giovedì 29 agosto 2013

Margherita e le opunzie color magenta

Il racconto di una passione per Opuntia dillenii
Pensavi mai di poterti innamorare di una sensazione aspra, forte, pungente? di un paesaggio mediterraneo così diverso da quello che ti ha visto nascere e lavorare e ancor più diverso dai luoghi esotici che sei andata a guardare in tanti viaggi fatti da giovane percorrendo paesi lontani alla ricerca di un luogo chiamato casa?
E quando la tua voglia di esplorare e conoscere ti ha portato a puntare anche sul Salento, sei arrivata a Tricase, in un estremo lembo di terra rossa che sporge arido verso il mare che lo lambisce e abbraccia da due lati; garighe assetate, brulle e profumate, abbarbicate su di una falesia bianca erano casa di una piccola opunzia dai frutti color magenta, Opuntia dillenii, una specie arrivata come le altre dalle americhe ma naturalizzata da secoli nella macchia mediterranea del Salento in luoghi aridi, in zone soleggiate e asciutte anche in assenza di un vero e proprio substrato di coltivazione.
I suoi frutti color magenta coperti di spine, il suo essere specie reietta tra le opunzie perché priva di una qualsivoglia forma di utilizzazione agricola ti hanno d’improvviso fatto capire che era in quel posto che volevi abitare per potere recuperare, salvaguardare e promuovere le peculiarità organolettiche di questo particolare tipo di fico d'india dal quale ricavare, con rispetto, sacrificio e dedizione qualcosa di veramente speciale. 
E’ questa in sintesi la storia di Margherita Diviccaro, per gli amici Titty, una creativa, stravagante, originale (sono sue definizioni), produttrice di frutti di Opuntia dillenii che giunta da Trieste, cinque anni fa, a Tricase, nella penisola salentina, decide di mollare il suo lavoro creativo nel campo della moda per buttarsi a corpo morto in una vera e propria missione: sensibilizzare la collettività alla bellezza e utilità di questo tipo di frutto.
 
Margherita cosa hai trovato di speciale nel frutto di Opuntia dillenii che ti ha convinto a cambiare vita e rimanere a Tricase?
Opuntia dillenii è una pianta che ho conosciuto durante i miei viaggi per il mondo, fatti molti anni fa, in Messico, ma anche nel Kerala nel sud dell'India, come una specie reietta presente lungo litorali calcarenitici ma anche in zone lontane dal mare. Già allora rimasi folgorata dal colore magenta dei suoi frutti e dalla particolarità di questa specie di fico d’india così insolita, frugale e spinosissima. Lì come in tutte le regioni che dal sud della California scendono sino al Paraguay, di Opuntia dillenii viene utilizzato il fiore per il tè, la pala ed i frutti come medicamento naturale e il frutto, in campo gastronomico, per realizzare confetture, gelatine, liquori.
Da sempre appassionata di botanica ho scoperto, con molta meraviglia, al mio arrivo in Puglia la presenza dell'opunzia conosciuta in Messico come specie spontanea presente sulle falesie marine o anche nell'entroterra a ridosso di muretti a secco. Volevo da subito condividere l'emozione del ritrovamento e l’idea di riuscire a valorizzare la specie con gli amici o gli abitanti del luogo ma, mi sono invece accorta che, la maggior parte dei salentini non attribuisce alcun valore a questa opunzia pur avendola in un vaso davanti casa o abbandonata nelle loro campagne. La mia idea di valorizzare e riscoprire questa specie temibile per la pericolosità delle sue spine, inutile perché non commerciabile e da alcuni ritenuta anche velenosa mi ha creato la fama di una persona folle, marziana, svitata. Ed è stata questa la molla, il "quid", che mi ha spinto ad andare contro corrente e fare qualcosa di utile e bellissimo per l'opunzia e per il mio ambiente. 
Raccontaci cosa hai fatto in concreto per dare vita al tuo progetto?
Da quando sono arrivata nel Salento spostandomi di continuo in bici o con la mia APE 50 tento di recuperare quel che resta di piante di Opuntia dillenii maltrattate dai contadini locali che considerandola una pianta pericolosa e non commestibile, dunque che "non serve", cercano in tutti i modi di eliminarla usando le fiamme per bruciarne i cladodi o passandoci sopra con il decespugliatore.
Io cerco di recuperare le pale per tentare di ridar loro nuova vita e dignità ricoverandole all'ombra di lentischi e terebinti,tra ciuffi di asfodelo e orchidèe spontanee, mirto ed alloro sperando che emettano nuove radichette, riportando così a nuova vita gli stessi esemplari di cui l'uomo si disfa. 
Parallelamente, sempre nella macchia incontaminata prospiciente il mare e senza violentare o forzare il terreno, colleziono esemplari sani dai quali ottengo un piccolo raccolto di piccoli frutti dal colore magenta, dal gusto un poco acìdulo, profumati a volte di erba con note di rosa o di amarena e ribes rosso, dal quale ricavare, in modo naturale, intriganti prodotti di nicchia.
In che modo riesci a mettere insieme un quantitativo adeguato di frutti?
Io non voglio in alcun modo sfruttare quello che la natura ci porge; agisco con il massimo rispetto perché anche altri oltre me possano apprezzarne i doni. Per questo ho iniziato lavorando una piccola quantità di frutti che raccoglievo in natura, poi ho acquisito vecchi terreni del tutto abbandonati, nella macchia vicino al mare; incontaminati, non coltivabili dagli altri perché costituiti da scogli scoscesi, movimentati con giochi di vuoti e di pieni o fazzolettini di terra rossa che la gente preferisce tenere incolti e abbandonati.  
 
Riesco a fare un raccolto l’anno ed è questo il momento più elettrizzante e..doloroso del mio lavoro, perché nonostante i doppi guanti, la tuta cerata e il berretto mi riempio completamente di spine.
Ancor più grave è il momento della pulizia dei frutti dalle spine (glòchidi); fico per fico con pochi movimenti delicati e precisi (per non determinare la formazione di macchie ed ematomi) pulisco i frutti con juta, erba fresca e sabbia. Il fico d'opunzia magenta è infatti molto difficile da lavorare sia perché la pulizia deve essere fatta a mano, sia per l'alta presenza di gel naturale che non rilascia facilmente i semi oltre i fori della setacciatrice. I frutti sono piccoli, aciduli e composti per la maggior parte da semi coriacei avvolti in una densa mucillagine, motivo per cui ci vogliono tantissimi fichi per ottenere una confettura-extra con più del 74% di solo frutta.
Come procedi per realizzare le tue produzioni?
Sono molto esigente ed il mio carattere mi ha portato a sperimentare il più possibile per avvicinarmi al miglior risultato possibile; la mia sete di conoscenza mi ha portato a far ricerche di giorno e di notte in altri paesi (Canarie, Mexico, Arizona) e di confrontare i risultati. Ho dovuto superare tante difficoltà locali per trovare chi mi lavorasse il prodotto secondo le mie precise indicazioni guardata sempre come un tipo “alieno” forse perché sono donna e forestiera. Ho sacrificato 5 anni per l'opunzia di Dillenius ma finalmente ho cominciato a creare "energia" ed "attenzione" intorno al mio prodotto. L' ultima entusiasmante produzione prevede delle conserve dolci :
- composta di cactus OPUNTIA d e fiori di lavanda (80%) con zucchero 120gr.
- composta di cactus OPUNTIA d. con scorze di arancia((80%) e zucchero ed ancora, confetture extra, mostarde e cuori di opunzia sciroppata.

 
Quale è in sintesi, Margherita,  il  senso della tua esperienza?
Un frutto d'opunzia caduto e frantumatosi ai miei piedi su una falesia bianca:fui inondata,così, da uno schizzo coi rossi più belli del mondo!

Grazie Margherita per il tuo rispettoso lavoro di valorizzazione di una specie da molti ritenuta “reietta” che tu hai saputo salvare dall’oblio e valorizzare come una “specialità” del territorio salentino.

cactus-opuntia-fichi-rossi-un-gradito regalo

domenica 25 agosto 2013

La mia Eugenia ha perso il colore!

L'esperto risponde

Domanda:
Ho acquistato delle piante di Eugenia myrtifolia della nuova varietà “Etna Fire” affascinata dalla particolare colorazione rossa delle foglie e ne ho realizzato una bordura a ridosso di un fondale scuro per farne risaltare meglio la particolare, nuova tonalità. Questa estate, tuttavia, il colore si è sbiadito, perdendo smalto ed assumendo i toni del verde. Mi può spiegare cosa è successo?
Risposta
La colorazione rossa della nuova vegetazione primaverile è una caratteristica comune a molte specie arbustive sempreverdi come photinia, dodonaea, leuchotoe, nandina e, nei giardini del Sud, eugenia (Syzygium myrtifolia).   
Questa particolare pigmentazione rossa è dovuta alla presenza nei tessuti vegetali di antociani, pigmenti prodotti nelle foglie nei periodi in cui in esse viene a mancare la clorofilla (autunno) o quando questa deve essere ancora prodotta in quantità sufficiente (primavera). Tanto più freddo è l’inverno e tanto fresca è la primavera e tanto più alta sarà la concentrazione di antociani nella nuova vegetazione con conseguente colorazione rossa, assai marcata, delle giovani foglie. La situazione è comunque transitoria: le foglie rimarranno rosse sino a che non verrà prodotta una adeguata quantità di clorofilla che coprirà il rosso cambiando il colore delle foglie in verde.

La varietà di Eugenia myrtifolia denominata  Etna Fire è stata ottenuta dai Vivai Faro, un grande vivaio siciliano, selezionando una mutazione, poi propagata, caratterizzata dal presentare una maggiore intensità e persistenza della colorazione rossa delle foglie, mantenuta, con diverse sfumature, per un lungo periodo dell'anno sino a che le temperature si mantengono fresche. 
 
Con l’arrivo dell’estate anche le foglie della Eugenia Etna Fire perdono intensità nella colorazione per ritornare a tonalità di verde e di bronzo; stia tranquilla, dunque, la “scoloritura” delle sue piante è solo transitoria perché il rosso si ripresenterà con l’arrivo del freddo e con la produzione di nuova vegetazione.
 

domenica 18 agosto 2013

Plumeria: Riposto versus Palermo

In Sicilia due luoghi posti agli antipodi non solo geografici ma anche culturali dell’isola si contendono la palma di città della plumeria, una specie esotica di origine tropicale che in estate è l’orgoglio di quei giardini o terrazzi che climaticamente se la possono permettere e non sono tanti nel clima mediterraneo.    
Palermo capitale e Riposto porto dell’Etna sono due aree climaticamente felici dove la plumeria vegeta bene e soprattutto fiorisce e si moltiplica, diffondendosi di talea in talea da balcone a terrazza, sporgendosi in fuori da ringhiere mal messe di case modeste nei quartieri del porto ma anche da ricche balconate,  dove i vasi di plumeria si contano a centinaia nelle collezioni dei non pochi appassionati. 
Il perché di tanta affezione è facile dire: Plumeria rubra è specie caraibica che passa l’inverno nel nostro clima in forma quiescente: uno scheletro di rami stecchiti punta in alto verso il blu del cielo con ramificazioni apparentemente prive di vita che tali rimangono sino al primo tepore della tarda primavera quando, in cima ad ogni singola bacchetta, spunta prima timidamente poi con esuberanza tropicale, un grande ciuffo di belle, grandi foglie che portano al centro un corimbo di fiori.
Sono fiori grandi, carnosi che sembrano modellati nella cera, sono fiori come di marzapane con petali pastello che emanano un profumo lieve e serotino.
Plumeria rubra  ibrido














A Palermo la chiamano pomelia ed è una pianta ubiquitaria in città con una concentrazione mai vista in altri luoghi a clima similmente mite; è un’affezione diffusa che si tramanda di madre in figlia quando in occasione di un matrimonio ci si prepara ad apprestare una nuova casa; un fiore che nella varietà più tipica ha petali bianchi e centro giallo e che, ovviamente,  è denominata “ palermitana”, varietà di Plumeria rubra consolidata e stabilizzata per le tante moltiplicazioni effettuate in città di generazione in generazione. 

La storia  della plumeria  a Palermo vuole che la specie sia stata importata in Europa dai caraibi, alla fine del settecento, ad opera degli inglesi, per poi giungere, ai primi dell’ottocento, nel giardino botanico di acclimatazione di Boccadifalco diffondendosi in seguito nelle case e nel cuore della città.
Anche dall’altra parte dell’isola, sulla costa jonica, nel tratto che corre da Acireale verso Messina, ed in particolare  a  Riposto,  un piccolo paese  affacciato sul mare, la plumeria è di casa. Sarà la presenza del massiccio etneo che incombe alle spalle o la vicinanza del mare ma a Riposto si crea un microclima particolare  che fa piovere come da nessun'altra parte in Sicilia ed allora anche qui stesso amore, stessa passione per la pomelia che fa spuntare  vasi fioriti per ogni dove.
Sito immagine
Gli appassionati di Riposto tuttavia non si limitano ad organizzare manifestazioni che ne promuovono la conoscenza e la relativa coltivazione, ambiscono anche al primato di chi per primo tra Palermo e Riposto abbia avuto l’onore di importare la plumeria in Sicilia. In seguito a ricerche storiche  svolte dall’associazione locale denominata “La Pomelia”   il merito toccherebbe all’armatore ripostese Flamingo che commerciando con i paesi caraibici importò nel 1810 la plumeria a Riposto  facendola poi conoscere nel decennio successivo ai palermitani. A conferma dell’evento la moglie di Flamingo, divenuto console di tutte le Russie, avrebbe offerto in dono alcune talee di plumeria alla moglie dello Zar Nicola II in visita a Palermo.
Storie di campanile? Forse si; ma che importa, a seguito del grande amore per la plumeria delle due popolazioni molti  vivaisti isolani  si sono specializzati nella coltivazione e commercializzazione della Plumeria rubra dotandosi di un assortimento varietale che grazie alle continue ibridazioni effettuate  nei paesi  d’origine  è diventato sempre più ampio per tavolozza di colore, sfumature e grandezza del fiore, con un numero di ibridi tale  da soddisfare i gusti dei sempre più competenti ed esigenti  appassionati dell’isola.

Per chi volesse approfittarne a Riposto è ancora in corso la manifestazione "La Pomelia, fiore esotico della Sicilia"  con numerose iniziative concernenti la specie e con la possibilità di acquistare le ultime novità varietali.
Vivaisti siciliani  dove trovare Plumeria rubra
 


 

mercoledì 14 agosto 2013

Acokanthera, un arbusto profumato ma assai velenoso

Acokanthera è un arbusto, o più spesso un piccolo alberello, di origine africana presente nei giardini di tradizione in Sicilia e i cui fiori profumati hanno contribuito a definire insieme all’aroma di specie come jasminum, citrus, brugmansia, pittosporum, mandevilla, murraja ed altre specie ancora, l’atmosfera di quei vecchi giardini siciliani di campagna posti a diletto di antiche case padronali circondate da agrumeti o vigneti.  
Erano giardini che i proprietari abitavano in estate e solo dopo il tramonto quando, di ritorno dal lavoro, si andava a prendere il fresco in giardino riposando su panche in pietra che il sole non aveva arroventato perché poste al riparo di arbusti che sapevano convivere con il caldo ed il cui profumo asciutto e pungente aleggiava nell’aria calda della sera mentre l’acqua dalla cisterna scendeva rapida lungo le saie.
Sono i giardini dei tempi in cui il caldo dell’estate siciliana si superava vivendo in case dai muri spessi con le finestre tenute in penombra: persiane accostate, aperture schermate e tende bagnate a rinfrescare le folate d’aria che dal giardino entravano in casa; l’acqua da bere veniva tenuta al fresco nel “bummulu”, orcio di terracotta perennemente avvolto in un panno sempre bagnato e per chi poteva permetterselo, nelle case nobiliari, si passava le giornate torride di luglio in una stanza ad hoc detta “ stanza dello scirocco”; un posto, chiuso, al riparo dal sole, rinfrescato da torri a vento o da intercapedini d’acqua da cui uscire solo con l’arrivo della brezza spazza caldo.
Acokanthera così come altre specie “antiche” ha fatto il suo tempo e nonostante il profumo speciale che si sprigiona dai suoi mazzetti di fiori all’inizio dell’estate, è praticamente scomparsa dai giardini moderni che nessuno ama più frequentare di sera: ci sono le zanzare, i vicini fanno rumore e si sta così freschi in casa se si accende il “clima” e si guarda la TV. Per quei pochi come me, nostalgici, che adorano prendere il fresco in giardino con le gambe spruzzate di Autan, odiano l’aria condizionata e finanche i ventilatori, ma adorano il profumo delle tante specie presenti nei giardini di campagna, riassumo poche notizie utili su Acokanthera spectabilis ( A. oblongifolia nella nuova denominazione GRIN) un bell’arbusto dall’aspetto elegante e delicato ma nelle cui vene scorre un lattice tra i più velenosi del mondo vegetale. 
Acokanthera spectabilis è un arbusto legnoso sempreverde, originario dell’Africa meridionale appartenente alla famiglia delle Apocynaceae; come molte altre specie appartenenti alla stessa famiglia (plumeria, oleandro, allamanda, trachelospermo, strofanto, thevetia) acokanthera ha tessuti vegetali altamente velenosi tanto che la linfa lattiginosa che ne impregna i tessuti veniva utilizzata dalle popolazioni del sud dell’Africa per avvelenare le frecce utilizzate per la caccia all’elefante. Se uno non sa di questa sua intrinseca pericolosità ne apprezza invece particolarmente l’aspetto ornamentale molto attraente per la chioma tondeggiante di un fitto fogliame di colore verde scuro fatto di foglie ovali ed appuntite, coriacee, che in inverno assumono una insolita tonalità violacea.
Nella tarda primavera la parte terminale dei rami, all’ascella delle foglie, si ricopre di grappoli di fiori bianco rosati un poco appiccicosi che emanano un profumo delicato simile al gelsomino. La fioritura si protrae per tre settimane poi ai fiori seguono frutti della dimensione di una grossa oliva di colore cangiante con il progredire della maturazione: prima verdi, poi rosati ed infine nero violacei.
Sembrerebbe che l’unica parte della pianta non tossica sia il frutto maturo ma, nonostante le rassicurazioni di alcuni siti web, mi guarderei dal mangiarne. Sarà per questa sua pericolosità che la specie è divenuta rara nel panorama vegetale ornamentale; vista la velenosità dei suoi frutti molti responsabili di aree pubbliche ne evitano la coltivazione a protezione e tutela dei bambini. La specie abituata al clima africano è naturalmente resistente al caldo, al secco e alla salsedine e si giova di essere coltivata in gruppo.

Oltre alla specie Acokanthera spectabilis ho visto e fotografato all' Orto Botanico di Catania Acokanthera venenata dal fogliame di aspetto più morbido ed aggraziato.
P.S.
La foto senza logo è stata reperita sul web
 
 

mercoledì 7 agosto 2013

Anagrammi d'estate

Profumi d'agosto
Ecco anagrammati i nomi comuni di alcune delle specie estive più profumate dei nostri giardini; di che si tratta?
me solingo
 
cacio vi cola
 
 
 rubo seta

re indaga
 

lunedì 5 agosto 2013

Cycas baby

Noi umani ci crediamo esseri superiori perché il Signore ci ha fatti maschi e femmine con tutto quel che ne consegue ma questa non è una prerogativa esclusiva del mondo animale; anche le piante, che dispongono di molteplici strategie riproduttive, nelle specie cosiddette dioiche ricorrono anch’esse alla riproduzione tra individui di sesso diverso per ottenere una opportuna ricombinazione genetica nella prole; gli esempi di specie vegetali a sessi separati non sono pochi: kiwi, phitolacca,  pistacchio, pioppo, salice e la palma da datteri, sono solo alcuni esempi. Anche nel gruppo delle gimnosperme, considerate nella catena evolutiva specie poco specializzate non avendo i fiori, ci sono entità botaniche come Cycas revoluta che presentano individui dei due sessi. Il riconoscimento degli esemplari femminili e maschili nella cycas non è difficile ed in natura è alla loro vicinanza e al vento che è affidata la generazione di nuovi embrioni.
Cycas   revoluta femmina
 
La maggior parte delle cycas presenti nei giardini o in coltivazione sono individui femminili che si riconoscono facilmente perché presentano al centro del giro di foglie fotosintetiche un cono di forma sferica (strobilo) protetto da particolari foglie fertili poste a protezione degli ovuli; al momento della riproduzione, in tarda primavera, le foglie si sollevano permettendo al polline di arrivare ai macrosporangi, spinto dal vento; le foglie si chiudono a protezione di degli ovuli in maturazione che assumono una  caratteristica  colorazione arancione.
 Cycas revoluta maschio
Per la riproduzione dioica occorre evidentemente anche la presenza di un individuo di sesso maschile che per la cycas non è tuttavia di facile reperimento; il riconoscimento dell’esemplare maschile di Cycas revoluta è semplice ed intuitivo perché al centro del cespo di foglie si produce uno strobilo a forma di pigna alta anche trenta centimetri dalla quale, al momento opportuno, fuoriesce da apposite sacche polliniche una nuvola di polline che spinta dal vento arriva a contatto con gli ovuli femminili; solo dopo molti mesi i granuli pollinici riusciranno a penetrare all’interno dell’ovulo effettuando la fecondazione con una  percentuale di germinazione che non è mai particolarmente alta.
Cycas revoluta baby
Se questo è quello che avviene in natura, in coltivazione, invece, la mano dell’uomo è provvidenziale per aumentare la percentuale di successo intervenendo al momento opportuno per prelevare lo strobilo maschile che viene scosso al di sopra del cono femminile quando le foglie fertili si saranno aperte. La percentuale di ovuli fecondati sarà, in questo caso molto più alta ed è quello che ho potuto constatare di persona visitando uno dei più grandi vivai del Mediterraneo che ha sede a Carruba vicino Acireale; i Vivai Faro hanno numeri da capogiro per produzione e commercializzazione di piante mediterranee, palme, specie tropicali; l’organizzazione delle diversi fasi della produzione delle piante in vaso e per esterni avviene su una superficie complessiva di 600 ettari con metodi altamente sofisticati e per capirlo basta entrare in una delle tante serre che costituiscono l’"Unità di Propagazione" e vedere il susseguirsi di decine di bancali dove file ininterrotte di ovuli di cycas sono messi a radicare appoggiati su di un soffice substrato di torba e perlite.
Sono migliaia di ovuli che si susseguono a distesa come piccole uova di dinosauro delle quali ci si attende da un momento all’altro l’apertura.    
Ed il numero di esse che dalle semine di febbraio ad oggi ha emesso radice e con essa la prima fogliolina è altissimo: sono le baby cycas che, a fogliolina consolidata, verranno rinvasate cominciando in tal modo il loro percorso di crescita.
Ogni anno un travaso ed un giro di foglie per piante che presentano una crescita lentissima; ci vorranno quindici anni per saperne il sesso e molta pazienza. Le cycas non hanno fretta di crescere, le attende una lunga aspettativa di vita che potrete constatare andando a visitare gli esemplari dell’Orto Botanico di Palermo che di anni ne hanno più di  duecento.

 
 
 
 
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