domenica 15 giugno 2025

Calliandra tweediei, che bel maschio!

 

Mia nonna aveva un debole per mio fratello Tullio; voleva bene pure a me, è ovvio, ma per il maschietto stravedeva. Sposatasi ai primi del ‘900, aveva avuto molti aborti prima di riuscire a partorire un’unica figlia femmina e quando mia madre ebbe mio fratello, mia nonna vide in lui il figlio maschio che non aveva mai avuto. Tra i tanti aneddoti che si raccontano in famiglia su questa sua debolezza c’è quello di una gita a Taormina con pranzo in trattoria che riuniva tanti parenti con molte bambine al seguito ed un solo maschio: mio fratello. A fine pranzo la proprietaria del ristorante avrebbe voluto regalare ai bambini presenti un piccolo ricordo a tema siciliano ma non ne aveva in numero sufficiente per tutti; che fare? Mia nonna propose di risolvere la questione nell’unico modo che riteneva possibile, cioè chiedendone: “Uno solo per il maschietto!” tra i sorrisi non sempre indulgenti di tutti gli altri parenti.
La specie di cui oggi vorrei parlare sarebbe stata, dunque, molto apprezzata da mia nonna perché Calliandra tweediei, un arbusto molto decorativo di origine brasiliana che si ritrova, purtroppo, in modo sempre più sporadico nei giardini siciliani, ha nel nome del genere  l'essenza del  sentire di mia nonna. Il nome del Genere Calliandra deriva, infatti, dal greco kalos=bellezza e andros= maschio perché quello che appare come un fiore appariscente sotto forma di un piumino rosso porpora è in realtà l’insieme dei numerosi, lunghi, rossi, filamenti staminali, maschili appunto, riuniti in capolini globosi che terminano in cima con antere color paglierino; la corolla del fiore è invece piccola ed è nascosta tra gli stami; l’attributo specifico omaggia invece il naturalista scozzese John  Tweedie (1775-1862); che lavorò in Argentina Uruguay e Brasile come cacciatore di nuove piante.
Calliandra tweediei è dunque  la specie che dedico a mia nonna che, se l'avesse conosciutadi mio fratello avrebbe potuto  dire, senza tema di farsi capire dai parenti : ”che calliandra è mio nipote!”

Descrizione della specie
Calliandra tweediei Benth è un arbusto o piccolo alberello appartenente alla famiglia delle Fabaceae, originario del Sud America ed in particolare del Brasile da cui si è diffuso nei giardini di tutte le aree climatiche a clima caldo temperato. La specie in passato aveva nome Inga pulcherrima e così si ritrova ancora oggi  in qualche sito online che ne parla. Molto apprezzata è la sua fioritura che inizia con il primo caldo, protraendosi fino ad inizio inverno.
Piumini leggiadri di colore rosso fuoco punteggiano la pianta, molto diversi da quelli prodotti dal Genere australiano Callistemon che sono invece rigidi come lo scovolino usato per lavare le  bottiglie.
Callistemon sp.
L’arbusto ha forma aggraziata anche per via del fogliame portato da rami flessuosi, poco lignificati, coperti da foglie composte bipennate simili a quelle della mimosa. Le foglioline a sera o con il cielo coperto tendono a ripiegarsi verso il basso ma non reagiscono al tocco come in Mimosa pudica; i giovani steli, gli assi fogliari e i peduncoli sono variamente pelosi con peli grigi o biancastri.
Le foglie hanno spesso un colore verde chiaro che se si accentua potrebbe indicare nella pianta una carenza di ferro da curare eventualmente con l’aggiunta di sequestrene, è specie, infatti, che preferisce terreno tendenzialmente acido. 
La calliandra trova posto in giardino in zone di pieno sole o di parziale ombreggiatura; si adatta anche alla coltivazione in vaso dove l'acqua non le deve mancare.
Ci sono altre specie appartenenti al Genere che si possono coltivare nei giardini mediterranei a mare e sono in particolare Calliandra haematocephala riconoscibile per le foglie intere e piumini corposi di colore rosso cupo;
Calliandra surinamensis con foglie pennate e piumini bianco rosati rivolti verso l’alto; entrambe sono specie meno rustiche della Calliandra tweediei.

Dove trovarle: Torre Vivai

lunedì 19 maggio 2025

I nuovi giardini del Radicepura Garden Festival

Maggio 2025

 

Dimenticate le giornate uggiose del recente inverno, dopo una stagione di piogge inusuali per la Sicilia ed il Meridione tutto, è tempo di godersi l’arrivo del primo desiderato tepore in queste giornate luminose e terse che solo la primavera sa regalare. Per gli appassionati di giardini quelle di maggio sono settimane frenetiche in cui si susseguono ed accavallano mostre mercato, convegni, aperture di nuovi giardini, che a volere essere ingordi bisognerebbe sdoppiarsi o triplicarsi per vedere tutto ciò che di interessante si offre al pubblico. Questo fine settimana, da 16 al 18 maggio, ad esempio, in Sicilia, dove di verde se ne dovrebbe parlare spesso e non solo per due o tre settimane l’anno, si svolgono contemporaneamente: l’Infiorata di Noto, La Zagara all’Orto Botanico di Palermo e l’inaugurazione del Radicepura Garden Festival, vicino Giarre. Io ho scelto di vedere l’apertura del Radicepura Garden Festival, una manifestazione che si svolge a cadenza biennale, arrivata quest’anno alla sua quinta edizione. 

Parco di Radicepura

Il luogo dove si svolge il Festival, vicino Giarre, è il parco botanico di Radicepura, ideato e gestito dalla famiglia Faro proprietaria dei Grandi Vivai che esportano piante ornamentali in tutto il Bacino del Mediterraneo ed oltre. 

Mario Faro

All’interno del parco, dopo avere bandito un concorso di idee rivolto a progettisti del verde under 36, sono stati realizzati 10 giardini vincitori, capaci di interpretare al meglio il tema del concorso di quest’anno che è: “Chaos (and) order in the garden”. 

Antonio Perazzi

Una giuria guidata dall'architetto paesaggista Antonio Perazzi che è il direttore artistico delle ultime edizioni del Festival, ha scelto i progetti vincitori (tra oltre 1100 iscritti al concorso di questa edizione) ed ha invitato i relativi progettisti a Radicepura per procedere alla loro realizzazione all’interno del Parco, utilizzando il vasto assortimento vegetale che costituisce il catalogo delle piante in vaso prodotte dai Grandi Vivai Faro. Come in ogni edizione, un garden designer di vaglia internazionale  ha progettato e realizzato un suo giardino che rimane in forma permanente all’interno del Parco come hanno fatto in passato professionisti del calibro di Perazzi, Besson e Pejrone; quest’anno il giardino permanente si intitola:“A Postcard from Sicily” ed è della paesaggista inglese Sarah Eberle. 

I giardini premiati sono, in questa edizione, di respiro internazionale provenendo da professionisti arrivati in Sicilia da Italia, Francia, Hong Kong, India, Islanda, Spagna e Stati Uniti. 


Un comitato di esperti, a realizzazione avvenuta, ne ha valutato la corrispondenza con il progetto iniziale dando eventuali consigli operativi agli autori.
I giardini edizione 025
I giardini hanno bisogno
 di un loro tempo per strutturarsi e dunque vederli all’apertura del Festival può non rendere bene l’idea di quanto in realtà progettato. Io perciò, per non sbagliare, cerco di vederli più volte nel corso della stagione, privilegiando l’autunno per il giudizio finale. Tuttavia, tra i progetti che, in questa edizione, riescono da subito ad essere leggibili posso indicarne due: Patio, un’installazione realizzata da due fratelli di origine spagnola, Marta e Fernando Gamarro che si ispira ai cortili andalusi di piante in vaso, un luogo sociale dove le famiglie si riunisco al fresco della sera per stare assieme, chiacchierare e rilassarsi. 

Fernando Gamarro  (Patio) e   Monica Torrisi  (Mira)
Spiega Fernando, a proposito del suo progetto,  che il caos della vita in famiglia o il disagio della vita interiore di ognuno si quieta e trova ordine nella geometrica disposizione di vasi e piante disposte all’interno del patio. Un giardino andaluso che anche in Sicilia ha un equivalente nei cortili delle case terrane dei paesi, dove per tradizione venivano coltivate piante resilienti di facile mantenimento e propagazione, scambiate tra amiche e parenti per rinsaldare un legame familiare o di amicizia.
"Mira "di Monica Torrisi e Giada Straci
Il giardino Mira è stato progettato e realizzato da due paesaggiste siciliane che giocano in casa vivendo e lavorando alle pendici dell’Etna: Monica Torrisi e Giada Straci. Il loro progetto ha molto di costruito (e le maestranze dei Faro hanno fatto carte false  per riuscire a completare tutto in tempo per l’inaugurazione): un muro bianco con aperture che guardano e si affacciano su un ambiente la cui vegetazione si ispira a quella dell’Etna. Da un lato il caos e il disordine della biodiversità naturale, dall’altro l’ordine della linea costruita, lungo la quale si snoda un percorso di conoscenza; ogni finestra ha, infatti,  una didascalia di un frase senza tempo di letterati ed artisti come Ovidio, Pascoli, Guglielmo d’Aquitania.
Gli altri giardini  vincitori sono: Intricate Dance of Armonic Contrast del Team Koni Chan e Rose Tan di Hong Kong; The garden of the Mazari Palm di Nicholas Roth dagli Stati Uniti; Echoes di Claudio Bussei; Il Miracolo di Quasimodo dei fratelli Carlo Federico e Franco Enrico Serra; The Rambunctious garden del Team indiano formato da Parita Jani e Urvish Bhatt; il Giardino di terra del francese Vincent Dumay;  altri due progetti sono fuori concorso ma  invitati comunque al festival  dalla commissione esaminatrice  ed in particolare: Ignivomus hortus di Gudmurdur Bjornsso, architetto islandese e Living fence del team indiano formato da Asmita Raghuvansky a Amol Nimkar;  questi giardini, al momento,  devono ancora strutturarsi nella componente vegetale perciò per essi il giudizio rimane sospeso fino ad una prossima visita in corso di stagione.
Quello che posso dire, però, è che in questi giorni di apertura si è annusata una bella atmosfera a Radicepura; giovani progettisti impegnati nella realizzazione di una loro idea in un continuo scambio di impressioni  ed esperienze con gli altri premiati, insieme ad uno stuolo di giovani volontari  arrivati con Progetti Erasmus da tutta Europa per seguire ed aiutare nelle diverse fasi  la realizzazione dei giardini;  toccare con mano l'entusiasmo dei partecipanti per l'esperienza vissuta, per il contesto umano che li ha accolti, per il sole,  in un ambiente unico con vista sull'Etna, mi ha fatto sentire nostalgicamente rallegrata pensando al loro  futuro arrembante a confronto  con la mia voglia di entusiasmo che, per l'età,  tende a diventare progressivamente calante.
Orari e prezzi qui:

martedì 22 aprile 2025

Chamelaucium uncinatum aka Geraldton wax

Sul finire dell’inverno, tra le prime specie arbustive fiorite che, sino a qualche anno fa, era possibile reperibile in vaso presso garden o reparti green dei centri per il bricolage, c’era un piccolo arbusto di origine australiana, Chamelaucium uncinatum, che si presentava di aspetto globoso con una moltitudine di fiori dai petali bianchi cerosi che ricoprivano come tante stelline luminose un cuscino compatto di foglie aghiformi di un verde scuro particolarmente intenso. La specie coltivata in diverse varietà orticole sia come pianta in vaso che come fronda da fiore recisa per la notevole resistenza dei suoi fiori, era prodotta, sin dagli anni '70 soprattutto in Israele e California ed era coltivata anche presso aziende produttrici in Sicilia, nella zona del messinese, che la vendevano come vaso a fioritura precoce sui mercati del nord Europa.
Anche allora la coltivazione a scopo ornamentale non era una assoluta novità perché in Italia, la specie era già stata coltivata presso la Stazione di Acclimatazione di Sanremo dai coniugi Calvino per testarla come pianta da fronda fiorita. La specie, chiamata in lingua inglese “Geraldton wax flowers” dal nome del paese di origine posto sulla costa occidentale australiana e per i suoi “fiori di cera”, oggi è praticamente scomparsa dall’ assortimento varietale vivaistico e solo grazie alla Lidl (ancora lei) sono riuscita a procuramene un vaso. 
Non è specie facile da coltivare perché nel tempo tende progressivamente a perdere compattezza e lucidità del fogliame e vivacchia svogliata sino a tracollare, nell’arco di poche stagioni, nonostante le indicazioni colturali la descrivano come specie facile da coltivare in pieno sole o mezz’ombra su terreno sabbioso e con scarse esigenze idriche.
Sarà la difficoltà a mantenere la pianta in salute il motivo della progressiva disaffezione del mercato o solo perché anche per i fiori si insegue la ricerca continua di nuove novità vegetali da usare e poi dopo poco dimenticare?
Generalità sulla specie
Chamelaucium uncinatum è specie che cresce spontanea nelle aree a boschi e  lungo le brughiere sabbiose delle zone costiere della Australia sud occidentale caratterizzate da un clima di tipo mediterraneo, su terreno tendenzialmente acido, dilavato, povero di sostanza organica. Del genere Chamelaucium, che appartiene alla famiglia delle Myrtaceae, fanno parte una trentina di specie ma poche di esse sono coltivate a scopo orticolo come  Chamelaucium uncinatum: si tratta di un piccolo arbusto (se coltivato in vaso) di forma arrotondata, con fusti sottili ben ramificati e fittamente ricoperti da un fogliame aghiforme leggermente carnoso e coriaceo, ricco di oli essenziali dal sentore di spezie e limone che lo rendono molto profumato se schiacciato o strofinato.
Tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera produce innumerevoli piccoli fiori di colore generalmente bianco o rosa e in alcune varietà anche porpora, formati da cinque minuscoli sepali, cinque grandi petali cerosi e 10 stami, prodotti su rami fioriferi che possono portare da 50 ai 500 boccioli.
Il fattore principale che influenza l'inizio della fioritura di Chamelaucium uncinatum è il fotoperiodo; la specie infatti è a fotoperiodo breve ed in genere sono necessarie quattro settimane di giorni corti per ottenere la piena fioritura; questa condizione accompagnata da adeguate temperature si verifica nella nostra area di coltivazione in autunno ed infatti è alla fine dell’inverno che la pianta precocemente, rispetto ad altre specie, fiorisce. Più sono numerosi i giorni a luce breve, cui la pianta è sottoposta, e più è elevato il numero di fiori prodotti per pianta perciò nella produzione in serra regolando artificialmente il ciclo di illuminazione è possibile programmare il momento della fioritura e la sua quantità . Detto questo, quale potrebbe essere il motivo principale della ineludibile morte delle piante in vaso che ho avuto  in passato? Propendo principalmente per il pH del terreno: Chamelaucium gradisce in natura terreno acido o neutro e sicuramente lo sarà stato il substrato utilizzato nei vivai di produzione per la sua propagazione, che, per inciso, avviene da talea di ramo non fiorifero ancora non lignificato,  ma l’acqua che esce dal mio rubinetto è molto calcarea e alla lunga la sua somministrazione alla pianta  potrebbe avere alterato il ph acido del terriccio iniziale facendolo aumentare.  Leggo inoltre su articoli scientifici  che Chamelaucium è specie  particolarmente sensibile ad una malattia fungina tipo ruggine indotta dal parassita Puccinia psidii che determina un rapido deterioramento delle piante; si sono rilevati in serra anche attacchi di muffa grigia (Botrytis cinearea) che ne hanno probabilmente scoraggiato la produzione. Che fare? Non resta che approfittare di una comparsa occasionale  di Chamaelaucium sul mercato, come è stato per me con l’offerta della Lidl, per  fare un nuovo tentativo di coltivazione questa volta cercando di acidificare con succo di limone l'acqua utilizzata per innaffiare; sarà una buona soluzione? Vedremo.

martedì 28 gennaio 2025

Mangave: un po' di Manfreda, qualcosa di Agave

Sito immagine

 Premessa

Quando al giovedì arriva il nuovo volantino della Lidl mio marito lo mette da parte e me lo mostra l’indomani mattina a colazione perché sa che mi piace molto, tra un sorso di latte ed un morso al biscotto, guardare la pagina dedicate al Pollice verde dove ci sono le offerte delle piante da fiore e dei fiori recisi che saranno nei negozi Lidl dalla settimana a venire.
Scruto, considero, pianifico e alla fine decido a quale pianta dedicare soldi e tempo con l’intento dichiarato di salvarla, sottraendola a morte certa. Infatti, mentre le offerte su carta del volantino Lidl sono molto invitanti, nei negozi il reparto dedicato al verde è tutta un’altra storia: lo spazio è minimo, di solito relegato all’ingresso o addirittura fuori dal negozio, in un luogo tutto corrente e spifferi; le piante riportate in volantino spesso non ci sono (“Non sono ancora arrivate” dice immancabilmente l’addetto); quelle presenti, soprattutto, se annuali da fiore o perenni hanno un aspetto sbattuto che si accentua nei giorni a venire per carenza di acqua e disattenzione. Le piante sono trattate come merce deperibile a breve scadenza; il loro tempo è limitato ad una settimana, dopo di che, se invendute, spariscono alla vista dei più. Avendo intuito qual è la loro sorte, ogni volta che posso vado a comprarne qualcuna, con l’intento dichiarato di accompagnarla dolcemente verso una buona morte, portandola in un balcone luminoso e confortevole, con un poco d’acqua a reidratare le foglie, una carezza sul fogliame spento, un rinvaso in extremis per darle l’illusione di avere avuto una vita migliore.
Mangave, l’ultimo acquisto Lidl
Già sul volantino il nome di questa pianta mi suona strano: Mangave, mai sentito; è una pianta succulenta che occhieggia dall’interno di un cartone dai colori accattivanti; è venduta in vaso da 13 cm in tre varietà: "Lavander Lady", "Pineapple Express","Redwing" ; è descritta come pianta da interno/esterno, per ambiente poco luminoso e da innaffiare regolarmente.  Corro in negozio il primo giorno utile per espletare la mia buona azione vegetale e l ’acquisto è fatto non senza avere prima girovagato tra vari negozi per trovare la pianta desiderata. Ne porto a casa una e dopo essermi documentata sulla sua storia, corro di corsa al negozio e ne compro altre due varietà perché forse ho trovato una pianta del volantino Lidl che potrà, a casa mia, avere una buona aspettativa di vita.
Mangave è l’acronimo che è stato dato come nome, da tre vivaisti texani, circa quindici anni fa, ad un ibrido spontaneo ottenuto da un incrocio intergenico tra una pianta di Manfreda maculosa, impollinata casualmente da una pianta del genere Agave, probabilmente Agave mitis, nel territorio del deserto del Messico. In effetti piuttosto che un incrocio tra generi diversi, come ritenuto in passato, visto che Manfreda maculosa è stata recentemente riclassificata come Agave maculata, si può parlare più propriamente di un incrocio tra specie diverse dello stesso genere Agave, appartenente alla famiglia delle Asparagaceae; l’ibrido è stato poi registrato nel 2010, come x Mangave D.Klein. 
La particolarità di questa nuova pianta è la colorazione vivace delle foglie che risultano spesso maculate o puntinate, (carattere tipico della manfreda) associata alla struttura rigida e simmetrica dell’agave che però ha perso le spine appuntite presenti sulle foglie, diventate, invece, nell’ibrido, morbide ed innocue come in manfreda. In ogni caso da entrambi i genitori è derivato il carattere di resistenza alla siccità, alle alte temperature e alla forte insolazione.
L’ibridatore che più ha creduto nelle potenzialità commerciali degli ibridi Mangave è stato Hans Hansen direttore dello sviluppo dei vivai Walters Gardens, in Michigan. E’ lui che è riuscito a produrre altri ibridi riprodotti poi in vitro per una commercializzazione da grandi numeri. I primi sei ibridi inseriti nella collezione originale Art & Sol hanno nomi assai fantasiosi come: Lavender Lady (Signora Lavanda), Thunderbird (L’uccello del tuono), Bad Hair Day (Giornata dai brutti capelli) , Catch a Wave (Prendi un’onda), , Night Owl (Gufo notturno) e Tooth Fairy (Fatina dei denti) e ad essi negli ultimi anni, se ne sono aggiunti altri per un totale di 30 ibridi registrati
Sono piante dall’aspetto morbido e gentile perché i rostri delle foglie non graffiano nè feriscono; sono molto colorate dando un tocco esotico al giardino e possono essere coltivate con successo anche in vaso perché a rapida crescita ma a sviluppo contenuto e assai adattabili alle diverse condizioni idriche; nei confronti dell’acqua hanno, infatti, un comportamento diverso dalle agavi, ad esempio, non temono gli eccessi ed i ristagni, 
manifestando invece, in queste condizioni una crescita molto veloce; se, invece, se ne vuole rallentare la sviluppo , come nella coltivazione in vaso, basta somministrare acqua con parsimonia.
"Lavander Lady" ad esempio, uno degli ibridi che ho acquistato io, ha foglie a rosetta colorate con sfumature viola; le foglie crescendo diventano completamente verdi creando un contrasto di colore che diviene più intenso in pieno sole; massimo sviluppo in larghezza 40 cm.
"Pourple “blazing saddles” (Selle fiammeggianti viola) ha foglie verdi fortemente puntinate di macchie rosse con un portamento relativamente basso e compatto.
"Painted desert" (Deserto dipinto):foglie verde oliva con una fascia centrale più chiara ricoperta da punti rossi se esposta alla luce del sole; nel complesso, le foglie hanno una patina color bordeaux. Il portamento è eretto, perfetto per la coltivazione in contenitore.


Arrivata a casa portando le Mangaves appena acquistate le ho travasate, innaffiate e messe al sole che dicono aumenti ed esalti la loro particolare colorazione ed ora comincia la vera tribolazione; non mi ci devo affezionare perché , come da tradizione Lidl, saranno anch’esse malate terminali  o,  grazie alla resilienza acquisita dagli avi, un futuro migliore  ha per loro già messo le ali?

Per ulteriori approfondimenti guarda qui

domenica 12 gennaio 2025

Arancia Cara Cara, è una buona novità?

Ieri sera mio marito è tornato dal nostro negozio di ortofrutta preferito con un frutto novità: arance varietà Cara Cara (e non cala cala come detto erroneamente dal fruttivendolo), arance a polpa rossa che sembrano pompelmi ma che, a ben guardare, hanno l’umbone come le arance navelina. Le guardiamo con un misto di curiosità e scetticismo: di siciliane, queste arance sono siciliane perché prodotte a Palagonia, uno dei paesi vocati, in Sicilia, per la coltivazione delle arance pigmentate, ma il gusto sarà buono come quello delle arance della nostra tradizione? E si perché noi siciliani in fatto di arance siamo molto esigenti. 
Per un acquirente comune la stagione delle arance comincia con le arance vaniglia; arance dal caratteristico sapore dolce per la modestissima quantità di acidi contenuta nella polpa bionda, con un sapore troppo piatto, per noi, direi sciapo; mio marito le arance vaniglia non le considera manco agrumi perché:  “ se non si sente l’agro del succo che agrume è?" 
Viene poi la stagione delle Washington navel con polpa croccante, bionda, buccia media e a grana fine e soprattutto umbone cioè un piccolo ombellico ingrossato alla base del frutto che nasconde sotto la buccia l’ abbozzo di un secondo frutticino. Sono arance prodotte anch’esse in Sicilia, nella zona di Ribera in provincia di Agrigento, commercializzate con il marchio Riberella; sono arance con pochi semi, molto amabili e succose al gusto e precoci tanto che nei mercati rionali le vendono con il nome di “novelline”. Per mio marito una seconda scelta in fatto di arance, perché poco “agrumate” anche queste.
Infine, in gennaio, arrivano sul mercato i tarocchi; arance a polpa rossa, dalla forte pigmentazione antocianica;  il frutto è di colore arancio intenso con sfumature rosse, la forma è sferica ma può esserci la presenza di un collare o muso ben pronunciato, la buccia ha spessore medio e grana molto fine; un'arancia facile da sbucciare ed un gusto, questo si, agre e fruttato con un perfetto equilibrio tra zuccheri e acidità: per la mia famiglia il top in fatto di arance; a seguire nella stagione si possono trovare altre arance pigmentate di vecchia tradizione come il sanguinello ed il moro e, in fine, in tarda primavera,  l’arancia Valentia late a polpa arancio, gusto leggermente acidulo ed elevata resa in succo.
 arance Cara Cara
Con queste premesse, in fatto di gusti per gli agrumi, non fa strano dire che guardiamo a questa nuova arrivata con una certa circospezione. La buccia è arancione come quella di un navel e la base del frutto presenta un umbone: sembra una navelina; al taglio la polpa è rossa ma la pigmentazione è uniforme, diversa dal tarocco che appare striato, più simile a quella uniforme di un pompelmo, ma senza semi.
Sopra Cara Cara, sotto tarocco
E’ il momento dell’assaggio per un giudizio definitivo; il verdetto non è felice: gusto piatto, sciapo, melenso, decreta mio marito, Cara Cara non è  una novità  che incontra il gusto della nostra famiglia di ultraortodossi, tradizionalisti consumatori di arance siciliane doc.

Arancia Cara Cara, caratteri

L'arancia Cara Cara è una varietà di arancia navel a polpa rossa, ed è una mutazione spontanea che si è avuta nel 1976 su gemme di una pianta di Washington Navel coltivata presso l'Hacienda Cara Cara di Valencia in Venezuela.
I frutti sono rotondi e di dimensioni medio-grandi ed hanno una polpa distintiva di colore rosso-rosa,brillante. Questa colorazione deriva non dalla presenza di antociani, come nel caso del tarocco, ma di licopene, un potente antiossidante che conferisce la sua tonalità rosata anche a pomodori e anguria. L'accumulo di licopene è una caratteristica insolita nella maggior parte degli agrumi poiché è stato segnalato solo in poche specie come pompelmo e pomelo e solo in tre tipologie di arance tra cui la varietà Cara Cara chiamate per questo anche Pink Navels o Red Navels. I frutti hanno un sapore agrumato tipico di un’arancia navel, con qualche sentore in più di mirtillo rosso, mora, lampone e rosa e sono senza semi; in letteratura sono considerate arance ideali per preparare spremute fresche, frullati e cocktail al contrario dei tarocchi il cui pigmento si ossida all’aria alterando il colore del succo che diventa marroncino. Il succo e la scorza di queste arance Pink Navels, coltivate da anni in America ed in Cina, sono adatti per preparare marmellate, oli e sciroppi aromatizzanti.

Io, che sono meno oltranzista di mio marito  in fatto di agrumi,  a questa Cara Cara novità darò di certo una seconda possibilità.

Bibliografia

Regulation of carotenoid biosynthesis during fruit maturation in the red-fleshed orange mutant Cara Cara
Carotenoid profiling of red navel orange “Cara Cara” harvested from five regions in China
The Citrus Genome, Alessandra Gentile, ‎Stefano La Malfa, ‎Ziniu Deng · 2020
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