mercoledì 30 marzo 2011

Russelia equisetiformis: elogio della normalità

Ci sono piante, in giardino, come persone nel mondo, prive di spiccata personalità. Non sono  appariscenti, non amano gli esploit,  si mimetizzano tra la moltitudine e solo se in gran numero riescono a farsi notare;  il protagonismo, insomma  non è la loro cifra. L’assenza di carattere si evince persino nel nome scientifico che, della specie, dice: “simile a qualcun altro” o ancora, “se vuoi sapere di che si tratta vai a vedere tal altra specie”. Insomma, una vera frustrazione per chi, pianta o persona voglia ritagliarsi un posticino nel suo mondo di appartenenza.  A me pare questo il caso di una specie presente nei giardini dei climi miti: Russelia equisetiformis o, come la chiamano vivaisti e siti web, “pianta corallo”. E’ specie erbacea perenne originaria dell'America tropicale e del Messico che viene chiamata “equisetiformis” perché come Equisetum arvense presenta lunghi rami cilindrici verdi, sottili, suddivisi da internodi evidenti, con foglioline poco appariscenti e spesso ridotte a piccole brattee.
 I fiori, rossi, sono tubulosi e portati, radi, in infiorescenze terminali. Viene utilizzata in giardino per il portamento aggettante come di giunco che giustifica il sinonimo  di Russelia junceum o  “fontanella corallo”. I vivaistici la chiamano  spesso “rossetta” ma il nome del genere Russelia non si riferisce al colore bensì  ad Alexander Russel medico e naturalista inglese (1715-1768).  Essendo specie frugale e resistente ai venti marini viene spesso utilizzata insieme ad altre essenze arbustive per creare macchie di colore in aiuole miste, negli spazi verdi prospicienti il mare, ma, perché la si noti veramente, occorre metterne più esemplari vicini. Maggior fortuna estetica presenta nella coltivazione in vaso poggiata su un pilastrino o dentro una giara. Fiorisce a lungo e, nel mio balcone, qualche fiore lo ha prodotto per tutto l’inverno. Ancora una volta, a contraddirne le peculiarità ne esistono varietà a fiore crema o bianco.
G. Betto, Le piante insolite. Editoriale Giorgio Mondadori, 1991 Milano http://gardenbreizh.org/modules/gbdb/plante-544-russelia-equisetiformis.html

sabato 26 marzo 2011

Cyperus papyrus: in origine era la carta


Sono molte le  specie vegetali  che hanno consentito,  con la loro scoperta ed utilizzazione,  di effettuare un notevole passo in avanti nell’evoluzione economica e culturale di  antiche civiltà del  passato. Tra di esse il papiro occupa un posto di primo piano perché  è  a questa specie che si deve la realizzazione, oltre cinquemila anni fa, di una vera e propria rivoluzione culturale: la carta.  Furono  gli egiziani, infatti, che  partendo dalle fibre del papiro, una pianta palustre che cresceva abbondante lungo le rive dei corsi d’acqua,  riuscirono a mettere a punto una tecnica per produrre un supporto bianco, leggero e pieghevole su cui vergare e trasportare velocemente parole. Se consideriamo che allora la scrittura era praticata su fragili ed ingombranti tavolette di argilla incise e poi cotte al forno, si comprende come l'invenzione della carta abbia aperto immensi orizzonti allo scambio di idee e di informazioni tra i popoli. La carta prodotta dal papiro ha avuto ampia utilizzazione sino al Medioevo poi, la difficoltà di reperire il papiro, in Europa, e la diffusione di nuove tecniche come la pergamena e la carta da stracci ne hanno determinato una progressiva scomparsa.  
Botanicamente il papiro o Cyperus papyrus e' un'erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Cyperacee. La pianta dispone di un grosso apparato radicale rizomatoso che predilige terreni melmosi ed umidi. Dall'apparato radicale si sviluppano alti fusti ricchi di tessuto parenchimatico spugnoso che si accrescono in media sino a due o tre metri d'altezza  ma che in particolari condizioni ambientali possono raggiungere i cinque metri. I fusti portano in cima le caratteristiche e decorative infiorescenze a forma di ombrello, composte da numerosissime brattee filiformi lunghe sino a 50 centimetri, all'ascella delle quali, in estate, compaiono le spighette dei fiori.
Le esigenze ecologiche della specie sono molto particolari. Il papiro in natura necessita di acque pulite e fluenti in grado di consentire una continua ossigenazione dell'apparato radicale.  Predilige le sponde dei fiumi soggette a continue inondazioni nelle quali i fusti rimangono sommersi per oltre un  terzo della loro lunghezza.   

La specie e' tipica dei corsi d'acqua dell'Africa tropicale ed equatoriale ma in Sicilia sin dall'antichità  la presenza del papiro in popolazioni spontanee era diffusa lungo numerosi corsi d'acqua come il Fiumefreddo, l'Alcantara e, a Palermo, il Papireto.  Oggi la sua presenza è  limitata esclusivamente al fiume Ciane, vicino Siracusa e a Fiumefreddo, vicino Catania  che rappresentano le uniche stazioni  naturali di papiro presenti in Europa e le più settentrionali della specie.  Il Ciane, in particolare,   è un breve fiume che trae origine da due grosse sorgenti le cui acque, formando all'origine un piccolo lago, percorrono una breve pianura per sfociare poi nel golfo di Siracusa. Sia la fonte che il fiume sono luoghi mitologici consacrati sin dall'antichità al culto di Persefone. Secondo la mitologia, Ciane, ninfa di Siracusa ed amante del fiume Anapo, venne trasformata in una fonte per avere cercato di impedire il rapimento di Persefone ad opera di Plutone. 
Il papiro del fiume Ciane  è protetto da una riserva naturale regionale e sin dal 1959 ne è vietata la raccolta.  Pur protetta, tuttavia, questa popolazione vegetale è in equilibrio precario e solo attraverso un continuo controllo idrologico delle sorgenti, della salinità delle acque e attraverso pratiche colturali come il periodico sfoltimento della vegetazione fluviale infestante e il trapianto di rizomi si potrà sperare di mantenerne inalterata la consistenza attuale.
Cyperus alternifolius

Il papiro, tuttavia, se inserito in un ambiente adatto è una specie di facile coltivazione e come pianta palustre è particolarmente indicata, nelle zone a clima caldo, per ornare vasche e laghetti o per la coltivazione in vaso. In questo caso e' importante assicurare alla pianta, nella stagione calda, una costante riserva d'acqua utilizzando dei sottovasi di buona capacità.  Più facile da coltivare sia come pianta da giardino che come pianta in casa e' il cosiddetto papiro del Madagascar o Cyperus alternifolius. La pianta e' molto più piccola della precedente ed ha cespi densissimi di steli alti poco meno di un metro sormontati da corte ombrella le cui foglie, in realtà brattee,  sono corte e rigide.  La riproduzione del papiro avviene normalmente per divisione del rizoma, operazione che conviene svolgere ogni due o tre anni.  Molto più semplice e di sicuro successo è la riproduzione del papiro del Madagascar che avviene per talea immergendo in poca acqua le cime delle vecchie ombrella con il gambo rivolto all'insù.  In poco tempo all'ascella delle foglie, che avremo cimato per un terzo della lunghezza, spunteranno le radichette ed i giovani germogli.  Si dovrà quindi provvedere a trapiantare le talee in  vaso utilizzando una miscela di terriccio e sabbia da mantenere costantemente umida. 

martedì 22 marzo 2011

Nicotiana glauca: un ricordo d'Africa


Mio padre ha vissuto in Africa tra il 1927 ed il 1941; mio nonno, arruolato in marina come semaforista, si era, infatti, trasferito con tutta la sua numerosa famiglia a Bengasi, in Cirenaica, in cerca di incentivi economici. I ricordi di mio padre cominciano proprio da lì, con l’arrivo in barca in terra africana, nel preciso momento del suo trasferimento dalla nave che lo aveva portato dall’Italia al semaforo di Bengasi. Prima di quel giorno il buio emotivo. Ed i suoi ricordi sono i miei ricordi quando, in Sicilia negli anni 60, nei viaggi di trasferimento in “seicento”, la domenica sera di ritorno dalla visita ai nonni, sotto un cielo stellato, una campagna buia e strade che più curve non si può, era un dolce fluire di lontani ricordi africani; “dai papà, racconta” ed era il mare di Bengasi, la spiaggia, la nonna che faceva il bagno, praticamente vestita, calandosi in mare da una botola della cabina, il ghibli che soffia incessante tra nugoli di sabbia e polvere, i primi film del cinema muto con la lettura in coro dei sottotitoli da parte di tutto il pubblico presente (italiani ed “arabetti” compresi); e di strane piante che crescevano tra le pietre i cui fiori si succhiavano alla base ed erano dolci come il miele e racconta, racconta, racconta, in un battibaleno il viaggio era finito e si era arrivati a casa.


Impossibile far rivivere i ricordi del passato, la Libia ci è preclusa, almeno per ora. Quest’estate, però, a Lampedusa, avamposto d’Africa in Sicilia, mi sono imbattuta nel “ricordo botanico” di mio padre.

Nicotiana glauca G., questo è il suo nome, è una solanacea appartenente allo stesso genere del tabacco, nota perciò con il nome di tabacco glauco o tabacco selvatico. E’un arbusto o piccolo alberello con un fusto legnoso dalla corteccia scura e foglie alterne di colore verde grigiastro che ricordano quelle di certi eucalipti; sarà perché la pianta cresce spontanea a ridosso di vecchi muri, in sassaie o tra ruderi di vecchie case, sarà per il colore glauco delle foglie ma ha l’aspetto un po’ spento di specie impolverata, stazzonata dalla dura vita all’aperto, ravvivata però in ogni stagione da pannocchie apicali di fiori tubiformi di colore giallo, anch’essi un po’ polverosi. La specie è di origine sudamericana e le cronache botaniche dicono sia stata importata a scopo ornamentale nel Mediterraneo per poi diffondersi rapidamente allo stato selvatico in ambienti ruderali. La specie viene data presente ad inizio secolo in forma sub spontanea in Cirenaica e Tripolitania. A tu per tu con il ricordo paterno non posso esimermi dal costatarne di persona l’attendibilità della descrizione; devo assaporare questi fiori che mi sembrano sporchi, polverosi e rinsecchiti dal caldo e così, controvoglia, stacco una corolla dal peduncolo e la succhio come una cannuccia. Accidenti, è buono; i fiori stillano una sostanza dolce e zuccherina ed un solo fiore non mi basta. Ne pilucco uno dopo l’altro una manciata, contenta di sapere che il ricordo africano di mio padre non mente e che anche io potrò tramandare ai posteri di strane piante presenti nella lontana Africa e poi ancora in Sicilia i cui fiori si succhiano alla base e sono dolci come il miele.

http://www.internationalrights.deagostini.com/scarica_file.asp?id=99&tipofile=PDF.
http://www.naturamediterraneo.com/forum/topic.asp?TOPIC_ID=18467
http://www.botanix.kpr.eu/it/index.php?text=22-tabacco-glauco-nicotiana-glauca-la-pianta-da-balcone-con-una-grande-prospettiva#next

sabato 19 marzo 2011

Gelsemium sempervirens: l'apparenza inganna

Gelsemium sempervirens
Vai a sapere perché  i siti di giardinaggio chiamano Gelsemium sempervirens “gelsomino americano”; americano lo si capisce in quanto la specie cresce spontanea  nei boschi umidi della Carolina e  della Virginia come di altri stati americani di  sud-est ma, "gelsomino"? Del gelsomino d’inverno Jasminum nudiflorum ha lo stesso periodo di fioritura, gennaio-febbraio ed il colore dei fiori di  un bel giallo intenso ma, per il resto, non vedo altre somiglianze.

Jasminum nudiflorum


I fiori di gelsemium hanno, infatti, corolla a tromba e sono riuniti in gruppi all’apice dei rami; se li annusi, molto, ma molto da vicino hanno  un odore gradevole (ma non certo “soave” come ho letto in certe descrizioni botaniche della specie) mentre, si sa, che il gelsomino d’inverno è completamente privo di qualsivoglia odore.
Il gelsomino poi, si spoglia un poco delle foglie in inverno mentre gelsemium è sempreverde ed ancora, pur considerando entrambe le specie delle rampicanti hanno un modo di farlo tutto affatto  diverso; mentre il gelsomino lancia i lunghi rami oltre gli ostacoli ed è adatto pertanto a ricoprire ringhiere, recinzioni o muretti a secco, gelsemium si attorciglia con i suoi getti a movimento antiorario lungo tutti gli appigli ad andamento verticale (pali, tronchi d’albero, fili della luce).

Che dire di più della specie;  l’apparenza inganna. Sotto l’aspetto leggiadro di questo rampicante scalatore si nasconde un’insidia non da poco.Tutte le parti della pianta sono terribilmente velenose in quanto contengono  un potente alcaloide, la gelsemidina, simile alla stricnina  che blocca la respirazione e il movimento, causando paralisi e morte;  mangiare anche un solo fiore può essere letale, ad esempio, per i bambini.  Tuttavia,  è possibile applicare ad essa il primo dei principi dell’omeopatia: ciò che in dosi normali ti uccide in dosi piccolissime ti cura;  gelsemium è considerato, infatti, in omeopatia ed erboristeria il rimedio tradizionale contro paura e panico e sembra possedere tante altre virtù curative.  Con queste prerogative, allora, sarà prudente coltivarla in giardino o sui balconi delle zone a clima mediterraneo?   Se dovessi applicare in modo severo il principio di prudenza assieme a gelsemium non dovrei coltivare molte delle specie più comuni del verde ornamentale mediterraneo come oleandro e datura (oggi chiamata Brugmansia) o bosso e ligustro e che dire di un appartamento senza ciclamini e stelle di natale. Ed allora anche per Gelsemium sempervirens vale la stessa regola: insegniamo ai nostri figli a diffidare dalle apparenze.

giovedì 17 marzo 2011

Schema botanico tricolore


Specie d’Italia unite
Individua il nome delle specie spontanee della flora italiana

Verticali: W: Fungo del genere Marasmius presente nei boschi di latifoglia o di aghifoglia, sulla lettiera delle radure; dal nome proprio di un naturalista inglese; sinonimo di  Marasmius globularis capathicus; L i fiori femminili della specie, riuniti in brevi infiorescenze chiamate coni, sono  largamente utilizzati come aromatizzanti nella fabbricazione della birra; I: giaggiolo; T: specie diffusa nelle zone ventose dei litorali marini nota con il nome volgare di Cipressina e Scopa marina; ha la curiosa caratteristica di sudorare sotto forma di gocce di liquido chiaro ed estremamente salato che durante il giorno ed in assenza di vento genera una vera pioggia che colpisce chi si trova sotto la sua chioma; A. Le foglie di questa specie erbacea furono molto utilizzate come ornamento dei capitelli nell'antica architettura greca e romana; L: Pianta erbacea perenne delle leguminose papiglionacee detta popolarmente regolizia; I: pianta officinale nota come Erba di San Giovanni o Scacciadiavoli; A: pianta medicinale nota soprattutto per il suo impiego nella preparazione del distillato d'assenzio, aromatico e molto amaro, si beve diluito o zuccherato. È la base aromatica principale nella preparazione del vermouth; U: Foglie e fusti di questa specie  sono ricoperti da peli contenenti una sostanza urticante; quando si sfiora la pianta, l'apice dei peli si rompe e ne fuoriesce un liquido irritante; N:  Genere del tabacco; I: Ha un sapore di menta un po' amaro e può essere aggiunto alle minestre, alle insalate o alle carni, da usare con parsimonia poiché il sapore è molto forte; entra nella composizione del liquore Chartreuse ed è  un ingrediente dell'acqua di colonia;T:  Pianta da fiore comunemente nota  come dente di leone o  soffione; A: È una delle piante più tossiche della flora italiana, come dice l’etimologia del suo nome; diffusa nelle zone montagnose delle Alpi era nota agli antichi come arsenico vegetale.
http://www.treccani.it/
http://it.wikipedia.org/wiki/Botanica

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martedì 15 marzo 2011

Eriobotrya japonica - ビワのスギ: un pensiero per il Giappone

Si rimane  sgomenti, in queste ultime ore, a sentire e vedere sui media mondiali l’incalzante accavallarsi  di notizie sempre più drammatiche provenienti dal  Giappone. E’ chiaro che a fronte di tragedie umane e sociali come queste non c’è nulla che si possa dire ne fare; nel mio piccolo, tuttavia,  vorrei rendere omaggio al “paese Giappone” ricordando le moltissime specie presenti nei nostri giardini che  possono  fregiarsi dell’appellativo specifico di “japonica”: Camellia, Aucuba, Lonicera, Sophora, Chaenomeles,  Skimmia, Kerria  Euonymus, Spiraea, Fortunella e chissà quante, ancora,  ne dimentico.  Di una in particolare, vorrei, tuttavia, parlare perché, pur essendo “japonica” si e' così  ben ambientata nel nostro clima, sin dal suo arrivo in Europa, che  a buon diritto può ritenersi una specie mediterranea. Mi riferisco al nespolo del Giappone  o  Eriobotrya japonica, una rosacea di origine orientale coltivata sin dall’antichità in Giappone come albero ornamentale  piuttosto che come specie da frutto. Nel 1778  dall’Oriente la specie viene importata in Inghilterra e da qui, successivamente, in Francia ed Italia, dove giunge nel 1812 presso l'Orto Botanico di Napoli. Le condizioni ambientali mediterranee sono, per il nespolo, così favorevoli, anche da un punto di vista produttivo, che in breve si diffonde nei nostri giardini  come specie da frutto, decorativa in ogni stagione.  E’, infatti, un gradevole albero sempreverde di medio sviluppo  con grandi foglie di colore verde intenso, coriacee e lanuginose che possono misurare sino a 35 cm di lunghezza. I fiori sono piccoli, profumati, di colore bianco-crema, portati dai rami in vistose pannocchie terminali che compaiono in novembre.  In primavera da marzo a giugno, primo tra i fruttiferi, matura  frutti succosi, di colore arancio o giallo chiaro, molto decorativi, a polpa fondente, dolce e solo leggermente acidula, con due o quattro grossi semi.
La specie, nonostante la sua origine sub tropicale presenta una notevole resistenza a  temperature di uno o due gradi sotto lo zero, tuttavia, se i freddi intensi si verificano nel periodo della fioritura o alla ripresa vegetativa i danni alla pianta possono essere notevoli.  Ecco perché  il nespolo fruttifica difficilmente nelle regioni più settentrionali.  La riproduzione avviene per seme ed è una pratica così semplice da soddisfare anche chi non ha esattamente quel che si dice un pollice verde.  Occorre scegliere i semi provenienti da frutti di piante vigorose e di bella vegetazione e metterli a dimora  in piena terra o in vaso subito dopo la raccolta perché  perdono rapidamente la facoltà germinativa.  La percentuale di riuscita è molto elevata e la germinazione si svolge in breve tempo. Mettendone una decina in un grosso vaso dopo circa due mesi avremo un vero boschetto esotico in balcone.
In omaggio al Giappone, dove il clima lo consente, questa primavera coltiviamo Eriobotrya japonica , un piccolo albero dai dolci frutti per essere vicini  in modo semplice e gentile, ad un paese, il Giappone, oggi, così sfortunato.

Leggi anche il post: Quando fiorisce il nespolo?
Notizie tratte da: V. Forte, Compendio di nuova frutticoltura, Edagricole, 1986, Bologna

domenica 13 marzo 2011

Zantedeschia aethiopica


La calla (Zantedeschia aethiopica) è un fiore legato al ricordo della mia prima comunione; un grande fiore bianco in cima ad un lungo stelo tenuto stretto, stretto, tra le mani in preghiera nella foto d’ordinanza del fotografo della chiesa.
L’ho incontrata tante altre volte andando per giardini e ville di campagna. Ogni qual volta c’era una vasca, o una zona di ristagno o un angolo paludoso ed impantanato del giardino ecco trovare le calle a ricoprire con grandi foglie lanceolate angoli altrimenti difficili da valorizzare.

E’ una specie oggi, demodé;  troppo bianco e virginale il suo fiore ad imbuto per competere ad armi pari con le rutilanti colorazioni tropicali delle specie più in voga nei giardini moderni. Sarà per questo che a me la specie piace ed è da questo autunno che la coltivo in vaso avendo messo a dimora pezzi di radice tuberosa interrati alla profondità di circa 10 cm. 
In giardino, invece,  non bisogna affollare troppo l’impianto, mettendo le radici rizomatose a distanza reciproca di  almeno 40 cm; la luce è, infatti, molto importante per la coltivazione della calla che ne risente sia sulla lunghezza dello stelo che sull’intensità della colorazione del fiore.  Sui siti olandesi specializzati nella produzione di fiore reciso si raccomanda di non innaffiare frequentemente almeno sino alla dispiegamento delle foglie per poi aumentare in fase di fioritura.
Tra le altre notizie reperite sul web è inoltre da ricordare l’origine sudafricana della specie (appartenente  alla famiglia delle Araceae) dove la calla è chiamata “Arum lily”  e l’origine del nome botanico Zantedeschia attribuitole dal botanico tedesco Kurt Sprengel (1766 - 1833) in onore dell’amico Giovanni Zantedeschi, botanico italiano. Prima di tale attribuzione la specie si chiamava Richardia africana. Da qualche anno ne esistono in commercio specie a fiore colorato tra le quali: Zantedeschia albomaculata  'Elliottiana' (giallo oro); 'Solfatare'  (giallo con sfumature nere); Zantedeschia Rehmannii x Z. Elliottinana 'Cameo'  (albicocca); 'Mango' (arancio); 'Black Eyed Beauty' (giallo scuro con cuore nero).


Per parte mia rifuggo le mode, anche in giardino, ed aspetto l’arrivo di giugno per rivivere, con un fiore antico, un piacevole ricordo della mia infanzia.

Le notizie riportate sul post si trovano su:

venerdì 11 marzo 2011

Cruciverba botanico "Abarema"


Orizzontali 1: genere di palme con foglie a forma di pinna di pesce; da alcune si ricavano vino di palma e sagù; 7: fusto che è privo di  fillomi  e che pertanto è di colore verde svolgendo esso stesso la funzione clorofilliana; 9: pianta arbustiva rampicante che presenta tralci e racemi; 10: Mesembryanthemum Study Group; 11: nome inglese di Iris hexagona; 13:Iniziali della specie nota come “peste d’acqua maggiore”;  14: Lonicera nigra; 16: genere appartenente alla famiglia delle Lauracee; da alcune specie si ricava un legname aromatico chiamato in inglese Sweetwood; 19 nome comune inglese di Medicago rugosa; 21: Orchis pauciflora; 22: varietà tardiva di arancia a polpa bionda; 23: Index Holmiensis; Verticali: 1: abbreviazione standard del botanico spagnolo Antonio Josè Cavanilles; 2: insetto appartenente alla famiglia dei Rincoti chiamato comunemente “pidocchio delle piante; 3: insieme dei tessuti morti del legno comunemente detto scorza avente funzione di protezione e difesa; 4: leccio; 5: iniziali del nome botanico di “Yellow owl's clover” ; 6: rivestimento costituito da peli cotonosi, fitti, generalmente bianchi presente su fusto, rami e pagina inferiore della foglia; 8: si dice di pianta che non si produce sessualmente ma soltanto per via agamica; 12:  … l’ombelico dei semi; 15: foglia di forma lunga e stretta tipica delle conifere;  17: abbreviazione standard  per genere di orchidea Calanthe; 18: indica la parte superiore del derma; 20: Anacyclus valentinus;
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mercoledì 9 marzo 2011

Mimosa: "Finita la festa gabbato lo Santo"

Potete ben capire chi è, oggi, il “Santo gabbato”; da dove credete che abbiano preso tutti quei rametti di mimosa fiorita per omaggiare le donne nel giorno della loro festa? Ma, è chiaro, dai poveri alberi di mimosa in fioritura che dai giardini facilmente accessibili sono direttamente passati agli angoli delle strade, raccolti notte tempo da venditori improvvisati “fai da te”. E dire che la mimosa o meglio Acacia dealbata è specie così delicata da non sopportare di certo brutali maltrattamenti; il suo legno è tenero e le radici non approfondite; basta spesso del forte vento per staccarne di netto branche e rami.
 A parziale risarcimento per una pianta così bistrattata ecco alcune notizie agronomiche che la riguardano molto da vicino.
Il genere Acacia (famiglia delle Mimosaceae) comprende circa 450 specie distribuite nelle regioni tropicali e sub-tropicali del mondo ed in particolare in Africa ed Australia. Le circa dodici specie introdotte in Europa nel XVIII e soprattutto nel XIX secolo, si sono particolarmente adattate alle condizioni climatiche delle aree costiere del Mediterraneo dove fioriscono da dicembre a marzo, periodo corrispondente all' estate australe.

La coltivazione della mimosa come fronda fiorita da recidere, usata dai fioristi per composizioni di qualità, è in Italia tradizionalmente localizzata in Liguria. L'aspetto più interessante, che riguarda la produzione in vivaio di questa specie, è la propagazione che avviene per innesto, reso necessario dal fatto che molte delle varietà coltivate per la bellezza della fioritura non tollerano la presenza di calcare nel terreno; una minore suscettibilità nei confronti di questo fattore è stata riscontrata su alcune specie come, ad esempio, Acacia retinoides che viene, pertanto, utilizzata come portainnesto (utilizzo dell’apparato radicale) di varietà da fiore suscettibili.
Molto particolare è la tecnica di innesto che viene eseguito in estate (giugno-luglio) con il metodo per approssimazione: la tecnica consiste nell'avvicinare il portainnesto, coltivato in vaso, (del diametro di una sigaretta) ad una marza (rametto) della varietà da fiore da moltiplicare (coltivata in piena terra) scelta dello stesso diametro del portainnesto, in vegetazione e senza che abbia formato infiorescenze. Nel punto in cui si esegue l'innesto viene tagliata da ambedue i fusti una fettina di corteccia e di legno di 2-5 cm. Il taglio deve essere perfettamente liscio e piatto in modo che una volta congiunte le due parti si abbia una perfetta coincidenza degli strati cambiali; le due piante in corrispondenza del punto d'innesto vengono poi legate strettamente con un filo di rafia o di cotone, procedendo, poi, dopo dieci giorni al taglio della chioma della piantina di Acacia retinoides. L'elemento che caratterizza questo tipo d'innesto è rappresentato dal mancato distacco della marza dalla pianta madre da fiore alla quale essa rimane collegata sino al momento dell' avvenuto attecchimento che avviene in settembre-ottobre quando il germoglio ha raggiunto l'altezza di almeno un metro. In genere per agevolare le operazioni di contatto tra il portainnesto e le marze, al momento di eseguire gli innesti, la chioma delle piante madri viene abbassata sino al suolo con tiranti che ne legano i rami.
Chi l’avrebbe mai detto cosa ci sta  dietro ad un rametto di mimosa fiorito.
( A parziale risarcimento per il “Santo gabbato)”.

martedì 8 marzo 2011

Quiz botanico marzo 011

 Individua il nome comune della specie servendoti degli indizi dati

Campo di ricerca: piante in vaso


Cinque indizi per una specie
  • frequenta con assiduità le chiese, i bui e freschi androni delle antiche case padronali;
  • il suo nome in greco vuol dire “scudo” per via dell’aspetto delle foglie;
  • è parente del mughetto;
  • le è dedicato un romanzo di George Orwell del 1936;
  • i fiori sono assai difficili da vedere tanto che si pensa che non fiorisca mai ;

domenica 6 marzo 2011

Emergenza "Punteruolo rosso" delle palme

Vorrei, oggi, soffermarmi sulla gravità dei danni che le infestazioni di punteruolo rosso, un piccolo insetto curculionide importato circa sei anni fa dall'Egitto, stanno sempre più deteminando sul paesaggio vegetale urbano siciliano e mediterraneo in genere. E' infatti, sotto gli occhi di tutti, la progressiva scomparsa della Phoenix canariensis, una delle palme più rustiche e resistenti, anche al freddo, diffusa capillarmente in piazze, spazi condominiali, ville nobiliari e piccoli cortili per le sue doti di adattabilità, frugalità e semplicità di gestione. Sarà proprio per questa presenza ubiquitaria negli spazi a verde che la sua progressiva scomparsa suscita sgomento e smarrimento.
 
Sembra di leggere un bollettino di guerra: Adrano, Villa Comunale, viale centrale a Phoenix canariensis dell'età stimata di circa ottat'anni; taglio a raso di tutti gli esemplari presenti; lungomare a Catania, idem così come a Piazza Castello nel vicino paesino di Acicastello o tra le altre e vi sembrerà banale ma, non per me, anche la phoenix del mio condominio piantata cinquant'anni fa è stata capitozzata l'altro anno senza possibilità di recupero.

E non solo di phoenix purtroppo si deve parlare se anche uno dei due soli esemplari di Jubaea spectabilis degni di attenzione presenti a Catania, è morto colpito dall'insetto.


Jubaea spectabilis
Ho avuto occasione di affrontare l'argomento "punteruolo
rosso" e discutere delle prospettive future delle infestazioni con gli esperti dell'Istituto di Entomologia Agraria della Facoltà di Catania (così si chiamava ai miei tempi e così continuerò a chiamarlo anche se oggi è un Dipartimento di non so che cosa) che studiano in modo specifico le possibili tecniche di contrasto.

Ecco cosa raccomandano:

Primo consiglio: impossibile ricorrere esclusivamente alla chimica come azione di contrasto, con trattamenti antiparassitari costosi, inquinanti ed impraticabili in un contesto urbano.
L'insetto, dannoso con il suo stadio larvale che si svolge all'interno dei tessuti vegetali, è difficile da colpire in quanto protetto dalla stessa pianta e ad altezze assai difficili da raggiungere con i normali trattamenti. Si stanno mettendo a punto perciò, tecniche alternative, come ad esempio sintesi di feromoni, per attirare e catturare i maschi e ridurre così le possibilità di fecondazione; ma non sono tecniche risolutive. Secondo consiglio: evitare di ripulire le piante dal giro di foglie secche che ogni hanno la pianta produce; ogni taglio non ben cauterizzato può essere luogo di ingresso per l'ovideposizione delle femmine e sembra, inoltre, che i tessuti vegetali tagliati emettano un odore che attira maggiormente le femmine; Terza precauzione: procedere in tempi brevi al taglio delle palme colpite bruciando il materiale infestato che non dev'essere in alcun caso lasciato nei cassonetti o nelle micro discariche cittadine a diffondere l'infestazione. Purtroppo, però è da rilevare che, se la tempestività ed il coordinamento dei diversi interventi di contenimento e contrasto è raccomandata, essa tuttavia mal si combina con le lungaggini burocratiche dei diversi assessorati pubblici addetti alle manutenzioni del verde che effettuano gli interventi con mezzi e tempi non dettati dall'emergenza. Il quadro che appare è sconfortante. Ritengo amaramente che ci vorranno troppi soldi, attenzione e cura del bene comune per affrontare adeguatamente il problema.

Villa Bonanno - Palermo



Non credo che saprò mai rassegnarmi ad una ineluttabile e progressiva scomparsa, specie dopo specie, delle palme dal mio modello immaginario di ideale giardino mediterraneo.

Viale di Phoenix - Marsala

Leggi anche i post: Il Parco delle kentie di Riposto
Phoenix-canariensis-morta-una-palma-se ne fa un'altra

mercoledì 2 marzo 2011

Betula aetnensis: un'immigrata al Sud

L’ambiente naturale che si incontra sull’Etna, percorrendone i sentieri o inerpicandosi tra le lave sino alle quote più alte è suggestivo ed affascinante non solo per chi è attratto dalla spettacolarità delle attività effusive del vulcano o ricerchi le oscurità delle grotte o, ancora, trovi interesse per le particolari morfologie di alcune lave; anche l’appassionato di botanica trova sull’Etna ambienti naturali e paesaggi unici. L’Etna o Mongibello (dall’arabo Gebel, montagna) è, infatti, oltre che vulcano attivo, anche una delle montagne più alte del Mediterraneo, con i suoi 3300 metri di quota, ospitando alle diverse quote ed esposizioni dei suoi versanti molte associazioni vegetali tipiche dell’ambiente mediterraneo e non solo: boschi a leccio e roverella, pinete a pino laricio, castagneti cedui, associazioni arbustive a ginestra e ginepro e, alle quote più alte e sui versanti esposti a nord, specie tipicamente continentali come il faggio e soprattutto la betulla che qui raggiunge il suo limite altimetrico di 2000 metri di quota.
Sono entrambe considerate specie relitte del periodo post glaciale quando l’abbassarsi della temperatura su tutto il continente, spinse specie nordiche fino alle rive del  Mediterraneo per rimanervi, poi, al ritirarsi dei ghiacciai, seppure confinate in piccole stazioni di rifugio. Tale isolamento ha fatto assumere alle specie caratteri botanici propri con portamento più raccolto, spesso arbustivo e foglie più piccole.
La Betula aetnensis è specie considerata pioniera in quanto capace di colonizzare lave incoerenti formando boschi di una certa consistenza sia in coltura pura che in associazione con il faggio. L’aspetto della specie è inconfondibile per la chioma tremula e la corteccia bianca con macchie bruno nerastre che desquamandosi si arrotola in cilindretti orizzontali persistenti sul tronco.




In autunno quando le foglie assumono una tonalità dorata, prima di cadere, e poi in inverno quando c’è la neve, il paesaggio, sull'Etna, è veramente da “grande nord”.
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