sabato 26 marzo 2016

“Rose perdute e ritrovate"

C’è un luogo in casa dove niente e nessuno mi può disturbare; quando chiudo la porta del bagno tutte le incombenze devono aspettare: sia che si tratti di scuola dove c’è sempre un argomento da preparare o di lavoro domestico perché ho troppe cose trascurate da ripulire o il cane da uscire o anche solo dovere pagare via web la bolletta che sta per scadere.
In questo luogo privato dove espletare un evento ineluttabile che non si può rimandare, mi ritaglio solo pochi minuti di relax personale che di solito dedico alla lettura di un qualche libro speciale il cui formato deve essere opportuno per non pesare, il carattere grande per non stancare ed il contenuto concepito in modo da poter essere letto in pillole, ogni mattina una pagina di senso compiuto, un testo da centellinare per tanti giorni a venire.
Il libro che in questo periodo mi fa compagnia nel mio luogo appartato è "Rose perdute e ritrovate” di Mimma Pallavicini e Carlo Pagani della Pendragon di Bologna. Il libro è un dono di Natale che è rimasto in bagno ad aspettare che arrivasse il suo turno di lettura perché avevo prima da finire un piacevole vocabolario ragionato delle parole in dialetto siciliano.
Ora  è da qualche giorno che leggo di rose nei cinque minuti che mi posso estraniare ed ho trovato la lettura così interessante che ho rischiato più volte, seriamente, di non essere presente alla campana di ingresso della scuola che mi vede insegnante.
Rosa indica major
La rosa è per me una pianta inarrivabile e sfuggente che non ho mai avuto il coraggio di coltivare non avendo un giardino a disposizione ma solo un assolato balcone dove qualche rosa regalata è passata presto a miglior vita. Ma vado matta per la sua storia avventurosa fatta di viaggi e di migrazioni, di incroci e di ritrovamenti e per l’aurea romantica e poetica che la circonda, per quel deliquio che mi prende a sfogliare un catalogo di rose antiche. 
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Ed è proprio di rose antiche che parla il libro, di specie, varietà ed ibridi di rosa creati dal Rinascimento alla metà dell’Ottocento; rose profumate, dal fiore sontuoso, resistenti alle malattie e facili da coltivare sia in giardino che in vaso; nomi romantici, per lo più francesi come Fantin Latour, Cardinal de Richelieu, Felicité Parmentier, Alberic Barbier, rose quasi estinte che alcuni vivaisti hanno cercato in antichi giardini ed in parte ritrovato riproponendole al grande pubblico a partire dagli anni 80. Ogni varietà è descritta da una scheda tecnica che ne racconta la storia e per ogni rosa elencata c’è, a corredo della descrizione, un pensiero, un aneddoto, un racconto di fatti accaduti, eventi felici o mesti legati ad una rosa ricevuta, regalata o letta in poesia; notazioni più tecniche quelle di Carlo Pagani, inaspettatamente intime e personali quelle scritte da Mimma Pallavicini. 
Cornelia, Alberic Barbier, Rosa bracteata Mermaid
Gli autori che, nel raccontare di rose sanno, con il lettore, essere amici confidenziali, capaci di distillare, dalla rosa, poesia e nostalgia, sono due icone del giornalismo botanico in Italia: Carlo Pagani è l’ indiscusso “Maestro Giardiniere” che sul Web o in video o in editoria conduce rubriche di successo su come coltivare in vaso, in giardino o nell’orto. Mimma Pallavicini è giornalista del verde che scrive su Gardenia, pubblica libri e  gira l’Italia a caccia di aziende ed esperti meritevoli di essere inseriti nei programmi delle selezionate mostre di giardinaggio che organizza e cura.
Iceberg, Rosa bancksiae lutea, Felicia, Old blush
Il libro non è recente nel senso che la prima edizione risale al 1991 per Maggioli; è stato poi ripubblicato dopo nove anni dall’ Edagricole in versione corredata da foto ed oggi con lo stesso titolo, a distanza di venticinque anni, riappare edito da Pendragon. Un testo che tanti anni fa per primo fece conoscere le rose botaniche in Italia e che oggi riproponendole fa da sprone a vivaisti ed amatori perché le tante rose ottenute anche in un recente passato (in Italia, ad esempio da Aicardi, Bonfiglioli, Mansuino ) non siano dimenticate.
A chiusura del libro alcune note di coltivazione e un contributo di architetti paesaggisti italiani (Auletta, Boriani, Furlani Pedoja, Mariotti, Meucci, Vremec, Zauli,) che ripropongono l’uso delle antiche varietà di rosa nelle loro realizzazioni progettuali.
“Rose perdute e ritrovate” si è rivelato un libro di lettura piacevole, tanto che credo rimarrà a lungo in cima alla pila dei miei libri, compagni di bagno.

 

lunedì 7 marzo 2016

Il paesaggio degli agrumi tra Sicilia e Sardegna

A Milis  per "Primavera in giardino" si parlerà di paesaggio agrario 
La stagione dei fiori è alle porte e già  si cominciano  a pregustare le precoci avvisaglie dell’imminente  primavera con l’avvio delle prime manifestazioni del verde che, dalla seconda metà di marzo,  cominciano ad aprire i battenti,  per continuare poi su e giù per l’Italia in una successione mozzafiato e spesso con sovrapposizione di date, per tutti i fine settimana a venire, sino ai primi di giugno.
 
Tra le tante iniziative da visitare sono molti gli appassionati che aspettano l'avvio di  “Primavera in giardino”, mostra mercato di piante insolite  che si svolge, oramai da sedici anni a Milis in Sardegna, nei giorni del 12 e 13 marzo. E’ questa una manifestazione che viene descritta, in tutte le recensioni che ne ho letto, come di un luogo dove si può guardare, comprare o anche solo parlare di verde raro ed insolito all’insegna della socievolezza, del buon vivere, della rilassatezza ma anche della competenza delle aziende partecipanti e della passione e professionalità di chi la manifestazione organizza da tanti anni.

Leo Minniti ed Italo Vacca del vivaio “I Campi" sono stati, infatti, capaci, di programmare e far crescere un evento divenuto imperdibile per un pubblico di intenditori ed appassionati che confluiscono nella Vega di Milis,
con i suoi storici aranceti, per confrontarsi, ogni anno su una declinazione del tema di come debba essere interpretato il giardino mediterraneo in un luogo come la Sardegna dove il clima, la scarsa disponibilità idrica e il paesaggio intorno dettano regole ben precise per la sua progettazione in chiave ecosostenibile. Quest’anno il tema conduttore dell’evento è:  Per il paesaggio agricolo della Sardegna : un  capitale culturale ed economico come ponte verso il futuro; ed io che non sono mai stata  a Milis ed anche quest’anno non avrò modo di andare, mi sono immaginata, da siciliana, un gemellaggio paesaggistico tra Milis, che è terra di agrumi sin dal XIII secolo e la Sicilia dove gli agrumi hanno rappresentato e ancora rappresentano il paesaggio agrario di riferimento. 
Agrumi a Milis

Agrumi in Sicilia
In Sicilia, il paesaggio degli agrumi è tipicamente diffuso sulle aree pianeggianti in prossimità delle zone costiere, dove è maggiore la disponibilità idrica e le condizioni climatiche sono più favorevoli,  ma agrumeti si ritrovano ancora negli ambienti pianeggianti delle aree fluviali e delle fiumare, su terreni che risalgono dalla costa verso l’interno e nei più moderni impianti di notevole superficie che si estendono nella Piana di Catania, nel siracusano e nella parte centromeridionale dell’Isola, soprattutto per quanto riguarda la coltivazione dell’arancio.
 
I vecchi agrumeti oramai in stato di abbandono in aree terrazzate di bassa collina o i muretti a secco che delimitavano gli agrumeti dall’alveo dei fiumi, segnano ancora in modo così distintivo il paesaggio agrario da esserne divenuto nell’immaginario collettivo il paesaggio più tipico dell’isola, quello che storicamente meglio la identifica e rappresenta. 
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Gli agrumi sono parte integrante del paesaggio mediterraneo sin da tempi remoti ma, a parte il cedro ed il limone noti a Romani e prima ancora agli Ebrei, sono gli Arabi che, durante la loro dominazione, introducono in Sicilia dal Medio Oriente la coltivazione dell’arancio amaro.
Eccellenti maestri d’acqua, gli arabi applicarono alla coltivazione degli agrumi tecniche agronomiche adatte alla coltivazione irrigua realizzando complesse strutture utilizzate per captare e addurre acqua agli agrumeti; molti termini dialettali ancora in uso derivano da parole arabe come “favara d’acqua” sorgente impetuosa; “gebbia” (vasca per la raccolta dell’acqua); “saia” (canale dove scorre l’acqua).
Gebbia di origine araba
Nonostante gli agrumi siano stati da sempre considerati piante mitiche (esperidi) da ammirare e coltivare, in realtà il loro uso principale nel passato fu quello di alberi da ornamento per i giardini di delizie accanto alla vite, ai pergolati, alle palme; gli agrumi hanno fiori molto profumati da cui si ricavava la profumata acqua di zagara; il portamento delle piante è aggraziato con il fogliame verde intenso e producono in abbondanza frutti di forma e colore gradevoli.
Frutti belli da vedere ma non altrettanto da mangiare;  sino al XVII secolo, infatti, le sole specie presenti nell’isola erano il limone e l’arancio amaro il cui  sapore aspro imponeva  per il  relativo consumo l’uso dello zucchero o del miele in epoche in cui i dolcificanti non dovevano essere particolarmente diffusi.  Erano anche considerate piante medicamentose il cui succo era utilizzato, ad esempio, "...nelle febbri contagiose e pestilenziali" (Tacuinum sanitatis in medicina, XIV secolo). Bisognerà aspettare  il 1600 perché arrivi in Sicilia l’arancio dolce introdotto probabilmente dai portoghesi, come sta a dimostrare il nome di «portogalli» attribuito ai relativi frutti, ancora in uso in alcuni dialetti e poter parlare di consumo di arance a scopo alimentare. 
Ma è  solo a partire dalla metà del 1800 che  gli agrumi siciliani cominciano ad assumere un significato economico con la vendita dell’”agro “  alla marina inglese. Si cominciano allora  a spiantare  le viti,  per impiantare limoni ed  aranci ed in pochi anni  il reddito derivante dalla loro coltivazione divenne tra i più elevati dell’isola.  L’industria di trasformazione si ingrandì velocemente, tanto che nel 1855 operavano in Sicilia ventiquattro fabbriche per l’ottenimento di derivati agrumari.  L’alto reddito derivante dalle coltivazioni spinse, man mano che le terre migliori venivano occupate, a  mettere a coltura terreni meno felici per inclinazione, natura dei suoli e profondità dello strato agrario; si crearono allora particolari strutture murarie a secco che sostenevano terrazze di coltivazione, manufatti di singolare bellezza  strettamente legati al paesaggio e all’ambiente intorno.
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In breve la Sicilia conquistò la preminenza nella produzione e nel commercio degli agrumi a livello mediterraneo, posizione che avrebbe mantenuto fino agli anni 70 del 900.  Negli ultimi cinquant'anni tuttavia il mercato degli agrumi in Sicilia si è fortemente ridimensionato con conseguente forte decremento delle superfici coltivate. 
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Oggi i  vecchi impianti tendono progressivamente a scomparire fagocitati dall’espansione urbana, con frammenti che talvolta rimangono inclusi nel territorio cittadino, come nel caso del palermitano dove gli agrumi sono presenti nel contesto di ville e parchi storici; gli antichi terrazzamenti che conservano  esemplari annosi, con sesti molto irregolari, non più adatti alle lavorazioni meccanizzate, con impianti di irrigazione obsoleti, sono sempre più in abbandono, meritevoli per la loro valenza storico paesaggistica di essere sottoposti a vincoli di conservazione.
Anche la Sardegna ha una sua storia agrumicola da raccontare, basti pensare alla pompia (Citrus limon var. pompia) un particolarissimo e raro agrume che solo qui si coltiva e che, riscoperto da un gruppo di produttori, è diventato presidio Slow food o all’arancia di Muraleva  o ancora alla Vega di  Milis con i suoi storici aranceti.
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Perché non pensare,  allora, per i giardini di entrambe le isole, di ritornare  a coltivare agrumi per diletto? Mandarini, limoni, aranci, cedri, pompelmi sono piante belle, profumate, utili  che, se coltivate senza esasperazione produttiva, possono trovare posto  in un giardino ecosostenibile  in sintonia con il paesaggio agrario circostante.

Bibliografia:
Linee guida del Piano Paesistico Territoriale Regionale, 1996 Regione Siciliana, Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione
D. Romano, A. Continella, Gli agrumi fra storia e paesaggio, Università degli studi di Catania, Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie Alimentari
 
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