sulle mie già non molto apprezzate qualità di massaia. E’ un attacco di bile frequente, un mordere amaro cui pone immediato rimedio, se è tempo d’estate, una intensa annusata di una bianca gardenia coltivata in balcone.  Che dolce profumo, che aroma sublime, che aria di fresco, di verde, di fiori; mi sento già meglio; che importa se avrò da passare il mio tempo a levare milioni di pezzi di fibra bianchiccia da felpe e magliette ex nere, col rullo di carta adesiva; fa caldo e non ho in programma di uscire.

lunedì 15 luglio 2013

Quiz botanico luglio 013

Cinque indizi per una specie
nome comune
 
 
Genere
specie
1
Sono un cinese immigrato da antica data nella Riviera di Ponente  dove ancora oggi sono tenuto in grande considerazione soprattutto da chi ama mangiare senza fretta.

2
Di me,  solevano dire:  “ Pelle dura, cuore tenero
3
A Malta non c’è rinfresco a cui io non sia presente

4
Note di testa fresche, cuore rotondo e balsamico sono i caratteri del mio profumo

5
Un cacciatorpediniere della Regia Marina Italiana che aveva il nome del “Corsaro del Carso”, affondò al largo di Capo Gallo  sbattendo su uno sbarramento di mine inglesi

SOLUZIONE

 

giovedì 11 luglio 2013

Etna, le specie pioniere ai limiti del deserto vulcanico

Dal  21 giugno del 2013 il vulcano Etna, su proposta del Ministero dell’Ambiente italiano, è stato inserito dall’UNESCO nell’elenco dei beni costituenti patrimonio dell’umanità essendo  uno dei vulcani più emblematici ed attivi del mondo e considerandone.. “ i crateri, le ceneri, le colate laviche, le grotte e la depressione della Valle del Bove una destinazione privilegiata  per la ricerca e l’educazione e lo sviluppo di molte discipline scientifiche come la vulcanologia e la geofisica”.
 
Pur non facendo particolare riferimento al paesaggio vegetale presente in queste aree sommitali  ritengo che il riconoscimento sia da intendersi anche dal punto di vista botanico viste le peculiari specificità della vegetazione a pulvini xerofiti presente alle quote sommitali del vulcano.
Si tratta di una vegetazione arbustiva composta da poche specie pioniere capaci di sopravvivere in un ambiente inospitale di lave e sabbie incoerenti in una fascia altimetrica frammentaria che dal limite del  bosco alto montano di faggi e betulle  si spinge sino ai 3000 metri di quota oltre i quali la vita vegetale è del tutto assente; siamo infatti nella fascia altimetrica del deserto vulcanico, un vasto territorio di lave recenti totalmente sterili, di cenere e lapilli prodotti dalle continue attività esplosive  dei crateri sommitali .
 
Quasi tutte le specie sono presenti anche in altre montagne mediterranee ma sull’Etna si sono differenziate ed adattate all’ambiente vulcanico assumendo forme peculiari: Rumex scutatus forma aetnensis, Anthemis aetnensis, Senecio aetnensis, Viola aetnensis, Berberis aetnensis  e altre  ancora, caratterizzate dal possedere  un portamento appressato al suolo per resistere  al forte vento, alla forte all’intensità luminosa e alla siccità delle alte quote  formando una vegetazione a cuscino (pulvino) che ricopre e trattiene le sabbie inerti.  La fioritura della maggior parte delle specie è estiva  ed è anche questo un adattamento climatico essendo quasi tutte le specie longidiurne  in modo da sfruttare al meglio il periodo di massima lunghezza del giorno a scopi fotosintetici.
Di questo tipo di vegetazione l’ esempio più  tipico è l’astragalo (Astragalus siculus, oggi Astracanthus) o spino santo, un endemismo etneo che caratterizza particolarmente il paesaggio alto montano  svolgendo un ruolo importantissimo nel proteggere le ripidi pendici delle aree terminali. La specie, infatti, è densamente cespugliosa e dotata di un robusto apparato radicale molto più sviluppato della parte aerea formando cuscini non è più alti di 30 centimetri e dal diametro anche di un paio di metri; il nome Astragalus (vertebra), in greco, fa proprio riferimento alla particolare nodosità della sua radice. Nelle zone fortemente inclinate il pulvino si sviluppa maggiormente a monte piuttosto che a valle facendo, con la massa vegetale, argine all’interramento della pianta. In estate produce fiori di un tenero rosa e ospita tra la vegetazione altre specie più delicate come  viole, cerasti,  antemidi proteggendole dal vento e, grazie alle robuste spine, dal morso degli erbivori;  

Viola aetnensis al riparo dentro l'astragalo
 Anthemis aetnensis, (Asteraceae) o camomilla dell’Etna è una perenne  dal fogliame ramoso che forma densi cespuglietti tondeggianti e che fiorisce in luglio agosto con vivaci  margherite in base al colore delle quali  è possibile individuare due varietà: albiflora e rosea. E’ tra le specie che insieme al Senecio aetnensis si spinge più in alto fin quasi ai crateri sommitali.


Saponaria sicula è pianta cespugliosa  non più alta di 15 cm con fusti cespitosi pieni di foglioline che in estate  producono infiorescenze di fiori rosati tubiformi; la si incontra su sabbie vulcaniche di zone anche molto scoscese. Il  nome del genere Saponaria deriva dal latino sapo (sapone) per l’alto contenuto di saponina presente nelle piante ad esso attribuite.
 
Rumex scutatus forma aetnensis, una delle specie più tipiche del piano alto montano del vulcano presente in cespi sparsi alle più alte quote; il termine generico Rumex deriverebbe dal verbo latino ruminare in quanto i romani ne masticavano le foglie per resistere alla sete.
Cerastium tomentosum è una piccola pianta a portamento cespitoso con foglie di colore glauco ed aspetto lanoso; produce fiorellini bianchi  che spesso fanno capolino da grandi cuscini di astragalo.
Salendo oltre i 3000 metri di quota le proibitive condizioni ambientali non rendono più possibile alcuna forma di vita vegetale ed il paesaggio assume i caratteri del deserto vulcanico.       
    



sabato 6 luglio 2013

Gli oleandri di papà


La casa di papà ha una bella terrazza che guarda l’Etna, incorniciata come una cartolina tra i palazzi davanti. La si vede cangiante nell’arco di un’intera giornata: la mattina lo sbuffo di fumo va di qua (vento di terra decreta l’esperto, oggi sarà una bella giornata); neanche il tempo di organizzare qualcosa che già il fumo ha cambiato direzione (il vento è ora di mare, il tempo è in peggioramento); la sera, se l’Etna è attiva, la scia di fuoco disegna il contorno della montagna e la cima spesso non si vede perché avvolta da una nuvola a forma di fungo: “oggi c’è la contessa aspettiamoci una forte umidità”; i colori al tramonto la tingono di rosa e la sagoma scura che si delinea al crepuscolo incute timore.
Con una terrazza che guarda l’Etna e con la passione per le piante chissà che verde ci sarà, penserete voi, ed invece a Catania, una terrazza che guarda l’Etna è esposta a tramontana e dunque non c’è molto da scialare. D’inverno non c’è sole e il vento la attraversa d’infilata gelando le piante e trasportando vasi per ogni dove; non viene proprio voglia di stare fuori e sebbene il breve inverno sia mite non è stagione per potersela godere. In estate, invece, la terrazza vive il suo momento migliore anche se per tutto il giorno il sole è cocente sino alle sette della sera e può dunque ospitare solo specie molto, ma molto resistenti.
 
Papà ha perciò selezionato negli anni poche entità botaniche da fiore accomunate dalla capacità di soddisfare le specifiche esigenze del caso: riprodursi facilmente per seme o per talea (perché comprare piante quando si possono moltiplicare?), resistere alle intemperie invernali, fiorire in estate, essere parsimoniose di cure. E fra tutte le specie provate e riprovate quella che si è meglio adattata ai dettami di papà è l’oleandro insieme a thevetia e cassia ottenute da seme. La terrazza di papà è perciò una terrazza di oleandri tutti ottenuti da talee prelevate in giorni d’ estate a ricordo di cose e di luoghi lontani: “l’ oleandro a fiore bianco, ti ricordi?, l’abbiamo preso da quella grande macchia fiorita al lido della Forestale”; “questo, invece,” mi dice passando tra i vasi, “è quello rosa a fiore semplice, preso al tramonto passeggiando lungo l’argine della diga Nicoletti e qui c’è il rosso doppio preso a Fiuggi, quanti anni sono passati non lo ricordo più”. 



Estate dopo estate i vasi degli oleandri, alcuni annosi altri recenti, sopravvissuti agli inverni riprendono forza e vigore rendendo la terrazza di papà piena di colore.
Che dici, papà, svecchiamo un poco queste piante vetuste, prendiamo nuove piante, azzardiamo nuove specie; non ti dare gran pena, ho i miei oleandri e al solo guardarli mi sento felice.  All'inizio dell'estate papà se ne andato lasciandomi in custodia i suoi amati oleandri; ogni giorno che passa li sovraccarico di acqua, li spruzzo, li poto con tenero affetto e dunque ritengo che non sopravvivranno per molto al loro padrone. Mentre lo accompagno alla sua nuova destinazione assurdamente penso a come si troverà papà nel passare dagli oleandri di casa al fiore reciso.
Ma lungo i viali, vicino le tombe, le piante poste ad accompagnare il riposo sono oleandri, alberi annosi dal fusto contorto,  così pieni di fiori da far sbiadire il ricordo degli oleandri di casa.

 
  Ti lascio, papà, più serena, tra tanti oleandri ti troverai bene.

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