lunedì 31 dicembre 2012

Ricordatevi di essere felici

Il mestiere di benzinaio è ben strano; tutto il giorno tra oli e benzine, tubi di scappamento e motori, circondati dal frastuono del traffico cittadino in un luogo di lavoro agli antipodi con quanto sia possibile ritenere ecologico, salubre, naturale. Sarà per questo motivo che molti benzinai amano il verde, non quello di rappresentanza ad uso del pubblico ma il verde privato fatto di pochi vasi fioriti o di piccole aiuole disposte a ridosso delle pompe di benzina. Un piccolo spazio di naturalità che denota in chi lo gestisce sensibilità e gentilezza. La stessa che ha fatto esporre ad un benzinaio catanese il seguente messaggio di auguri:

Non posso che sottoscrivere l’augurio rilanciandolo a tutti gli amici del blog.
AUGURI!!!

sabato 29 dicembre 2012

Asphodelus, una pianta dell'Ade

Asphodelus microcarpus è una specie erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Liliaceae; diffusa in tutto il Mediterraneo è tipica dei terreni incolti, degradati dai frequenti incendi appiccati per ricavarne pascolo per il bestiame. La specie, nonostante il fuoco, riesce a rigenerarsi grazie al robusto apparato radicale rizomatoso formato da tubercoli molto simili all’apparato radicale delle dalie. La parte vegetativa della pianta è appressata al suolo in forma di rosetta con foglie carnose lineari, strette ed appuntite, a sezione triangolare, lunghe anche un metro, simili a delle spade; sarà per questo che la specie nell’antichità era nota con il nome di “lancia del re” o “hastula regia”.  

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In primavera dal centro della rosetta emerge uno stelo privo di foglie che porta in cima una infiorescenza a spiga molto alta con fiori singoli di colore bianco con una venatura centrale più scura che cominciano ad schiudersi partendo dal basso verso l’alto. I frutti sono capsule tondeggianti.
Sin dai tempi degli antichi greci l’asfodelo veniva considerata una pianta degli Inferi, la si piantava, infatti, sulle tombe come possibile fonte di nutrimento per i morti e pertanto era considerata nell’immaginario popolare come una pianta funerea; anche Omero, ad esempio, nel X libro dell’Odissea ne fa scorgere ad Ulisse un gran prato alle soglie dell’Ade in quella parte compresa tra il Tartaro ed i Campi Elisi dove stavano coloro i quali non erano stati ne buoni ne cattivi.
In tempi moderni la Rowling nel primo libro della saga di Harry Potter fa usare ad Herry la radice di asfodelo in polvere per preparare una pozione magica chiamata “Distillato della morte vivente”.
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In Sardegna, dove sono presenti estese garighe ad asfodelo, nel paese di Ollolai con le foglie raccolte in primavera e lasciate asciugare al sole, si preparano tradizionali canestri ottenuti con un’antica tecnica chiamata Iscrarionzu.
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Mentre la parte epigea della pianta è tossica per gli erbivori, i tubercoli radicali sono commestibili e molto appetiti da maiali ed istrici. Pur non essendo particolarmente gustosi, questi tuberi hanno consentito ai popoli mediterranei di sfamarsi in diversi periodi di guerre e carestie usandoli al posto delle patate.

Con la farina di radici di asfodelo si preparava un “pane dei poveri” dal sapore insulso e oggi difficilmente riproponibile anche se qualcuno ancora ci prova.

Bibliografia: Piante spontanee in Sicilia, Fabio Morreale, 2010, Natura Sicula;
Florario, Alfredo Cattabiani, 1996, Oscar Saggi Mondadori
 
Ringrazio Magda che  ha partecipato al quiz risolvendolo con grande facilità 

martedì 25 dicembre 2012

Terebinto, un arbusto "Rosso Natale"

Quando eravamo piccoli, nella Sicilia degli anni 60, non si usava fare l’albero di Natale ma si preparava il presepe. Subito dopo l’Immacolata, in un qualche gelido pomeriggio ennese prima dell’inizio delle vacanze, con mio fratello salivamo in soffitta a prelevare una vecchia cassetta di legno che custodiva da anni il necessario per mettere in atto la sacra rappresentazione: la carta per fare il cielo con dietro attaccate le lucine, la carta per fare le montagne, casette, pastori, greggi, un caravanserraglio di animali da cortile e ovviamente la capanna con annessi animali e famiglia.
Versione moderna del presepe anni '60
Ogni anno mio fratello, che essendo più grande dirigeva le operazioni, apportava qualche piccola innovazione: un mulino con le pale a ruota che un motorino elettrico faceva girare, il laghetto fatto con lo specchietto da cipria di mia madre, il fiume luccicante con la carta stagnola che andavamo a farci dare dal fioraio vicino casa, il mangiadischi per mandare la musica quando di sera si spengeva la luce; io avevo poca voce in capitolo ed in genere mi bastava “aiutare” ma un anno che avrei voluto inserire tra i personaggi del presepe i gladiatori con le tigri e le giraffe come avevo visto nel presepe della signora Seminara, mio fratello che era un fervente assertore del presepe tradizionale mi bocciò senza appello la proposta. L’albero di Natale lo trovavamo a casa degli zii che erano di tradizione “nordica” essendo la zia emiliana. Si andava in campagna, si adocchiava un pino (di abeti dalle mie parti manco a parlarne), si segava un bel ramo e lo si addobbava con fili dorati e poche palle dello stesso colore.
Il rosso, allora, non era di moda. Poi, negli anni a venire, a poco a poco, con l’avvento della pubblicità planetaria il Natale ha cominciato a tingersi di rosso prendendo spunto dal rosso Coca cola della palandrana del Santa Claus americano per contagiare nastri, pacchi, palline, tovaglie, piatti e anche le stelle di natale (americane pure quelle) e diventare così nell’immaginario collettivo il colore della festa.
   
Ed in campo vegetale? Tra le specie mediterranee che si apprestano ad affrontare il breve inverno del sud c’è un arbusto che, pur essendo specie spontanea che non ha tradizioni natalizie, per fogliame, portamento e gradevolezza estetica ben si adatta  alle esigenze scenografiche  del moderno Natale in rosso. Parlo del terebinto (Pistacia terebinthus) che in questi  primi giorni dell’inverno, in grandi macchie cespugliose, punteggia di rosso  le campagne alle pendici dell’Etna in una fascia altimetrica occupata da olivi e pistacchi e allo stato spontaneo, da leccio, ginestra e roverella fino a circa seicento metri di quota.


Questo arbusto o piccolo alberello ha foglie decidue che prima di cadere assumono diverse tonalità di rosso non solo nei diversi esemplari ma anche su parti diverse della stessa pianta in base all’esposizione. Rosso mattone, rosso brillante di foglie imparipennate coriacee, rosso cinorrodio dei  piccoli frutti portati in pannocchie terminali. 
 
 
Il terebinto chiamato comunemente scornabecco ha un apparato radicale che consente alla specie di abbarbicarsi a substrati pietrosi, poveri, aridi. La specie appartiene allo stesso genere del pistacchio (Pistacia vera) e per questo viene comunemente utilizzato come suo portainnesto in terreni sciarosi del versante occidentale etneo. Per me il terebinto è la specie del Natale, un arbusto che annuncia la festa e mette allegria in modo naturale senza gli artifici in technicolor del Natale moderno da pubblicità. 

giovedì 20 dicembre 2012

Un anno passato a "postare"

 
Natale è periodo di bilanci: a che punto ero quattro stagioni fa? cosa ho fatto quest’anno? che propositi maturo per l’anno a venire? Anche nel blog (che è puro divertimento) mi ritrovo a soppesare quanto fatto in questo lungo periodo e a valutare il livello di soddisfazione raggiunto. Non ho dubbi nell’ affermare che parlare di piante mi ha molto divertita. Trovare argomenti sempre nuovi, cercare spunti o elaborare un nuovo quiz o un cruciverba sono attività che hanno riempito i miei pomeriggi e mi hanno dato la spinta per uscire, fotografare, approfondire, studiare. Grazie, dunque, di cuore a tutti gli amici che hanno lasciato un commento facendomi sentire parte di un gruppo a cui mi legano passione botanica ed affetto.
 
e.. dunque
 
 
Buon Natale  e Buon Anno
 
a tutti ma un saluto ed un ringraziamento particolare ai miei
 “cari commentatori”
Audrie, Giulia Capotorto,  Zima,  Magda,  Taro,  Antimo,  Stranepiante,  Simonetta,  Santi (alias  il potatore),  Lidia, Giuliano, Penna,  Vivaio girasole,  Barbara,  Marcello Tringali,  Walter,  Marcello alias agronomo fumosa,  Irene,  Massimo Freschi 
in ordine progressivo di intervento 

venerdì 14 dicembre 2012

Hovenia dulcis, l'albero dell'uva passa

Una piacevole scoperta di una domenica passata "A’ Fera Bio"

Ogni seconda domenica del mese, a Catania, si svolge un mercatino delle produzioni biologiche equo-bio-locali  denominato ”A’ fera bio”; in passato la manifestazione aveva luogo nel perimetro esterno dell’Istituto Tecnico Agrario di Catania ma da un poco di tempo la fiera ha cambiato ubicazione svolgendosi dentro il cortile del Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena, in pieno centro storico. Il monastero è considerato, in città, luogo artistico e culturale per eccellenza essendo il secondo monastero benedettino per grandezza in Europa,  abitato dalla metà del 500 sino al 1866 da monaci provenienti dalle più importanti famiglie nobili cittadine che nelle diverse ricostruzioni ed ampliamenti settecenteschi chiamarono a lavorarvi i più conosciuti architetti dell’epoca. Dalla fine degli anni 70 il monastero è sede di varie Istituzioni Universitarie. Il luogo è, dunque, magnifico e quando posso ci vado volentieri con la scusa del mercatino bio perché si respira un’atmosfera rilassata con gente dai modi cordiali che vende in un contesto architettonico di grande piacevolezza e eleganza. Girando tra i diversi espositori che vengono da aree agricole dell’isola anche distanti da Catania, tra formaggi ed ortaggi rigorosamente Bi-o-lo-gi-ci! tra olio e pane tradizionale, ogni volta che vado, cerco il banchetto di una piccola azienda di Giarre che si chiama “Il Contadino Bio”.
E’ un’azienda a conduzione familiare che su una superficie di 13.000 mq ha riconvertito al biologico un vecchio limoneto di famiglia integrando la produzione agrumicola con un frutteto di specie subtropicali e tropicali che in terra di Sicilia si trovano bene, tanto da crescere e fruttificare con regolarità. Le produzioni biologiche ottenute sono esposte su un minuscolo banchetto dove accanto a noci, limoni, pompelmi ed olive trova posto un variegato assortimento di frutta esotica locale la cui visione scatena la mia voglia d’acquisto.
 
Avocado in diverse varietà insieme a frutti di Guava, Casimiroa e Fejoa; peperoncini di forma tozza chiamati Aji dulce provenienti dal Venezuela insieme alle più usuali zucchette africane (Sechium edule); e siccome non si vive di sola frutta esotica compro pure magnifici steli di Strelitzia reginae che come fiore reciso hanno una durata di oltre dieci giorni. Domenica scorsa, raccolto in mazzetti, vendevano tra l’altro qualcosa di molto particolare: grassocci tubercoli di consistenza carnosa contorti e ramificati, portati in cima ad esili peduncoli legnosi; a parte la forma assai strana, il grande stupore sta nel sapore di questi pezzetti carnosi che hanno un sorprendente gusto di... uva passa, già ammezzita e direi quasi già aromatizzata nel rhum.

La specie responsabile di tanta stranezza è Hovenia dulcis Thunb., un grande albero spogliante della famiglia delle Rhamnaceae noto appunto come “albero dell’uva passa” o, in inglese “Chinese raisintree” o “Japanese raisintree” essendo la specie originaria della regioni fredde himalayane della Cina, della Corea e del Giappone. Hovenia proviene dal freddo ed è dunque, specie comune nelle regioni del centro nord europeo come pianta ornamentale. In Sicilia non l’ho mai vista in coltura ma interpellando i venditori mi descrivono la specie come un albero di media grandezza con habitus molto simile al faggio. In primavera dopo la comparsa delle foglie inizia la fioritura che avviene in grandi racemi terminali sui rami giovani della pianta. La particolarità della specie sono i piccioli fiorali che nel corso della fioritura cominciano ad accrescersi ingrossandosi e dividendosi in modo dicotomico prima in due, poi in quattro e così via in modo progressivo formando un groviglio ramificato di aspetto disordinato.
E’ questa la parte edule della pianta dal sorprendente sapore dolce ed aromatico. Dai fiori si svilupperanno, poi, piccoli frutti sferici non commestibili che rimarranno attaccati al picciolo carnoso. Al termine della fioritura il grappolo ormai secco si stacca e cade al suolo agevolando non poco la raccolta. Tra le stranezze lette sul web una sostanza estratta dai semi e dalle foglie di hovenia sembrerebbe avere la capacità di fare passare la sbornia ai topi che, anche se abituati a bere forti quantità di alcol, con hovenia sembrerebbero preferire all’alcol le bibite analcoliche!

Hovenia dulcis, foglie
Ho avuto modo di vedere, in data successiva al post, anche la pianta di Hovenia; è un bell'albero di media grandezza  e per facilitarne il riconoscimento inserisco una foto delle foglie e dei frutti in fase di maturazione. 

sabato 8 dicembre 2012

Cruciverba botanico dicembre 012

Orizzontale 1: Iniziali di insigne botanico italiano vissuto alla metà del 1600; contribuì allo sviluppo del Giardino dei Semplici di Firenze; a lui Linneo ha dedicato un genere della famiglia delle Papaveracea; 3: Anemone coronaria; 6: insetti appartenenti ad una piccola famiglia di ditteri; ad essa appartengono la mosca della rosa e della carota; 9: Celosia cristata; 10: negli orti, striscia di terreno sopraelevata rispetto al suolo affiancata da canali di scorrimento dell’acqua irrigua; 11: genere cui appartiene la palma da cocco; 12: infiorescenza tipica della famiglia delle Poaceae (Gramineae); 14: Abbreviazione standard di Carl Linnaeus; 18: appellativo specifico di specie appartenenti ai generi Ammi ed Eryngium che deriva dalla parola latina capelli, chioma;19: ibrido intergenerico di orchidea Aerides x Ascocentrum x Phalaenopsis x Vanda. Verticale 2: Abbreviazione standard genere di orchidea Brapacidium; 3 pianta dalle grandi foglie comunemente nota come "orecchie di elefante”; 4: famoso vino DOC calabrese prodotto in provincia di Crotone; 5; iniziali del nome botanico di un’erbacea perenne della famiglia delle Rosaceae nota come “fragola matta”; 7: in botanica, fiore che ha gli organi fiorali inseriti più in basso dell’ovario; 8: iniziali di insigne botanico svedese studente di Linneo e grande amico di Joseph Banks; 9: abbreviazione del nome del botanico italiano Vincenzo De Cesati direttore, alla fine dell’800, dell’Orto Botanico di Napoli; 11: in botanica peli sottilissimi disposti sul margine, ad esempio di una foglia; 13: la... cima del prezzemolo inglese; 16: Abbreviazione standard del genere ibrido di orchidea Martiusara; 17: specie di falena appartenente al genere Fascellina; 18: iniziali del nome botanico di miagro rostellato.
 
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Se ti piacciono i cruciverba botanici guarda pure quii
 
 

martedì 4 dicembre 2012

Montanoa bipinnatifida: l'albero delle margherite

Una specie arbustiva a fioritura tardo autunnale
 
In questa stagione dell’anno, quasi alle soglie dell’inverno, trovare specie arbustive in piena fioritura non è certo usuale neanche per i giardini mediterranei delle regioni a clima mite. Se infatti sono molte le specie da fiore che in autunno e sino a che il tempo si mantiene bello effettuano una seconda fioritura dopo quella primaverile (Odontonema, Cestrum, Solanum Brugmansia) non è frequente trovare arbusti che effettuano un’unica fioritura tra la fine del mese di novembre ed i primi giorni di dicembre. Di alcune di esse, come Dahlia maxonii e Hibiscus mutabilis, ho già parlato essendo specie che hanno una certa diffusione nei giardini siciliani; oggi invece vorrei descrivere una specie arbustiva messicana che fiorisce proprio in questo periodo ma che nonostante abbia gradevolissime qualità estetiche non trova nei giardini siciliani la diffusione che meriterebbe. Montanoa bipinnatifida è una Asteracea a portamento arbustivo che in Messico, suo paese d’origine, è nota come “albero delle margherite”. Ed è proprio questa la principale caratteristica della specie che in autunno si esibisce in una piacevole fioritura di grandi margherite bianche svettanti, in fitte pannocchie, in cima a fusti alti anche tre metri.

Montanoa bipinnatifida è un arbusto a portamento eretto e crescita molto vigorosa che ramifica sin dalla base formando un folto cespuglio sempreverde di belle e grandi foglie profondamente lobate, pelose sulla pagina inferiore, opposte.
I fusti erbacei sono cavi internamente ed è perciò conosciuta anche con il nome di “pianta cerbottana”. In Messico fiorisce in primavera mentre sulle rive del Mediterraneo scambia le stagioni fiorendo tra la fine di novembre ed i primi giorni di dicembre. In cima ai rami si formano gruppi terminali di grandi margherite bianche riunite in pannocchie. I fiori sono molto decorativi con il capolino che porta fiori ligulati bianchi e fiori tubulari gialli. I frutti, come in tutte le asteracee sono acheni muniti di pappi per favorire la disseminazione anemofila.
Predilige terreni profondi e buona disponibilità idrica; i fusti erbacei sono piuttosto fragili e dunque si dovrebbe trovare per essa una zona del giardino riparata dal vento. Dopo la fioritura la pianta deve essere severamente potata per mantenere una forma compatta quando poi in primavera svilupperà la nuova vegetazione. La propagazione potrà avvenire per talea utilizzando parti delle ramificazioni così potate. L'ho vista e fotografata per la prima volta all'Orto Botanico di Catania ed è un arbusto così gradevole per la fioritura delicata ed abbondante, in un periodo dell'anno avaro di colori, che non capisco come la specie non sia diffusa nei giardini del sud.  Per il nord c'è la scusante che la specie non tollera le gelate ma nei nostri giardini è un arbusto che meriterebbe miglior fortuna. 
Dove trovarla: Vivai Noaro

venerdì 30 novembre 2012

Quiz botanico novembre 012

Cinque indizi per una specie
 
Genere
 
Specie
 
 Nell’antichità ero noto come “lancia del re” per la forma del mio scapo fiorale

Nell’Ade di me ce n’era un gran prato la dove avevano dimora coloro i quali in vita non si erano macchiati di colpe gravi ma neanche si era distinti per particolari virtù

Le donne di Ollolai ci fanno l’Iscrarionzu

 La mia radice ridotta in polvere è uno dei principali ingredienti del Distillato della Morte Vivente ( Primo libro di Harry Potter)

In momenti storici di vera carestia i popoli del Mediterraneo hanno mangiato le mie radici come insipide patate
 

lunedì 26 novembre 2012

Thevetia peruviana, il seme della fortuna

 
Thevetia peruviana, conosciuta anche con il sinonimo di Thevetia neriifolia, è un arbusto tropicale appartenente alla famiglia delle Apocynaceae molto diffuso sia come specie spontanea che  come ornamentale nelle regioni a clima tropicale e sub-tropicale (USDA zone 9-11);  nei giardini delle regioni a clima temperato caldo la specie trova utilizzazione come arbusto sempreverde molto decorativo per la lunga ed abbondante fioritura estiva di fiori campanulati di colore giallo zafferano, in virtù dei quali la thevetia è nota nel mondo anglosassone  con il nome di “oleandro giallo”.
La thevetia si presenta come un arbusto o piccolo alberello con rami flessibili e divergenti che portano foglie lucide, lineari, ristrette all’apice e con il bordo fogliare rivolto leggermente verso l’alto.
In estate in cima ai rami compaiono gruppi di fiori riuniti a mazzi dalla forma ad imbuto con cinque petali sovrapposti di colore giallo intenso (ma ce ne sono varietà anche di colore bianco e pesca) che si evolvono in drupe globose di colore verde oliva contenenti semi di forma tozza, lenticolare di colore bruno. La thevetia si riproduce facilmente per seme e si presta ad essere coltivata in vaso.


La specie è dedicata al monaco francese André Thevet che nel 1557 effettuò un avventuroso viaggio in Brasile per il quale divenne celebre e che descrisse nel suo libro: Les Singularitez de la France Antarctique, autrement nommee Amerique: (et) de plusieurs Terres (et) isles decouvertes de nostre Temps (Le singolarità della Francia Antartica, altrimenti detta America: e di numerose Terre e isole scoperte ai nostri tempi). Il genere comprende specie velenose come quasi tutti gli altri generi appartenenti alla famiglia delle Apocynaceae (Oleandro, Allamanda, Acokanthera) . Tutti i tessuti della pianta emettono un lattice bianco molto velenoso perchè contengono un glucoside chiamato thevetina, caratterizzato da elevata tossicità, la cui presenza si concentra nei semi. Da un resoconto della BBC di qualche anno fa nello Sri Lanka al consumo di semi di Thevetia si attribuiva un alto numero di casi di suicidio sia per la facilità di reperimento dei semi, visto che la specie cresce spontanea ai bordi delle strade, sia che per la loro elevatissima tossicità; basta, infatti, l’ingestione di un solo seme per causare la morte.
Anche agli indigeni delle regioni tropicali era ben conosciuta questa caratteristica dell’intera pianta che veniva usata per confezionare potenti veleni impiegati sia i per la pesca che per avvelenare le frecce. Nonostante la pericolosità della specie, la thevetina in dosi adeguate veniva utilizzata nella medicina popolare praticata da sciamani come cardiotonico e come rimedio per abbassare la febbre. I semi della thevetia hanno una forma assai particolare tanto da essere considerati, in India, dei talismani portafortuna da utilizzare per realizzare amuleti o da tenere in tasca e rigirare tra le dita.

I semi della thevetia hanno un elevato contenuto in olio ed in Messico, dove la pianta è praticamente in continua fioritura, hanno provato a coltivare la specie in modo estensivo per estrarne l’olio tramite spremitura dei semi, ottenendo glicerolo ed esteri, da cui ricavare biodisel. Da prove di coltivazione effettuate in questo paese da un ettaro coltivato a thevetia si potrebbero ricavare oltre 1000 litri d’olio con un rendimento considerato superiore ad altre specie più tradizionalmente usate come specie oleaginose (colza, girasole e arachide) da cui pure si ottengono biocarburanti.

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giovedì 22 novembre 2012

Fichi d’India : come pulire e gustare i “bastardoni”

Ci sono alcuni alimenti che sono talmente tipici di una regione o di un paese che ne diventano quasi l’emblema; basta dire mortadella e si pensa a Bologna, pastiera vuole dire Campania, la cotoletta è certamente alla milanese e non c’è altro alimento come la soppressata che sia per me sinonimo di Calabria. Quando si dice fichi d’india sfido chiunque a non pensare alla Sicilia e non solo come componente vegetale spontanea onnipresente in tutti i paesaggi di campagna o di mare dell’isola ma anche come frutta da tavola che in estate e in autunno rappresenta il gustoso completamento del pasto di una tipica famiglia siciliana.
Il fico d’india (Opuntia ficus indica) è specie che oltre a realizzare una produzione estiva di frutti dolci e carnosi, se forzata, produce in autunno frutti chiamati commercialmente “bastardoni” . Sono frutti più grossi del normale ottenuti attraverso una tecnica colturale chiamata “scozzolatura”. All’inizio dell’estate, subito dopo la fioritura si procede alla eliminazione di tutti i fiori e delle pale di un anno; l’ opunzia, stressata, provvederà ad effettuare una seconda fioritura con un minor numero di fiori dai quali matureranno frutti tardivi, maturati in un periodo più piovoso, più radi e dunque più grossi, pronti per il consumo in novembre, dicembre.
Il frutto del fico d’india è una bacca con buccia e polpa di colore verde, gialla o rossa a seconda della varietà; la buccia è ricoperta da alveoli di spine gialline, sottili, che si staccano facilmente svolazzando di qua e di la in attesa di conficcarsi su qualche parte esposta del tuo corpo; per accedere alla polpa croccante e succosa del frutto è necessario affrontare la cosa sapendo che di sicuro qualche spina arriverà a destinazione.

  Istruzioni per l’uso
1: Munirsi di guanti (meglio se di gomma) per maneggiare i frutti con relativa sicurezza
  2:Lavare abbondantemente i frutti sotto un potente getto d’acqua corrente
 
3: Procedere al taglio trasversale delle buccia cominciando dalle estremità del frutto
 

4:Praticare un taglio longitudinale incidendo la buccia senza intaccare la polpa 
 5:Sollevate i lembi dell’incisione e tirandoli verso il basso scollare la polpa del frutto dalla buccia
 6:Afferrare il frutto e tirare per separarlo completamente dalla buccia
7:Evitare di maneggiare i frutti con le mani che indossano i guanti utilizzati per togliere la buccia perché le spine passeranno rapidamente dal guanto al frutto e con la stessa velocità vi si conficcheranno sulle labbra o peggio, come  mi è successo una volta, sul palato.
Guardate anche quest'altro piatto di fichi d'india
Ulteriori avvertenze
Se non siete stati abituati a mangiare fichi d’india sin da bambini, al primo morso della polpa croccante, quando vi sentirete riempire la bocca di piccoli semi legnosi, avrete l’impulso di sputarli fuori uno ad uno; fatevi forza e dopo una sommaria masticazione ingoiate il tutto, senza distinzione. Se poi il frutto vi piace (e vi piacerà di sicuro) non fate come con le ciliegie, un frutto tira l’altro: i fichi d’india sono molto costipanti e non è certo il caso di esagerare. Dopo avere mangiato fichi d’india che contengono elevate quantità di tannino chiudete il pasto senza consumare altro cibo perché ogni altro alimento o bevanda avrà gusto metallico assai poco gradevole
.

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 Guarda anche quest post dal titolo: opuntia-ficus-indica-il-pane-dei-poveri

sabato 17 novembre 2012

La stagione degli agrumi

Si comincia con il mandarino, il più nobile degli agrumi
 
Con l’arrivo dell’autunno, quando, in Sicilia, sulle bancarelle dei mercati rionali cominciano a comparire le prime cassette di mandarini il vero buongustaio della frutta (mio marito) è felice perché comincia la stagione più buona dell’anno: la stagione degli agrumi.
Nespole, albicocche, ciliegie, pesche, anguria, uva e, a maggior ragione, mele e pere sono per lui solo un preludio, una ouverture, un antipasto alla vera sinfonia del gusto che comincia in novembre con la maturazione dei primi frutti dorati, fragranti e succosi come solo gli agrumi sanno essere.
In realtà i primi agrumi arrivano sui mercati già alla fine dell’estate; sono satsuma, mandarini della specie giapponese Citrus unshiu, molto precoci e dal gusto acquoso e sciapo che vanno raccolti e mangiati ancora verdi perché abbiano gusto di agrume.
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Ad essi si affiancano i tangeli, generalmente della cultivar "Mapo", un incrocio tra mandarino e pompelmo dal gusto aspretto come il genitore pompelmo e buccia giallina; si comprano e si mangiano solo perché da troppo tempo si è a digiuno di agrumi e bisogna calmare la voglia di agre in attesa che arrivi novembre quando la stagione entra nel vivo (tempo caldo permettendo) con la comparsa sulle bancarelle rionali del più nobile degli agrumi, il mandarino.
Citrus nobilis o come sinonimo Citrus reticulata è la specie cui fa capo il gruppo dei mandarini mediterranei la cui introduzione in Europa è tutto sommato recente. Il mandarino, infatti, specie  proveniente dall’Estremo Oriente, fu importata in Inghilterra da Sir Abram Hume nel 1805 da dove poi fu introdotta a Malta e dunque in Sicilia (1810) e in Campania (1816) presso la Reggia di Capodimonte.
In realtà, oggi, con il termine di mandarino si fa riferimento ad una categoria di agrumi vasta ed eterogenea perché alla specie principale Citrus nobilis si affianca una vasta categoria di agrumi definiti “mandarino simili” ottenuti per mutazione gemmaria dal mandarino o da incroci del mandarino con satsuma o tangelo; sono agrumi come il “Clementine”, un ibrido naturale di mandarino mediterraneo x arancio amaro trovato per la prima volta nell’orto di un orfanotrofio di Misserghin (Algeria) intorno al 1940 e così denominato in onore del frate Clement Rodier direttore dell’orfanotrofio. Il gruppo delle clementine è facilmente riconoscibile dal mandarino per la buccia arancione e la forma più arrotondata del frutto con una specie di muso che ricorda l’arancio.
Clementine in via di maturazione
Negli ultimi anni la ricerca nel campo dei mandarini è rivolta ad ottenere nuovi ibridi in grado di assecondare sia le esigenze dei produttori (elevata produttività, resistenza alle malattie, riduzione dell’alternanza produttiva, frutti precocissimi o tardivi) che le preferenze dei consumatori moderni che degli agrumi, in genere, rifiutano, aborriscono i semi.
Mandarino apireno
Tra gli ibridi più riusciti con frutti apireni: Taclé un ibrido a polpa rossa ottenuto dall’incrocio tra clementine Monreal x arancio Tarocco; Simeto ottenuto da incrocio tra satsuma Miho x mandarino Avana; Primosole ibrido tra mandarino Carvalhais x satsuma Miho; Nova ottenuto dall’incrocio tra clementine comune e tangelo Orlando.

Tratto da: Scelte varietali in agrumicoltura
Mio marito è contento perché, per gli agrumi, la tendenza produttiva è quella di anticipare e ritardare il più possibile la maturazione delle diverse specie e varietà; si va cosi sempre più incontro ad una lunga, lunghissima stagione di raccolta: dopo i mandarini arriveranno le arance bionde (quelle con il navel) , poi sarà il turno di moro, tarocco e sanguinello (arance rosse); riprenderanno poi i mandarini e le clementine tardive per concludere con le arance bionde Valencia late o Ovale.
Tratto da: Scelte varietali in agrumicoltura
Insomma, mangiando e spremendo si arriva di nuovo all’inizio dell’ estate e dopo un paio di mesi tra pesche ed angurie è di nuovo il tempo di una lunga, succosa ed aromatica stagione degli agrumi.

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 Sugli agrumi guarda anche questo post: agrumi il giardino delle esperidi ; moro-tarocco-e-sanguinello-arance d'inverno

Anche il Potatore ne ha parlato