venerdì 30 novembre 2012

Quiz botanico novembre 012

Cinque indizi per una specie
 
Genere
 
Specie
 
 Nell’antichità ero noto come “lancia del re” per la forma del mio scapo fiorale

Nell’Ade di me ce n’era un gran prato la dove avevano dimora coloro i quali in vita non si erano macchiati di colpe gravi ma neanche si era distinti per particolari virtù

Le donne di Ollolai ci fanno l’Iscrarionzu

 La mia radice ridotta in polvere è uno dei principali ingredienti del Distillato della Morte Vivente ( Primo libro di Harry Potter)

In momenti storici di vera carestia i popoli del Mediterraneo hanno mangiato le mie radici come insipide patate
 

lunedì 26 novembre 2012

Thevetia peruviana, il seme della fortuna

 
Thevetia peruviana, conosciuta anche con il sinonimo di Thevetia neriifolia, è un arbusto tropicale appartenente alla famiglia delle Apocynaceae molto diffuso sia come specie spontanea che  come ornamentale nelle regioni a clima tropicale e sub-tropicale (USDA zone 9-11);  nei giardini delle regioni a clima temperato caldo la specie trova utilizzazione come arbusto sempreverde molto decorativo per la lunga ed abbondante fioritura estiva di fiori campanulati di colore giallo zafferano, in virtù dei quali la thevetia è nota nel mondo anglosassone  con il nome di “oleandro giallo”.
La thevetia si presenta come un arbusto o piccolo alberello con rami flessibili e divergenti che portano foglie lucide, lineari, ristrette all’apice e con il bordo fogliare rivolto leggermente verso l’alto.
In estate in cima ai rami compaiono gruppi di fiori riuniti a mazzi dalla forma ad imbuto con cinque petali sovrapposti di colore giallo intenso (ma ce ne sono varietà anche di colore bianco e pesca) che si evolvono in drupe globose di colore verde oliva contenenti semi di forma tozza, lenticolare di colore bruno. La thevetia si riproduce facilmente per seme e si presta ad essere coltivata in vaso.


La specie è dedicata al monaco francese André Thevet che nel 1557 effettuò un avventuroso viaggio in Brasile per il quale divenne celebre e che descrisse nel suo libro: Les Singularitez de la France Antarctique, autrement nommee Amerique: (et) de plusieurs Terres (et) isles decouvertes de nostre Temps (Le singolarità della Francia Antartica, altrimenti detta America: e di numerose Terre e isole scoperte ai nostri tempi). Il genere comprende specie velenose come quasi tutti gli altri generi appartenenti alla famiglia delle Apocynaceae (Oleandro, Allamanda, Acokanthera) . Tutti i tessuti della pianta emettono un lattice bianco molto velenoso perchè contengono un glucoside chiamato thevetina, caratterizzato da elevata tossicità, la cui presenza si concentra nei semi. Da un resoconto della BBC di qualche anno fa nello Sri Lanka al consumo di semi di Thevetia si attribuiva un alto numero di casi di suicidio sia per la facilità di reperimento dei semi, visto che la specie cresce spontanea ai bordi delle strade, sia che per la loro elevatissima tossicità; basta, infatti, l’ingestione di un solo seme per causare la morte.
Anche agli indigeni delle regioni tropicali era ben conosciuta questa caratteristica dell’intera pianta che veniva usata per confezionare potenti veleni impiegati sia i per la pesca che per avvelenare le frecce. Nonostante la pericolosità della specie, la thevetina in dosi adeguate veniva utilizzata nella medicina popolare praticata da sciamani come cardiotonico e come rimedio per abbassare la febbre. I semi della thevetia hanno una forma assai particolare tanto da essere considerati, in India, dei talismani portafortuna da utilizzare per realizzare amuleti o da tenere in tasca e rigirare tra le dita.

I semi della thevetia hanno un elevato contenuto in olio ed in Messico, dove la pianta è praticamente in continua fioritura, hanno provato a coltivare la specie in modo estensivo per estrarne l’olio tramite spremitura dei semi, ottenendo glicerolo ed esteri, da cui ricavare biodisel. Da prove di coltivazione effettuate in questo paese da un ettaro coltivato a thevetia si potrebbero ricavare oltre 1000 litri d’olio con un rendimento considerato superiore ad altre specie più tradizionalmente usate come specie oleaginose (colza, girasole e arachide) da cui pure si ottengono biocarburanti.

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giovedì 22 novembre 2012

Fichi d’India : come pulire e gustare i “bastardoni”

Ci sono alcuni alimenti che sono talmente tipici di una regione o di un paese che ne diventano quasi l’emblema; basta dire mortadella e si pensa a Bologna, pastiera vuole dire Campania, la cotoletta è certamente alla milanese e non c’è altro alimento come la soppressata che sia per me sinonimo di Calabria. Quando si dice fichi d’india sfido chiunque a non pensare alla Sicilia e non solo come componente vegetale spontanea onnipresente in tutti i paesaggi di campagna o di mare dell’isola ma anche come frutta da tavola che in estate e in autunno rappresenta il gustoso completamento del pasto di una tipica famiglia siciliana.
Il fico d’india (Opuntia ficus indica) è specie che oltre a realizzare una produzione estiva di frutti dolci e carnosi, se forzata, produce in autunno frutti chiamati commercialmente “bastardoni” . Sono frutti più grossi del normale ottenuti attraverso una tecnica colturale chiamata “scozzolatura”. All’inizio dell’estate, subito dopo la fioritura si procede alla eliminazione di tutti i fiori e delle pale di un anno; l’ opunzia, stressata, provvederà ad effettuare una seconda fioritura con un minor numero di fiori dai quali matureranno frutti tardivi, maturati in un periodo più piovoso, più radi e dunque più grossi, pronti per il consumo in novembre, dicembre.
Il frutto del fico d’india è una bacca con buccia e polpa di colore verde, gialla o rossa a seconda della varietà; la buccia è ricoperta da alveoli di spine gialline, sottili, che si staccano facilmente svolazzando di qua e di la in attesa di conficcarsi su qualche parte esposta del tuo corpo; per accedere alla polpa croccante e succosa del frutto è necessario affrontare la cosa sapendo che di sicuro qualche spina arriverà a destinazione.

  Istruzioni per l’uso
1: Munirsi di guanti (meglio se di gomma) per maneggiare i frutti con relativa sicurezza
  2:Lavare abbondantemente i frutti sotto un potente getto d’acqua corrente
 
3: Procedere al taglio trasversale delle buccia cominciando dalle estremità del frutto
 

4:Praticare un taglio longitudinale incidendo la buccia senza intaccare la polpa 
 5:Sollevate i lembi dell’incisione e tirandoli verso il basso scollare la polpa del frutto dalla buccia
 6:Afferrare il frutto e tirare per separarlo completamente dalla buccia
7:Evitare di maneggiare i frutti con le mani che indossano i guanti utilizzati per togliere la buccia perché le spine passeranno rapidamente dal guanto al frutto e con la stessa velocità vi si conficcheranno sulle labbra o peggio, come  mi è successo una volta, sul palato.
Guardate anche quest'altro piatto di fichi d'india
Ulteriori avvertenze
Se non siete stati abituati a mangiare fichi d’india sin da bambini, al primo morso della polpa croccante, quando vi sentirete riempire la bocca di piccoli semi legnosi, avrete l’impulso di sputarli fuori uno ad uno; fatevi forza e dopo una sommaria masticazione ingoiate il tutto, senza distinzione. Se poi il frutto vi piace (e vi piacerà di sicuro) non fate come con le ciliegie, un frutto tira l’altro: i fichi d’india sono molto costipanti e non è certo il caso di esagerare. Dopo avere mangiato fichi d’india che contengono elevate quantità di tannino chiudete il pasto senza consumare altro cibo perché ogni altro alimento o bevanda avrà gusto metallico assai poco gradevole
.

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 Guarda anche quest post dal titolo: opuntia-ficus-indica-il-pane-dei-poveri

sabato 17 novembre 2012

La stagione degli agrumi

Si comincia con il mandarino, il più nobile degli agrumi
 
Con l’arrivo dell’autunno, quando, in Sicilia, sulle bancarelle dei mercati rionali cominciano a comparire le prime cassette di mandarini il vero buongustaio della frutta (mio marito) è felice perché comincia la stagione più buona dell’anno: la stagione degli agrumi.
Nespole, albicocche, ciliegie, pesche, anguria, uva e, a maggior ragione, mele e pere sono per lui solo un preludio, una ouverture, un antipasto alla vera sinfonia del gusto che comincia in novembre con la maturazione dei primi frutti dorati, fragranti e succosi come solo gli agrumi sanno essere.
In realtà i primi agrumi arrivano sui mercati già alla fine dell’estate; sono satsuma, mandarini della specie giapponese Citrus unshiu, molto precoci e dal gusto acquoso e sciapo che vanno raccolti e mangiati ancora verdi perché abbiano gusto di agrume.
Sito reperimento immagine
Ad essi si affiancano i tangeli, generalmente della cultivar "Mapo", un incrocio tra mandarino e pompelmo dal gusto aspretto come il genitore pompelmo e buccia giallina; si comprano e si mangiano solo perché da troppo tempo si è a digiuno di agrumi e bisogna calmare la voglia di agre in attesa che arrivi novembre quando la stagione entra nel vivo (tempo caldo permettendo) con la comparsa sulle bancarelle rionali del più nobile degli agrumi, il mandarino.
Citrus nobilis o come sinonimo Citrus reticulata è la specie cui fa capo il gruppo dei mandarini mediterranei la cui introduzione in Europa è tutto sommato recente. Il mandarino, infatti, specie  proveniente dall’Estremo Oriente, fu importata in Inghilterra da Sir Abram Hume nel 1805 da dove poi fu introdotta a Malta e dunque in Sicilia (1810) e in Campania (1816) presso la Reggia di Capodimonte.
In realtà, oggi, con il termine di mandarino si fa riferimento ad una categoria di agrumi vasta ed eterogenea perché alla specie principale Citrus nobilis si affianca una vasta categoria di agrumi definiti “mandarino simili” ottenuti per mutazione gemmaria dal mandarino o da incroci del mandarino con satsuma o tangelo; sono agrumi come il “Clementine”, un ibrido naturale di mandarino mediterraneo x arancio amaro trovato per la prima volta nell’orto di un orfanotrofio di Misserghin (Algeria) intorno al 1940 e così denominato in onore del frate Clement Rodier direttore dell’orfanotrofio. Il gruppo delle clementine è facilmente riconoscibile dal mandarino per la buccia arancione e la forma più arrotondata del frutto con una specie di muso che ricorda l’arancio.
Clementine in via di maturazione
Negli ultimi anni la ricerca nel campo dei mandarini è rivolta ad ottenere nuovi ibridi in grado di assecondare sia le esigenze dei produttori (elevata produttività, resistenza alle malattie, riduzione dell’alternanza produttiva, frutti precocissimi o tardivi) che le preferenze dei consumatori moderni che degli agrumi, in genere, rifiutano, aborriscono i semi.
Mandarino apireno
Tra gli ibridi più riusciti con frutti apireni: Taclé un ibrido a polpa rossa ottenuto dall’incrocio tra clementine Monreal x arancio Tarocco; Simeto ottenuto da incrocio tra satsuma Miho x mandarino Avana; Primosole ibrido tra mandarino Carvalhais x satsuma Miho; Nova ottenuto dall’incrocio tra clementine comune e tangelo Orlando.

Tratto da: Scelte varietali in agrumicoltura
Mio marito è contento perché, per gli agrumi, la tendenza produttiva è quella di anticipare e ritardare il più possibile la maturazione delle diverse specie e varietà; si va cosi sempre più incontro ad una lunga, lunghissima stagione di raccolta: dopo i mandarini arriveranno le arance bionde (quelle con il navel) , poi sarà il turno di moro, tarocco e sanguinello (arance rosse); riprenderanno poi i mandarini e le clementine tardive per concludere con le arance bionde Valencia late o Ovale.
Tratto da: Scelte varietali in agrumicoltura
Insomma, mangiando e spremendo si arriva di nuovo all’inizio dell’ estate e dopo un paio di mesi tra pesche ed angurie è di nuovo il tempo di una lunga, succosa ed aromatica stagione degli agrumi.

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 Sugli agrumi guarda anche questo post: agrumi il giardino delle esperidi ; moro-tarocco-e-sanguinello-arance d'inverno

Anche il Potatore ne ha parlato

martedì 13 novembre 2012

Corbezzoli!!

Ma chi ha voglia di mangiarne più di uno di questi frutti autunnali che i libri di testo dicono crescere da un arbusto tipico della flora mediterranea, il corbezzolo, appunto,  facile da trovare nelle fitte boscaglie dei boschi di Sardegna, Sicilia e Calabria, dove questo arbusto cresce spontaneo? Io, che conosco abbastanza bene le fitte boscaglie siciliane, di corbezzoli spontanei ne ho visti ben pochi mentre mi sono imbattuta con grande facilità in corbezzoli utilizzati nel verde ornamentale di parchi e giardini pubblici dove è di gran moda il verde mediterraneo “autoctono” ; oggi, ad esempio di corbezzoli ne ho visti a distesa nel verde che fa da cornice al grande edificio di un enorme centro commerciale. Di frutti maturi o in via di maturazione ce n’erano una gran quantità ma, diciamola tutta, gli antichi avevano ragione a chiamare questo arbusto Arbutus unedo (unedo= mangio uno): ne assaggi un frutto e non hai molta voglia di fare il bis sia per la rugosità della bacca, sia per il gusto che è scialbo anche nei frutti molto maturi, che ricordano il gusto dei frutti di rosa canina, sia per i piccoli   semi presenti nella polpa giallastra che si infilano tutti, indistintamente, nel lavoro del tuo dentista.
Se fossi un' esperta in "economia domestica" avrei dovuto, nell’ordine: entusiasmarmi per avere trovato in abbondanza questo frutto assai raro senza dovere scarpinare nei boschi; raccoglierne in quantità in quanto frutti ricchi di vitamina C (Sorveglianza del Centro Commerciale permettendo); preparare con essi ottime marmellate o  distillare un'aromatica  acquavite  (non in casa perché è vietato!). Ed invece vi dirò che le bacche di corbezzolo contengono molta pectina, un addensante che ha elevate capacità astringenti.
Plinio il Vecchio, quando ne parlava, di certo, sapeva il fatto suo.

mercoledì 7 novembre 2012

La frutta "tropicale" è servita

frutta tropicale del vivaio di Massimo Sallemi
Non sono kaki non sono agrumi, non sono pere, né mele, né uva; è frutta tropicale quella che Massimo Sallemi, titolare del vivaio ragusano "Piante tropicali e sub tropicali ", ha imbandito per noi alla mostra mercato "Ciuriciuri", tenutasi in Sicilia a fine ottobre. Tutti frutti esotici e tropicali coltivati nell'isola che potrebbero affiancarsi sulle nostre tavole, in un prossimo futuro, alla frutta autunnale a cui siamo più abituati.
Con il suo aiuto sono riuscita a farne una legenda per memorizzare nomi e forme vegetali che penso in futuro potranno divenire abituali presenze nelle campagne del meridione.

 
Legenda
1: Kiwano, Cucumis metuliferum, cucurbitacea africana detto anche cetriolo cornuto.
2 : Psidium guajava o Guava.
3 Passiflora alata,  i frutti più piccoli
4: Passiflora quadrangularis, i frutti più grossi.
5: Carambola chiamata anche star fruit.
6: Passiflora edulis conosciuta anche come maracuja.
7: Solanum mammosum, solanacea ornamentale.
8 Solanum muricatum o Pepino detta anche peramelone.
9: Carica papaya varietà a frutto grosso
10:Carica papaya, varietà a frutto piccolo
11: Banana comune siciliana Musa sapientum.
12: Banano varietà Cavendisch nano
13: Canna da zucchero Saccharum officinarum.






domenica 4 novembre 2012

Cassia, una specie da fiore per l'autunno a clima mite

Quando altrove maturano le castagne , gli alberi si vestono di colori autunnali ed i negozianti aspettano l’arrivo del primo vero freddo per riuscire a vendere qualche nuovo abbigliamento invernale, in Sicilia fiorisce la Cassia un arbusto ornamentale di origine sud americana che nelle regioni mediterranee si è così bene adattato al clima delle aree costiere da non rimpiangere i luoghi di origine. Che si senta a proprio agio lo si capisce dalla solare, esplosiva fioritura che ogni singolo arbusto di cassia, il cui aspetto è tutto l’anno un poco dimesso, effettua all’unisono in autunno in ogni angolo di giardino o balcone che ne ospiti un esemplare.
 
Un giallo dorato, come è tipico di altre leguminose ma che, nella cassia è luminoso, caldo, solare come solo un arbusto tropicale sa fare. La cassia da un punto di vista sistematico è una leguminosa oggi attribuita alla famiglia delle Fabaceae e rinominata con l’attributo generico di Senna. Il genere comprende oltre 700 specie di arbusti diffusi nelle regioni tropicali. I vivaisti vi diranno che le specie maggiormente presenti nei nostri giardini sono Cassia corymbosa, Cassia bicapsularis, Cassia didymobotria ma in realtà le singole entità specifiche sono di difficile identificazione e dunque per non incorrere in attribuzioni errate delle foto indicherò solo il termine generico di Cassia.
La cassia è un arbusto o piccolo alberello sempreverde a foglie composte a coppie di 6, 8 o 10 foglioline oblunghe, ovate, a margine intero, la cui fioritura avviene generalmente in autunno, essendo la specie brevidiurna, con fiori grandi circa tre centimetri di un giallo caldo e dorato, riuniti a mazzi in cima ai rami. 
Al centro di ogni corolla vi è una decorativa successione di stami di diversa forma; alcuni sono ricurvi, altri lucenti per attirare pronubi ed assicurare una efficace impollinazione. I frutti sono baccelli che si formano mentre la pianta è ancora in fioritura.
In terrazza da mio padre, oramai da diversi anni, alcune rustiche piante di cassia ottenuta da seme fioriscono in abbondanza e si riproducono regolarmente. Nei giardini la cassia predilige posizioni soleggiate e siccome l’arbusto è un poco spoglio al piede la sua collocazione andrebbe associata ad arbusti bassi sempreverdi da posizionare in primo piano come pittosporum nano, raphiolepis o carissa.
Curiosità:
La polpa dei baccelli e le foglie di alcune specie di cassia proveniente da Africa ed India sono utilizzate in erboristeria come efficace lassativo.
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