giovedì 30 giugno 2011

Tipuana tipu: un amico ritrovato

Se si vive in Sicilia non c’è bisogno di andare ai tropici per vedere dal vivo specie botaniche esotiche di assoluta bellezza estetica. Basta cercare e con un po’ di fortuna, come è successo a me, ritrovare, a Paternò, centro agricolo alle porte di Catania, presso la Villa comunale del paese, niente popò di meno che, un esemplare adulto di Tipuana tipu o palissandro del Brasile che, in questi giorni di giugno, è in piena fioritura, esprimendo al meglio le sue potenzialità estetiche. Ho individuato questo magnifico esemplare, per la prima volta circa dodici anni fa, quando , nei lunghi pomeriggi d’estate portavo mio figlio a giocare per ville e giardinetti del circondario, nel vano tentativo di farlo stancare e quindi stramazzare a letto una volta a casa; pio desiderio di poveri genitori bisognosi di dormire. Mio figlio non stramazzava, ma di quei pomeriggi conservo una mappa mentale di tutte le specie degne di nota da rivedere in tempi migliori. Il tempo è arrivato ieri per l’esemplare di Tipuana tipu sinonimo Tipuana speciosa che campeggia imponente in una grande aiuola al centro della villa.
Sotto la grande chioma di foglie composte pennate, molto simili a quelle della robinia, un tappeto di fiori gialli, dice che la fioritura volge al termine. La grande chioma a “baldacchino” di un verde brillante fa un’ombra leggera, svettando dall’alto dei suoi tanti metri.   La specie appartiene alla famiglia delle Fabaceae ed è a foglia caduca; i fiori giallo aranciati compaiono in giugno e ad essi seguono frutti chiamate samare , con il seme ad una estremità; il suo legno, adatto per ottenere chitarre, stecche di biliardo, scacchi, prende una lucidatura eccellente e viene chiamato commercialmente palissandro brasiliano per distinguerlo dal vero palissandro che si ricava da specie del genere Dalbergia.
Di esemplari di tipuana ne ho incontrati altri , sia in vivaio, da Natale Torre a Milazzo, massima autorità in Italia in fatto di specie esotiche da frutto e da giardino, sia all’Orto Botanico di Messina. Ora mi dicono che la specie è stata utilizzata, di recente, per alberature fiorite in alcuni paesi della costiera ionica ma, la tipuana, ricordiamolo, vuole spazio; è un albero che, con notevole rapidità può divenire imponente e il suo apparato radicale si espande in larghezza ed è definito, in alcuni siti, aggressivo! Perciò è d’uopo tenerlo lontano da piscine e muretti di confine, in aree limitate e ad uso condominiale. Se non disponete di adeguato spazio, fate come me: andate a fargli una visitina a Paternò, Villa comunale, prima grande aiuola a sinistra. 

martedì 28 giugno 2011

Dizionarietto botanico-giugno

Puntata di giugno


Agapanthus: Liliaceae, dal greco agàpe= amore e anthòs=fiore. 10 specie sudafricane, tra esse il grande Agapanthus comune o A. orientalis e non A. africanus né  A.umbellatus. Il vero Agapanthus africanus è specie piccola con ombrelle molto più povere.
(Carlo Stucchi docet).




Agave: Amaryllidaceae. Dal greco aguaòs=illustre, eccelso. Almeno 300 specie del Messico, Stati Uniti meridionali e America centrale. La comune Agave americana è coltivata e naturalizzata dal 1561. Altre sp. coltivate tra cui Agave victoriae-regina con foglie elegantemente marginate e A. germiniflora, anomala per le foglie giunchiformi, cilindriche, coltivata e descritta dal Tagliabue a Lainate come genere a parte ( A.  Littaea, dedicata alla nobile famiglia Litta). In Messico le agavi servono ai più svariati usi: legname, fibre tessili (Agave sisalana); per preparare una bevanda alcolica, il quale, da Agave atrovirens; la tequila, bevanda alcolica distillata da Agave tequilana e infine un liquido allucinogeno il mezcal da Agave longispina e Agave pes -mulae da non confondere con  altri analoghi allucinogeni prodotti dalla cactacea Lophophora williamsii e dai funghi Psylocybe mexicanaP. zapoteca e Stropharia cubensis.


Ageratum: Composite. Dal greco aghératos=che non invecchia, forse perché i fiori si conservano a lungo. Alcune sp. Ageratum corymbosum e Ageratum houstonianum (= A. mexicanum) comunemente coltivate. Ageratum coeruleum è nome di varietà orticola.


Aglaonema: Araceae. Dal gr. aglaòs=brillante  e nemae= filamento, forse per il colore degli stami. 41 specie indo-malesi di cui alcune coltivate in serra. Aglaonema modestum qualche anno fa si teneva, nella coltivazione in appartamento, semplicemente  in acqua, (Chinese evergreen degli Americani).


Akebia: Lardizabalaceae. Dal giapponese akebi. Due specie delle quali frequente Akebia quinata, del Giappone.


Albizzia: Leguminosae (oggi Fabaceae).  Genere dedicato al patrizio fiorentino Filippo Albizzi che coltivò per primo Albizzia julibrissin (julibrissin, nome persiano) proveniente da Costantinopoli. Altra specie Albizzia lophanta dell’Australia.



Allamanda spp.
 Allamanda: Apocynaceae. Genere dedicato a F. Allemand, botanico olandese dell’ottocento. Una dozzina di specie del Brasile e America centrale. Allamanda cathartica arbusto dai grandi fiori gialli, da serra.


Alocasia Araceae. Nome per assonanza con Colocasia. 60 specie come A. macrorryza di Ceylon.

Aloe. Liliaceae, nome derivato dall’arabo con senso di "vistoso", "amaro"; 200 specie dell’Africa e dell’Arabia. Molte specie sono coltivate in clima caldo e asciutto e in vaso, come Aloe brevifolia, Aloe ferox, Aloe saponaria, Aloe variegata, Aloe ciliaris, Aloe sarmentosa, comune nella regione mediterranea. Il legno d’aloe citato dalle sacre scritture non proviene da un aloe ma dall’albero indiano Aquilaria agallocha.



Alstroemeria
 Alpinia: Zingiberaceae, Genere dedicato a Prospero Alpini da Marostica (1553-1617), Professore di botanica a Padova, prima cattedra del genere e primo descrittore dell’albero del caffè. 200 specie dell’Asia tropicale.


Alstroemeria: Amaryllidaceae. Dedicata allo svedese barone Alstroemer (1736-1796). 60 specie dell’America meridionale. La più comune è Alstroemeria aurantiaca del Cile, Alstroemeria pelegrina del Cile e A. pulchella del Brasile.

Amaranthus: Amaranthaceae. Dal greco amaraino=che non avvizzisce. 50 specie e più degli incolti ruderati tropicali e subtropicali. Alcune specie sono coltivate per il colore porporino delle foglie e delle infiorescenze.


Amaryllis: Amaryllidaceae. Dal nome della pastorella "Amarillide" di Teocrito e Virgilio per la bellezza dei fiori. Il vasto genere è stato smembrato in vari generi e il nome amarillis in senso stretto non è ugualmente inteso da tutti. Secondo molti Amaryillis belladonna sarebbe l’amarillide a fiori rosei d’autunno proveniente dall’Africa del sud e le comuni amarillidi passano nel genere Hippeastrum tra cui Hippeastrum vittatum, H. equestre, H. aulicum ecc. Secondo altri  autori l’amarillide rosea autunnale è Brunsvigia rosea e gli Hippeastrum si trovano nel genere Amaryllis dove Amaryllis belladonna sarebbe sinonimo di Hippeastrum equestre. L’amarillide "giglio di San Giacomo è Sprekelia formosissima e Amaryllis  porporina è Vallota speciosa. Altri generi: Zephyranthes dell’America del sud con Z. candida e Z. grandiflora, comuni.


Ampelopsis: Vitaceae. Dal greco àmpelos=vite e opsis= che sembra. 20 specie dell’America del nord e dell’Asia orientale. A. arborea vigoro e rustico rampicante dell’America del nord. A. brevi-pedunculata più delicata ,specie asiatica specialmente nella varietà screziata (var. elegans) detta illegittimamente Ampelopsis sieboldii. Altre specie appartengono al genere Parthenocissus. (in realtà in base alla  Grin taxonomy quaries i generi Ampelopsis e Parthenocissus sono sinonimi http://www.ars-grin.gov/cgi-bin/npgs/html/taxon.pl?26804#syn ) 

domenica 26 giugno 2011

Il casello col cappello

Foto curiosa


Vecchio ed abbandonato casello ferroviario fotografato nelle campagne di Aidone (En) tanto tempo fa; rivisto recentemente è  sempre allo stesso posto, (forse solo un pò "stempiato").

La specie, va da sè, è Opuntia ficus indica

giovedì 23 giugno 2011

Lagunaria: l’unica nel suo genere

Da un’isola del Pacifico ad un’isola del Mediterraneo
Le sistemazioni a verde realizzate in aree pubbliche di grande estensione come cittadelle universitarie, parchi urbani, giardini di grandi ospedali, offrono spesso, a chi volesse cercarle, gradite sorprese botaniche. Sarà perché l’impegno economico che tali sistemazioni richiedono è ingente, sarà che è necessario ricoprire ampie superfici, sarà che, in genere il committente pubblico non bada a spese ma è frequente ritrovare specie arboree, più raramente arbustive, che nei giardini privati è difficile reperire. E’ questo, il caso di Lagunaria patersonii, ancora una volta una specie australiana che dall’isola di Norfolk arriva direttamente in Sicilia. Mi è capitato di incontrarla passeggiando con il mio cane all’interno degli spazi a verde della cittadella universitaria catanensis. E’ lì da oltre vent’anni perché la prima foto che le ho fatto risale all’anno 1991 e già allora era un albero non di recente impianto. Ogni inizio estate, quando comincia a fiorire, vado a trovarla sia perché è l’unico esemplare che mi pare di ricordare in giro (oltre quello, istituzionale, presente all’Orto Botanico) sia perché, particolare nel suo genere.
Lagunaria patersonii è, infatti, un bell’albero di medio sviluppo a portamento piramidale, sempreverde, fitto di foglie ovate, coriacee, ricoperte di pruina sulla pagina inferiore. La specie, essendo una malvacea, ha fiori rosati simili all’ibisco che in giugno spuntano abbondanti all’ascella delle foglie; i fiori sono seguiti da frutti a capsule di colore marrone contenenti numerosi semi neri.
Il nome specifico, come dice la letteratura botanica, è dovuto al colonnello Paterson che nel 1856 ne inviò i primi semi in Europa e si ritiene essere l’unica specie appartenente al genere Lagunaria. Nelle zone d’origine questo albero è considerato specie adatta a sopportare la salinità e il vento delle zone marine; non presenta problemi di adattamento ai diversi tipi di terreno, al caldo e, mi dicono, anche al freddo. Più di così che si vuole? Invece dei soliti tre Cocos nucifera, tre, messi vicini vicini per fare massa, come è ormai consuetudine nelle sistemazioni a verde fatte al risparmio, non appena ne avremo l’occasione mettiamo una sola specie arborea: Lagunaria, che sia unica nel suo genere.




 

martedì 21 giugno 2011

Quiz botanico giugno 011

Cinque indizi per una specie




La famiglia a cui appartengo ti dice: “tienimi lontano dal cane” perché molte specie sono assai velenose;

Il mio nome scientifico ricorda un monaco di Marsiglia, botanico, che nel diciassettesimo secolo durante i suoi viaggi nei Caraibi studiò e documentò circa 4000 piante tra le quali Fuchsie, Begonie e …..;



Il mio nome comune mi è stato attribuito dai francesi, dal nome di una nobile famiglia italiana che nel 1200 creò e commercializzò un profumo che ricordava la fragranza dei miei fiori


Gli abitanti delle isole Hawaii mi usano per i “lei”

In alcune zone dell’Asia le mie foglie disseccate al sole vengono utilizzate per una miscela di tè dagli effetti antipiretici, astringenti purificanti, disintossicanti.


Soluzione

venerdì 17 giugno 2011

Genista aetnensis: una specie pioniera

La costante attività vulcanica che caratterizza l’Etna avrebbe dovuto abituare tutti noi che ci viviamo intorno a prendere la vita con filosofia; a non dedicarci con totalizzante impegno unicamente allo svolgimento di attività materiali che ci orpellano l’esistenza, finalizzata, sembrerebbe, all’acquisizione infinita di beni da accumulare, (nell’ordine di precedenza: prima casa; seconda casa al mare; terza casa in montagna; utilitaria per la città; macchinone per i viaggi comodi e chi più ne vuole, più ne metta) perché tutto è labile ed effimero.

Basta un singhiozzo del vecchio vulcano che la cenere emessa ti cancella d’un colpo la partenza in aereo del viaggio low cost, biglietto non rimborsabile; un imprevisto rigurgito della vecchia “muntagna” ti copre di lava la casa in campagna con annesso frutteto e stradella poderale; se ti sei attrezzato spendendo un capitale per essere alla moda sui campi da sci è certo ed assodato che gli impianti di risalita mille volte ripristinati verranno abbattuti ad inizio stagione da un impietoso rollio della mobile superficie vulcanica.
Quando una nera coltre di roccia prende il posto, invadente, delle verdi vallate (Valle del Bove, Val Calanna) delle tue escursioni giovanili non ti resta che aspettare lunghi anni per ritornare a vedervi spuntare qualcosa di verde. E le prime ad arrivare sono le specie pioniere, quelle che se ne infischiano delle comodità di un buon letto di semina ma si accontentano di nere pietre ammassate in modo incoerente tra le cui pieghe trovare un poco d’umidità. 
Pino laricio, ginestra di Spagna (Spartium junceum) e soprattutto Genista aetnensis sono le specie che colonizzano i campi pietrosi preparando il terreno (e non è un modo di dire) alle specie botaniche più schizzinose che vogliono trovare la pappa pronta: querce, faggi e betulle.
Tra tutte la specie dedite a questo duro lavoro la mia preferita è la ginestra dell’Etna, Genista aetnensis, una specie endemica dell'ambiente etneo diffusa sul vulcano sia alle quote più basse, in associazione con boschi di roverella e pino laricio che alle quote altimetriche più elevate, in associazione con pulvini di Astragalus. La specie è una leguminosa (oggi Fabaceae) ed è facilmente riconoscibile da una più comune ginestra di Spagna (Spartium junceum), cui, pure assomiglia, perchè caratterizzata da un portamento arboreo, con corteccia del tronco di colore giallo, foglie equisetiformi e verdi rami, lunghi e flessibili sui quali in estate compaiono fiori gialli papilionati, abbondanti e profumatissimi.
Entrare in un bosco di geniste, in giugno, è esperienza “emozionale”: vista (giallo, giallo ed ancora, lampi di luce gialli), olfatto (profumo intenso, mieloso che ti sembra di essere dentro una caramella ” ambrosoli” ; tatto vellutato (è quanto si prova a passare le mani sui rami flessuosi di genista fiorita partendo dalla base del ramo fino alla cima dello stesso per raccoglierne, staccandoli i fiori). Genista aetnensis è tra le specie pioniere la più adattabile a condizioni pedologiche estreme, il substrato d'elezione è infatti costituito da campi di lava giovane. Per questa particolare rusticità e per l’indubbia bellezza è tra le specie più utilizzate in interventi di rimboschimento e di recupero ambientale in ambiente vulcanico; tuttavia alcuni splendidi esemplari fanno bella mostra di se nel giardino pubblico del comune di Adrano dimostrando che la specie può essere a tutti gli effetti considerata specie da giardino.
Tecnica di propagazione

La riproduzione della ginestra dell'Etna avviene per seme che deve essere raccolto in autunno (novembre, dicembre) su piante adulte, mature ed in buono stato vegetativo. Dentro lunghi legumi falcati, leggermente pelosi che devono essere raccolti secchi, sono contenuti normalmente due semi che devono essere conservati tutto l’inverno per procedere in aprile alla semina, effettuandola o direttamente al suolo o in vaso avendo cura di tenere umido il terreno, in estate.
La specie è endemica dell’Etna ma, sono sicura che le piacerebbe conoscere posti nuovi.

martedì 14 giugno 2011

Il balcone del vicino è sempre più verde



Agata ha una vita complicata, mantiene da sola due figlie e, dunque, lavora tutto il giorno; non ha mai un minuto di tempo e la incontro raramente sul pianerottolo in comune e sempre di fretta con pacchi della spesa e mille incombenze da fare. Non so dunque come faccia ad avere un balcone sempre in fiore. Non è che, come me, per avere un balcone sempre fiorito, compri in continuazione piante nuove e a pronto effetto; no, lei ha cominciato pian pianino con un piccolo vaso di Senecio macroglossum, una pianta che si riproduce per talea di tralcio, e che in pochi mesi le è cresciuta a dismisura attorcigliandosi alla ringhiera del balcone,

producendo molteplici foglioline triangolari, grassocce e carnosette e, da novembre, anche gradevoli margheritine gialle, perduranti tutto l’inverno. Poi, ha aggiunto dei gelsomini: l’officinale che i vivaisti chiamano anche tradizionale, che a me muore ogni inverno ed in modo definitivo bruciato dal freddo (a Catania?) e che a lei, inspiegabilmente, bruciato nello stesso modo, ha rigermogliato con rinnovato vigore; accanto a questo un grande vaso con un più rustico Jasminum azoricum, sempreverde e profumato.

Recentemente, ai vasi di cui sopra, ha aggiunto uno striminzito contenitore con dentro Dipladenia alias Mandevilla, varietà Soundaville red, specie da fiore venduta come pianta da appartamento ma che in Sicilia, anche con esposizione a tramontana, all’esterno sta alla grande. La pianta nel suo balcone non solo si è ben acclimatata ma, pure, fiorisce da un mese senza pause né interruzioni, a profusione.
Quale sarà il suo segreto? Un concime a formula top secret? Cure notturne che non riesco a carpire? O semplicemente che le piante, come le persone soffrono lo stress da prestazione e più le attenzioni, più le segui, più le controlli ogni giorno per annientare ogni piccolo pidocchio, più gli togli, fior da fiore, cocciniglie a profusione e più le piante, spossate da tante attenzioni si esibiscono in fioriture stentate, foglie ingiallite e spesso, diventano preda di morte subitanea. Troppa acqua? poca acqua? Ah, saperlo come lo sa Agata. E’ proprio vero: il balcone del vicino è sempre più verde!

lunedì 13 giugno 2011

Cruciverba botanico "Abroma"

Orizzontale: 2: ambasciatore francese in Portogallo, è la persona presumibilmente responsabile dell'introduzione del tabacco in Francia intorno al 1560; 6: popolare specie da fiore, in vaso, appartenente al genere delle Amaryllidaceae, con foglie a ventaglio e fioritura invernale di colore arancione; 9:nome scientifico tradizionale della famiglia a cui appartengono mentha, teucrium, salvia; 11: frutto inglese di quercus; 12: Prospero Alpini, medico, botanico e scienziato italiano (1553-1617); 13: botanico francese alla direzione del orto botanico di Antibes, noto per avere criticato la teoria evoluzionista di Darwin; 15:Ice Cap Gladiolus; 17: nome scientifico del sommacco; 18: iniziali del nome comune inglese di Theligonum cynocrambe; 19: Olearia “Talbot de Malahie”; 20: lo è quella cipollina; 21: iniziale del nome proprio della pittrice floreale inglese North 1830-1890; Verticali: 1: aggettivo poco comune che indica fiore privo di perianzio; 2: nome comune inglese della palma Oncosperma tigillaria; 3: genere della famiglia delle Sterculiaceae a cui corrisponde il nome specifico Mucun; con il legno di quest’albero si producono scatole e casse di ebanisteria, casseforme per calcestruzzo, arredamenti; 4: l’odore di mandorle amare nei frutti è un chiaro esempio della sua presenza; 5: nome comune inglese di Avena sativa; 7: parte iniziale del nome di una popolare verdura che in latino vuol dire "succo lattiginoso"; 8: nome inglese di popolari legumi estivi; 10: nome del genere del sedano d’acqua; 14: abbreviazione genere ibrido di orchidea Doreenhuntara; 16: iniziali di botanico danese conosciuto soprattutto per il suo sistema di classificazione delle forme biologiche vegetali con cui le piante vengono classificate in base alla posizione delle gemme durante la stagione avversa;

Soluzione

Cruciverba botanico "Abroma" in PDF

venerdì 10 giugno 2011

L'estate è una stagione di sofferenza!

E’ il solito refrain che mi sento ripetere ogni anno, con aria accorata, al comparire del primo accenno di calore, da mio marito che soffre il caldo e che, per contro, adora il lungo, tiepido, inverno (siciliano); quando la temperatura comincia a salire, non c’è corrente, riscontro, turbine d’aria che sia bastevole a non farlo sudare. Di giorno tutti i santi aiutano perché non c’è ufficio che si rispetti che non programmi livelli climatici siberiani e gli impiegati ci stanno dentro imbacuccati come cosacchi del Don per prevenire cervicali e sinusiti sempre in agguato. Ma è la sera, a casa, che inizia la lamentazione sull’estate stagione di sofferenza. Nessun accorgimento anti caldo ci viene risparmiato: non si cucina per non accendere i fornelli; si aprono tutte le finestre per creare riscontro e se la natura non aiuta perché fuori l’aria è immota, si azionano alla massima potenza ventilatori a turbina in ogni stanza della casa ed, infine, lui dorme in brandina davanti alla finestra del balcone in un cono d’aria degno della galleria del vento di quelle utilizzate per le macchine di formula uno. Quando poi fa veramente caldo, ci si tappa in casa climatizzando alcune stanze dove si finisce per vivere assiepati fino al ristabilirsi di condizioni termiche accettabili. Anche io d’estate ho caldo ma la altrui stagione della sofferenza estiva è coincidente, per me, con il lungo, pregustato, agognato periodo di sospensione delle attività scolastiche lavorative e non sarà certo un po’di caldo a rovinarmi la gioia dell’ozio.
Al pari di mio marito, pure molte specie vegetali soffrono il caldo e molte di esse hanno dovuto adottare accorgimenti botanici per sfuggire alla esiziale coincidenza tra il verificarsi delle massime temperature stagionali e la minima disponibilità idrica. Foglie coriacee non traspiranti, spesso impregnate di sostanze protettive; sospensione o rallentamento dell’attività metabolica; perdita totale delle foglie. Il fenomeno in botanica è detto “estivazione” ed è, ad esempio, adottato, da una delle più comuni specie arbustive spontanee della macchia mediterranea: Euphorbia dendroides.


Proprio come mio marito vorrebbe fare, l’euforbia sospende in estate ogni attività vegetativa e per rendere la cosa più evidente i rami della pianta diventano di colore rosso mattone così come le foglie lanceolate che progressivamente ad inizio giugno cominciano a distaccarsi e cadere.

Durante la restante parte dell’anno la specie ha un aspetto molto gradevole con foglie di colore verde glauco disposte alterne su rami di un arbusto a portamento tondeggiante. Le infiorescenze (ciazi) portano ombrelle terminali di fiori gialli con grosse ghiandole nettarifere di colore giallo aranciato. Come tutte le euforbiacee i tessuti vegetali secernono un latice bianco appiccicoso che oltre ad essere molto tossico ha proprietà urticanti tanto da essere usato nella tradizione popolare per bruciare porri e verruche. In Sicilia ho sentito, inoltre, di gente di pochi scrupoli che usava rametti di euforbia per pescare in modo brutale pesci di fiume storditi ed intossicati dal suo latice. A scopo ornamentale l’euforbia viene utilizzata per ricoprire vaste aree dove rapidamente tendono ad inselvatichire.

 All' Euroflora, quest'anno, la Regione Sardegna ha portato una collezione di euforbie arboree spettacolari dimostrando come la specie può avere notevole valenza estetica nelle aree a clima mediterraneo. Se si utilizza come arbusto da giardino e le si fornisce un po’ d’acqua l' arbusto in estate non perde le foglie che, in ogni modo, ricompariranno al verificarsi delle prime piogge autunnali.

Perchè non impariamo dalle piante ad "estivare", in silenzio!.

martedì 7 giugno 2011

Ricinus communis: panacea per ogni male

Per la generazione dei miei genitori la parola ricino ha ancora oggi un suono sinistro. La farmacopea familiare trovava nell'olio, estratto dai semi di questa specie, la panacea di ogni piccola indisposizione; la stanchezza dopo un viaggio, una leggera infreddatura, un malessere infantile trovavano ineluttabile rimedio in un colmo cucchiaio di questo olio nauseante, viscido e lassativo. Ma il ricino deve aver turbato i sonni di molte generazioni del passato visto che la specie era nota sin dall'antichità per le qualità farmacologiche dell'olio, estratto per spremitura dai suoi semi. La medicina mesopotamica, già notevolmente sviluppata, utilizzava frequentemente l'olio di ricino come potente lassativo e come combustibile di lampade a stoppino. I semi di ricino erano oggetto di commercio nell'antico Egitto e ne sono stati ritrovati resti in tombe datate intorno al 4000 a. C. Per mascherare l'odore pungente e maleodorante di quest'olio medicinale, ad esempio, presso le tribù nomadi dell'Arabia era in uso di mescolare l'olio con latte riscaldato ed aromatizzato con sciroppo di fiori d'arancio o gocce di olio di garofano. L'acido ricinoleico, il trigliceride estratto dai semi del ricino, sembra alleviasse il bruciore delle scottature e fosse usato come unguento per i dolori reumatici; si sarebbe inoltre dimostrato efficace nel prevenire la crescita di numerose specie di virus, batteri, lieviti e muffe.
Dopo la vasta notorietà conosciuta nel mondo antico il ricino quasi scompare per riapparire in Inghilterra, in epoca Vittoriana, come specie ornamentale, coltivata in serra come decorativa annuale da foglia. Oggi la coltivazione del ricino ha ripreso impulso soprattutto come coltura estensiva, destinata alla produzione di olio da utilizzare nell'industria delle resine e delle fibre sintetiche; il prodotto è molto ricercato perché non ingiallisce.
Caratteri botanici

Da un punto di vista botanico, il ricino è specie appartenente alla famiglia delle Euphorbiacee che annovera essenze caratterizzate dall'abbondante emissione di lattice, spesso fortemente irritante e velenoso. Il nome del genere deriva dalla parola latina ricinus che significa "zecca" per la somiglianza esistente tra questo insetto ed i frutti della pianta. Al genere appartiene la sola specie Ricinus communis nell'ambito della quale è possibile individuare circa sei sottospecie diffuse in regioni climaticamente differenti. Se si ritiene, infatti, che la zona d'origine del ricino sia l'Abissinia, tuttavia, la sua coltivazione, sin dall'antichità, si era estesa in vaste regioni a clima tropicale e temperato.
Del ricino si conoscono anche numerose varietà orticole a foglie e frutti rosso porpora, utilizzate  come piante da giardino. Dove le basse temperature non intervengono ad arrestarne lo sviluppo, come in Sicilia, il ricino si comporta da arbusto perenne.
La specie è normalmente monoica e l'infiorescenza porta in alto, fiori femminili e nella parte inferiore fiori maschili. I frutti sono delle capsule spesso spinose contenenti normalmente tre semi. Tutta la pianta è fortemente velenosa per la presenza di un principio tossico detto ricina. I semi in particolare ne contengono un'alta percentuale, tanto che, uno o due semi ingeriti possono risultare fatali; per produrre olio medicinale, privo di principio tossico, occorre effettuare una spremitura a freddo seguendo alcuni accorgimenti per evitare contaminazioni.

In giardino
In Italia il ricino è una delle più diffuse essenze ruderali delle regioni marine a clima temperato caldo. In ambienti ad inverno mite la specie si comporta da perenne legnosa colonizzando, in grandi macchie a portamento quasi arboreo, ruderi e pietraie. Come pianta ornamentale è specie poco valorizzata nei nostri ambienti, al contrario dei popoli anglosassoni che utilizzano il ricino come annuale da foglia per le bordure miste. Eppure questa specie, anche in ambiente mediterraneo, ha ottime qualità per aspirare ad un posto in giardino, specie in zone climatiche dove la vicinanza del mare, l'aridità e la salinità del suolo rendono problematica qualsiasi copertura vegetale
. Se disponiamo di un fondale di fogliame scuro come di  cipressi o di olivi cipressini è quello il posto ideale per valorizzare le grandi foglie palmate della varietà "rubra", messa così in bella evidenza.

venerdì 3 giugno 2011

Dracunculus vulgaris: un ricordo punitivo

Le piante sono tra i ricordi più cari che una persona, scomparendo può lasciare; prenderti cura di loro e vederle continuare a fiorire, profumare, vegetare è un dolce modo per rinnovare il ricordo del caro estinto. Non tutte le specie, tuttavia, sono adatte allo scopo, quelle troppo delicate, sensibili e botanicamente difficili sentono terribilmente la mancanza del padrone e finiscono per morire anche loro; ma altre, meno delicate, possono vivere ancora tanti anni accontentandosi delle cure, spesso, maldestre di chi ha ricevuto il testimone del ricordo. La “spina di cristo” o Euphorbia milii di mia nonna materna le sopravvive ormai da quindici anni; è specie botanicamente quasi immortale e ritengo che continuerà a perpetuarne il ricordo ancora per chissà quanto tempo. Schefflera arborea variegata è una specie in vaso che mia suocera regalò ai miei genitori il giorno del nostro fidanzamento ufficiale (roba di venticinque anni fa). I miei suoceri non ci sono più ma la Schefflera arborea, immutabile, fa ancora bella mostra di se sul terrazzo dei miei genitori. Alla morte della madre un mio caro amico dovendo liberare l’appartamento ed il balcone di tutto quanto la madre possedeva mi ha voluto affidare una sua pianta di Aloe in vaso. E’ un bel momento quando in giugno lo invito a casa mia a rivederne la fioritura. Non sempre, tuttavia, il ricordo è dolce e fragrante; la specie che un’amica ha avuto tramandata dalla madre, alla quale a sua volta era stata portata in dono da un anziano zio, di ritorno dall’Africa, è una specie da tubero delle famiglie delle Araceae che appartiene al genere Dracunculus, in latino, piccolo drago. 
La specie è veramente particolare perché in tarda primavera produce enormi fiori di colore rosso mattone formati da una spata a contorni ondulati e da un lungo spadice che sporge all’infuori, di colore rosso scurissimo, quasi nero. La pianta, di consistenza erbacea vegeta in primavera per poi disseccare nel corso dell’estate dopo la fioritura;
nel suo complesso ha un aspetto estremamente suggestivo con grandi foglie di colore verde chiaro fortemente divise, spesso marmorizzate così come i fusti erbacei; una bellissimo ricordo, non c’è che dire, se non fosse per un piccolo particolare: all’apertura dei fiori lo spadice comincia ad emettere un fetore nauseabondo di carne in putrefazione che fa felici e richiama a frotte mosche e mosconi che provvedono alla fecondazione ma lascia basito chiunque abbia la ventura di sostare sottovento.
Praticamente un odore di carogna degna della savana africana; figuratevi averla in giardino.
Un ricordo punitivo a cui è possibile porre rimedio “castrando” lo spadice alla base; il fiore, evirato, non fa più nessun odore e, se viene reciso ed immerso in acqua, ha una durata veramente eccezionale. I piccoli tuberi possono essere coltivati anche in vaso ma, pur vegetando, la specie non fiorisce. Se si avesse il coraggio di non mutilare il fiore, a seguito della fecondazione, si produrrebbero bacche rosse, descritte, in letteratura, come molto decorative.
Ne vuoi qualche tubero pure tu? Non scherziamo con le cose serie; ad ognuno i suoi ricordi!


 
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