domenica 31 marzo 2013

Buona Pasqua... vegetariana


Per esorcizzare il feticcio dell”UOVO di CIOCCOLATO” dedico a tutti voi, come augurio di Buona Pasqua, un uovo speciale di origine vegetale: il frutto legnoso, di lunga durata, di Gardenia thunbergia, una specie sudafricana dai fiori intensamente profumati cui seguono frutti ovoidi di consistenza legnosa, persistenti anche per un anno sulla pianta.


Un augurio che, nelle intenzioni, non vale solo per un giorno ma si estende a ogni pasqua della vita.
 

giovedì 28 marzo 2013

Retama raetam, una nuvola di bianca leggerezza


Retamaraetam-retamaraetam-retamaraetam-retamaraetam-retamaraetam;  ta, ta,ta, come una raffica di mitragliatrice, come il verso delle cicogne, come uno scioglilingua che la lingua aggroviglia; Retama raetam a dispetto di un suono guerriero è il nome scientifico della ginestra bianca, un delicato e diafano arbusto a fiori lattiginosi, leggermente profumati, un tempo presente nei giardini mediterranei, oggi desueto. Come per tutte le ginestre, la grande famiglia di appartenenza della specie è quella delle Fabaceae ma il genere Retama è un genere molto piccolo a cui appartengono solo quattro entità con caratteri molto simili a quelli del genere Genista e Spartium; in coltivazione sono presenti solo due specie: Retama raetam e Retama monosperma che si distinguono per la forma del legume. La ginestra bianca  presente nei giardini è un elegante arbusto, spesso allevato ad alberello, dagli esili rami verdi, ricadenti, quasi privi di foglie. Nella precoce primavera produce, in densi racemi terminali, infiorescenze di bianchi fiori papilionati, leggermente profumati cui segue la produzione di corti baccelli.
 
Su di  un sito israeliano ho trovato una curiosa spiegazione dell'etimologia del nome scientifico; il genere Retama avrebbe lo stesso significato sia in ebraico che in arabo: rotem, retem o retama, definisce infatti una corda legata al dito come un promemoria. Nella tradizione araba, inoltre, il nome Retam è un nastro che gli arabi usavano legare intorno ad un arbusto di ginestra bianca prima di partire; se al loro ritorno il nastro era al proprio posto erano certi di non essere stati traditi; in caso contrario il segno era quello, evidente, di un avvenuto tradimento.
Allo stato spontaneo la specie vive sulle dune sabbiose dei paesi nord africani ma anche in Sicilia, lungo le aree della costa meridionale cresce una sottospecie endemica denominata Retama raetam subsp. gussonei della quale, recentemente, se ne è ritrovato un popolamento spontaneo anche a Cirò, in provincia di Crotone, che, data la rarità, meriterebbe un idoneo livello di protezione.
Dallo stato spontaneo, all’inizio del 900, la specie è trasmigrata nei giardini rivieraschi per la precoce e profumata fioritura ed in Liguria, come mi conferma Maurizio Casale del vivaio Phyto trend di Sanremo, si effettua ancora oggi la coltivazione di Retama monosperma  come specie da fronda recisa, utilizzata dai fioristi nelle composizioni floreali; la zona interessata alla coltivazione è quella che da Sanremo sale verso il confine con la Francia dove le temperature medie sono più favorevoli, utilizzando varietà  diverse in base a caratteri come  la grandezza del fiore (Super e Gabriele), resistenza al freddo (varietà tardive come Seborchina e Merella), precocità di fioritura (San Biagina, Gabriele, Andrea) o, ancora la tenacità e compattezza dei fiori sullo stelo (Gabriele, Andrea, Dudugiu).
Nei giardini delle mie parti, invece,  la specie è in disuso ritrovandosi solo nelle aree a verde di qualche villa liberty ancora in possesso dell’anziano proprietario; i nuovi acquirenti, infatti, avrebbero certamente rivoluzionato il giardino facendo  fuori l’arbusto demodé .

Retama è specie, tuttavia, che meriterebbe un adeguato reinserimento nei giardini moderni nei quali le doti di parsimonia, robustezza e resistenza uniti a gradevolezza estetica e profumo sono caratteri che, sempre più, dovrebbero essere tenuti in alta considerazione nei nuovi impianti.
Approfondimenti su varietà da fronda
 

domenica 24 marzo 2013

Post scriptum a Primavera Siciliana a Catania


Oggi, domenica, ho completato, a Catania, il giro delle diverse installazioni temporanee e permanenti della Mostra “Micro-Paesaggi di città”, una manifestazione che ha visto coinvolti architetti, agronomi, design chiamati a progettare piccole sistemazioni a verde in 13 piazze o slarghi cittadini, nell'ambito dell'evento Primavera Siciliana di cui ho già parlato nel precedente post.
Cambiamo aria - Quattrone, Galati, Scalinata Alessi
A conclusione della manifestazione mi sento di esprimere, dell’iniziativa catanese, un giudizio nel complesso deludente. Va bene che la partecipazione alla Mostra era completamente a spese degli studi tecnici aderenti che ne avrebbero avuto, come controparte solo pubblicità e visibilità presso il grande pubblico; va bene che è un periodo dove girano pochi soldi e nessuno fa niente per niente, ma insomma, almeno in alcuni casi erano proprio le idee a latitare (oltreché le piante, fornite dai vivai partecipanti con il contagocce ed in forma minimalista); distribuire copertoni pitturati sulla parete esterna di un vecchia chiesa sconsacrata o mettere due piantine in contenitori di plastica sulla storica Scalinata Alessi o una misera sfilza di vasi fioriti in via Crociferi mi appare operazione controproducente per chi l’ha concepita e realizzata se il fine era un ritorno di immagine apprezzabile.

Piazza Stesicoro, Piazza Spirito Santo, Studio Architerra
 
Molte delle realizzazioni mi sono sembrate concepite per aumentare le distanze tra gli appassionati del verde ed il mondo dei progettisti  molti dei quali risulta invaghito dall' idea , giustificata e condita da frasi ad effetto; a conti fatti, tuttavia essi dimostrano assai spesso, con il loro operato, di capire ed amare assai poco le piante.

Antefatto

 

Primavera Siciliana a Catania

 
In questo fine settimana che precede la Pasqua, dal 21 al 24 marzo, si sta svolgendo in Sicilia la prima edizione della manifestazione “Primavera Siciliana” un evento ideato per sensibilizzare le amministrazioni ed i cittadini sullo stretto rapporto che lega Architettura, Verde e Città. La manifestazione, che ha sede contemporaneamente a Palermo, Catania e Caltagirone, prevede un nutrito programma di convegni, tavole rotonde, workshop, mostre collettive, presentazione di libri ed incontri che ha visto coinvolti professionisti, aziende, attività commerciali e gli stessi cittadini per creare azioni sinergiche tra agricoltura, architettura, paesaggio e design in un’ottica di sviluppo sostenibile. A Catania, a cura della sezione Sicilia dell’Associazione AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio è stato realizzato il progetto” Micro-paesaggi di città: Istallazioni permanenti e temporanee nel centro storico di Catania e nei suoi dintorni". In tredici piazze, punti nevralgici, snodi viari cittadini sono state realizzate da architetti, agronomi, design, opere a verde con l’obiettivo di trasformare luoghi anonimi in laboratori capaci di comunicare in modo creativo un nuovo rapporto tra città e verde urbano. Alcune delle sistemazioni rimarranno in modo permanente patrimonio della città (Passiatore, Piazza dei Martiri, Piazza Verga, Piazza Spirito Santo, Piazza Stesicoro) altre dureranno il breve tempo dedicato all’evento.
Io ho fatto un giro preparando un piccolo reportage
"Guarda Stupisci" - Piazza Trento, Studio SOA
"Green Simbiosis"- Via G. D'Annunzio, Arch. D. Spitaleri
"Corde al vento"- Piazza Verga, To.Be.Bio
"Life Point"- Piazza San Placido, 3Land
"Giardino Mediterraneo" - Piazza Duomo, Agronomi Occhipinti-Battiati


"Cratere di spine" - Corso Italia, Arch. Puleo e C.

 
Nella giornata di domenica una ciclo passeggiata porterà i partecipanti alla scoperta delle diverse installazioni realizzate, con concentramento finale in piazza Oceania dove insieme a Guerrilla Gardening, in occasione della manifestazione nazionale “Pianta Attack”, ci si improvviserà giardinieri per riportare una ventata di primavera in questo angolo degradato di città.

Segue

lunedì 18 marzo 2013

Rondinelle


Quando ero bambina abitavo ad Enna, una piccola cittadina siciliana che, per clima, è agli antipodi degli standard siciliani. Posta a mille metri d’altezza (Enna è il capoluogo di provincia più alto d’Italia), ha l’inverno molto freddo ed umido per la costante nebbia dovuta ad un curioso fenomeno di attrazione che il cocuzzolo montuoso esercita su ogni nuvola che si trova a passare all’interno dell’isola; nel complesso, dunque, l’inverno ennese non aveva e penso anche oggi non ha, nulla da invidiare al clima della mitica “Padania”. Di uscire si usciva a fare quattro passi serali ma di ritorno a casa dovevo asciugare i capelli con il phon; vestivo con un certo montone sotto al cui peso piegavo le spalle e stavo sempre un poco “arrunchiata”, rattrappita, per ridurre la sensazione di freddo. Così come succede in quelle valli alpine quando finito l’inverno si attende con trepidazione il riaffacciarsi del sole, anche noi, in famiglia, si attendeva un cenno che ci facesse intendere che il peggio climatico era passato. Ed il cenno arrivava, quando in marzo, annunciate da sciami di moscerini che si materializzano al primo sole, arrivavano finalmente le rondini; rondoni e balestrucci che avevano svernato in Africa tornavano a nidificare nel posto dove erano nati mettendosi subito al lavoro per preparare nuovi nidi o riparare quelli vecchi sotto i ballatoi, se balestrucci e tra le tegole, se rondini dalle lunghe ali.
 
 
Un evento importante che meritava di essere annotato ogni anno sul calendario. Con molta tenerezza ho scoperto anni dopo, durante una visita turistica a Nicosia, paese pur’esso freddo dell’entroterra ennese, sul muro del Monastero annesso alla Chiesa del Santissimo Salvatore oramai ridotto a rudere, c’erano alcuni mattoni incastonati a secco dove i monaci, pure essi desiderosi di un annuncio di primavera, avevano annotato, secoli prima, sotto al titolo “Rondinelle” la tanto attesa data di arrivo: 1792 5 M; 1793 9 M e così via per tanti anni a seguire.
 

Anche se è da tempo che vivo al mare dove l’inverno è solo una stagione del calendario, sono rimasta fedele all’avvistamento delle prime rondini ed è perciò con grande gioia che oggi, in una triste, cuba e freddina giornata di marzo, ho potuto annotare sul calendario di cucina: “Bentornate rondinelle”.

venerdì 15 marzo 2013

Anigozanthos, ma come sono strane queste australiane!

C’è una regione dell’Australia ed in particolare la parte sud occidentale della regione nota come Western Australia, dove si riscontrano, similmente a quanto avviene in altri regioni del mondo come il Cile, Sud Africa e California, condizioni climatiche molto simili a quelle che si ritrovano nel bacino del Mediterraneo dove il clima è caratterizzato da un’alternanza tra estati calde ed asciutte ed inverni umidi miti o freddi. 
In questa remota regione del mondo circa l’80% delle specie vegetali indigene è esclusiva del luogo e non si ritrova in nessun altra parte del globo come ad esempio molti generi delle famiglie delle Myrtaceae e Proteaceae (Chamelaucium, Eucalyptus, Banksia, Grevillea) o ancora i generi Boronia, Chorizema, Hakea, Kennedia, Melaleuca. Le australiane sono specie rustiche, abituate ad un periodo di forte siccità e capaci di vivere su terreni sabbiosi e molto poveri di elementi nutritivi; nella maggior parte dei casi, presentano adattamenti biologici del tutto particolari per attuare la fecondazione dei fiori che, in un ambiente così primordiale, è affidata agli uccelli piuttosto che agli insetti ed è governata dal fuoco degli incendi. Colori sgargianti e variabilissimi che vanno dal verdastro al giallo arancio, al rosso o al marrone con strutture fiorali a ciuffo o a pigna tra i più originali del mondo vegetale.
 
Questa regione australiana rappresenta, perciò, un vero “El Dorado” per l’acquisizione di novità botaniche da commercializzare sul mercato europeo, sia come specie da giardino che, più frequentemente, come specie da vaso, anche in virtù del periodo di fioritura che, essendo invernale si realizza quando la maggior parte delle specie mediterranee sono in riposo vegetativo.
Ed è per questo che qualche giorno fa, a caccia di colore, ho comprato una piantina in vaso di Anigozanthos, un genere della famiglia delle Haemodoraceae, chiamato comunemente “zampe di canguro, kangaroo paws” per la forma insolita delle corolle dei fiori, disposte come piccole, molteplici dita aliene dagli sgargianti colori rosso, arancione, giallo o talvolta bicolori, all’estremità di steli fiorali nudi di foglie.
Sito immagine
Questi fiori hanno un aspetto singolare essendo ricoperti da una fitta peluria colorata simile ad un manicotto che ricopre la corolla tubolare, aperta su un lato per fare uscire gli stami sporgenti e talvolta ricurvi; il colore d’insieme è acceso e vellutato.
La pianta si sviluppa da brevi rizomi sotterranei capaci di rigenerare la parte vegetativa morta in seguito a forte siccità o incendio; la parte aerea è costituita da una rosetta di lunghe e strette foglie di colore grigio verde dal cui centro si dipartono steli nudi; in cima portano un racemo di fiori colorati capaci di attirare uccelli, incaricati dell’impollinazione, ai quali i fiori fanno da trespolo. Alcune specie di taglia più grande (Anigozanthos manglesii) sono comunemente utilizzate nei giardini australiani per realizzare bordure o angoli scenografici; per il mercato europeo invece sono stati selezionati degli ibridi di Anigozanthos flavidus, Anigozanthos rufus, Anigozanthos pulcherrimus, a taglia bassa e compatta, adatti alla coltivazione in vaso e la cui propagazione avviene per via meristematica riuscendo in tal modo ad ottenere una produzione standardizzata. La mia pianta di Anigozanthos, così simile ad una manina grattaschiena, appena comprata aveva i fiori di un vivido, allegro, colore rosso aranciato che, tuttavia, in casa in una decina di giorni si è un poco sbiadito; delusa la sbatto in balcone, in un angolo luminoso e riparato dal vento e con mia grande soddisfazione i colori sono ritornati vividi. Seguo le indicazioni trovate sul web di mantenere umido il terriccio e per il resto cerco di non affezionarmi troppo. Tutti dicono che la specie, in vaso, ha vita breve perché con l’arrivo della stagione calda la parte aerea tenderà a seccare per produrre, forse, una nuova vegetazione in autunno; ma ritengo che chiedere una seconda fioritura ad una pianta  coltivata in vaso e perdipiù così distante dai "suoi canguri", sia decisamente troppo anche per una rustica specie australiana.
 

lunedì 11 marzo 2013

Anagrammi botanici marzuoli

Di seguito gli anagrammi di alcune specie da fiore che sono appena fiorite o che  si accingono a fiorire in questo periodo dell'anno


la dea tabaccaia
 
***
 
un film su major mundi
***
 
brancoliamo cupi
 
***
schiuma con phon extra
 
***
 
lecchiamo jeans no ape
 

giovedì 7 marzo 2013

Asclepias fruticosa, le palle del papa

Asclepias fruticosa (Gomphocarpus fruticosus L.) è specie cespugliosa sempreverde, originaria dell’Africa meridionale, perenne nei climi a temperature invernali miti, annuale altrove. Introdotta nel Mediterraneo nel XVIII secolo per essere utilizzata come possibile pianta sostitutiva del cotone, è poi sfuggita al controllo e si è facilmente spontaneizzata trovando ambiente ideale nelle regioni costiere, in aree sabbiose ed incolte, ai margini delle strade. Come curiosità botanica la specie è coltivata in qualche giardino, non tanto per l’aspetto della pianta che si presenta come un anonimo arbusto a rami sottili, ondeggianti al vento, con foglie allungate, opposte, verde pallido e neanche per i fiori, tipici delle Asclepiadaceae (oggi Apocynaceae secondo la classificazione APG), di colore bianco giallastro, riuniti in ombrella rade, portati sui nodi terminali dei rami.
Il motivo estetico che fa coltivare la specie sta nei frutti che, al di là della denominazione botanica che li definisce follicoli cioè capsule rotondeggianti ricoperte di setole spinose, con dentro semi portati da fili sericei, sembrano, per i bambini che li vogliono raccogliere, grandi palle di colore verde chiaro, leggere come lanterne cinesi e con, all’esterno, peli ruvidi; per questo la pianta è comunemente chiamata: "baloon plant" ma anche "palle di Caracas", "palle del vescovo" o come ebbe a dirmi un vivaista:  "palle del papa".

A maturità i follicoli si aprono lasciando vedere l’ammasso marrone dei semi, disposti in file ordinate e tenuti insieme da pappi sericei che un minimo soffio di vento fa disperdere nell’aria.  Nel XVIII secolo si è tentato di filare il pappo per farne cotone ma purtroppo la fibra risultò troppo fragile e corta per qualsivoglia utilizzazione tessile.
Come molte specie che appartengono alla famiglia delle Asclepiadaceae, dedicata ad Asclepio, alias Esculapio, dio della medicina, anche Asclepias fruticosa presenta principi attivi (uzarina) utilizzati contro mal di testa e tubercolosi e come emetico ma la pianta va manipolata con attenzione perchè i tessuti verdi contengono una sostanza lattiginosa tossica ed urticante ed è per questo chiamata dagli inglesi  milkweed.
Sito reperimento immagine
Tra le curiosità che riguardano la specie, un lepidottero africano (Danaus chrysippus ) utilizza la pianta come alimento specifico deponendovi le uova da cui nascono bruchi che sono ghiotti delle sue foglie. Gli alcaloidi presenti nelle foglie passano nel corpo del bruco e poi della farfalla rendendo l’insetto particolarmente sgradito ai predatori. Questo lepidottero chiamato "monarca", prima confinato in Sud Africa,  da un poco di tempo si è messo a migrare all'inseguimento del suo alimento preferito.


sabato 2 marzo 2013

Contenitori per piante aromatiche

Art nouveau o kitsch?
 
 
 
 
Come giudichi il contenitore utilizzato per le aromatiche
  
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