C’è in Sicilia, alle porte di Palermo, sui monti che guardano verso il mare di Bagheria, estreme propaggini di quel che rimane della Conca d’Oro, un paese che si chiama Misilmeri la cui economia, come in molti altri paesi siciliani, si basa sull’agricoltura ed in questo particolare caso sulla coltivazione dei cachi.
I cachi di Misilmeri hanno una certa notorietà tra gli estimatori dei prodotti agroalimentari tradizionali siciliani e da prodotto di nicchia a diffusione locale si è passati in questi ultimi anni, grazie all' incremento delle superfici coltivate ed ad una migliore organizzazione dell’offerta, ad un consumo del prodotto sia in altre aree della Sicilia che oltre lo Stretto.
Che hanno di particolare
i cachi di questo paese? Sono frutti dalla
pezzatura medio piccola e forma leggermente schiacciata prodotti da una tradizionale
cultivar locale denominata Farmacista honorati
di solito innestata su Diospyrus virginiana.
Il colore della buccia è arancio brillante con una superficie liscia e lucida che tende a rompersi facilmente quando il frutto è maturo; la polpa è molto deliquescente alla maturazione, il sapore è dolce e leggermente vanigliato, senza semi. I frutti sono del tipo astringenti alla raccolta anche se impollinati e dunque per essere consumati vengono raccolti verdi per poi farli ammezzire all’interno di appositi cassoni riscaldati.
Al di la del gusto e della genuinità del prodotto, la coltivazione dei cachi a Misilmeri ha una storia antica da raccontare le cui origini si possono fare risalire alla fine del XVII secolo.
Era infatti l’anno 1692 quando Giuseppe del Bosco Sandoval principe di Cattolica e duca di Misilmeri, ultimo esponente della casata che nel 1540 aveva comprato la Baronia di Misilmeri con il permesso di farvi sorgere un paese, diede incarico al frate Francesco Cupani di realizzare nel suo feudo di Misilmeri in contrada Giardino grande un Orto botanico dove coltivare erbe e piante rare per alleviare le malattie della popolazione di Misilmeri ma che al contempo fosse dotato di fontane, statue, sedili, vasche ed anche di uno zoo.
Francesco Cupani, originario del paese di Mirto, nel Messinese, era molto conosciuto negli ambienti scientifici europei dell’epoca per i suoi studi sulla flora siciliana e per essere allievo del monaco naturalista palermitano Paolo Boccone, pioniere della botanica in Sicilia. L’Orto botanico oltre ad un numero svariato di piante siciliane che il Cupani con l’aiuto di altri botanici dell’epoca cercò in tutta l’isola, contava anche molte specie esotiche ottenute tramite le numerose corrispondenze che il Cupani intratteneva con i più importanti studiosi di botanica dell’epoca.
Le piante coltivate nel’Orto furono elencate in un catalogo che nel 1696 Cupani pubblicò con il titolo di Hortus Catholicus, un testo considerato rivoluzionario all’epoca perché alcune specie venivano indicate con una denominazione binomia che anticipava di anni la nomenclatura linneana; per alcune specie inoltre era anche riportata la denominazione dialettale.
Notevole impulso diede il lavoro del Cupani all’agricoltura siciliana, occupandosi di viticoltura e favorendo la diffusione di alberi da frutto sino ad allora poco conosciuti come alcune varietà di mandorlo ed il susino.
Ed i cachi? La specie denominata Diospyros kaki è originaria di paesi d'Oriente come Cina, Corea e Giappone. La prima presenza di diospiro in Italia si desume da alcune citazioni su testi fiorentini di Gherardo Cibo e Francesco Petrollini della fine del Cinquecento ed il Cupani nel suo catalogo ne descrive tre specie (Lotus arbor).
Dell’Hortus catholicus a Misilmeri non è rimasta traccia; con la morte del principe che avvenne senza eredi e con l’apertura nel 1779 dell’Orto Botanico di Palermo, vasi, statue, suppellettili e piante furono trasferite a questa Istituzione. E’ rimasta tuttavia, in paese, la tradizione di coltivare i cachi che dunque non sono solo frutti tradizionali di stagione ma l’epilogo di una importante pagina di storia botanica siciliana.