mercoledì 30 maggio 2012

Uso creativo dei tronchi di Phoenix colpiti dal punteruolo

Ecco un altro esempio, dopo quello già pubblicato,  di stipite di Phoenix utilizzato in maniera “creativa” dopo il decesso della palma, avvenuto ad opera del punteruolo rosso e la conseguente, necessaria, capitozzatura. I giardinieri del comune di Acicastello (Ct) hanno optato per una soluzione utile realizzando un sedile che .. invoglia alla sosta.

Dove, invece,  non è stato possibile realizzare il sedile per le precarie condizioni del tronco, ecco che gli stessi giardinieri “creativi” vi hanno incastrato un vaso fioriera (al momento senza fiori) con effetto lavabo o  bidet.

Puntata precedente

P.S. del primo giugno 2012
Audrie mi consiglia di lanciare un Concorso di Idee dal titolo
"Uso creativo dei tronchi tagliati di Phoenix per colpa del punteruolo rosso delle palme"
Qualcuno ha visto qualche utilizzo originale o ha  qualche idea da realizzare?
Fatemi sapere, sarebbe un bel modo per fare "Verde Insieme" a voi.


sabato 26 maggio 2012

Uso creativo dei tronchi tagliati di Phoenix


Dopo un attacco mortale di punteruolo rosso ne segue, in genere, un taglio a raso del tronco della palma colpita. Sono monconi antiestetici dei quali non si sa mai cosa fare. Ecco, allora, che il giardiniere artista sbriglia la fantasia e.. crea. A voi, l’ultima idea sfoggiata a Palermo al “Giardino inglese”: Phoenix cachepot per Washingtonia in erba”. Il concorso di idee è aperto; io, in giro, ho viste altre creazioni artistiche come, ad esempio,  lo stipite residuo della palma intagliato a forma di seggiolina, con tanto di schienale (un poco rigido, però).

mercoledì 23 maggio 2012

Melia azedarach: un albero "fronte mare"

Specie resistente alla salsedine


Domanda: Ho una casa per le vacanze con un piccolo spazio verde che si affaccia sul lungomare di una località balneare siciliana. Vi trascorro essenzialmente l’estate ed è in questa stagione che sento la necessità di avere, nel mio piccolo giardino, un albero di non grandi dimensioni, capace di fare ombra e rendere gradevole il soggiorno all’aperto. Quando ho acquistato la casa, in giardino c’era già un albero d’olivo che, tuttavia, ho dovuto estirpare essendo allergico alla sua fioritura. Volendo trovare una valida soluzione, che specie mi consiglia di utilizzare che sia resistere alla salsedine e  non provochi fenomeni di allergia?

Risposta: Dopo anni di osservazione sul campo ho potuto constatare che il numero di specie arboree, utilizzabili nei giardini dislocati lungo le coste, non sono molte e lo dimostra l’esiguo numero di specie arboree impiegate dalle amministrazioni comunali per la sistemare a verde delle aree pubbliche affacciate sul mare: palme, tamerici, oleandri, e su grandi superfici, ficus, phitolacca, chorisie, erythrine ma anche lecci e olivi. 
Messina: lungomare con ficus e palme
Tra tutte le specie primeggiano comunque le palme che pur avendo, nel corso dell’inverno, le foglie spesso bruciate dal vento e dal sale, con l’emissione di nuove foglie e la potatura delle vecchie riacquistano in estate un aspetto gradevole. A causa del punteruolo rosso, tuttavia, l’utilizzo delle palme è stato fortemente ridimensionato.  Il verde delle zone marine non è, dunque, di facile  progettare sia per il vento che spira costantemente in una direzione, conferendo alla piante un antiestetico effetto “bandiera”, sia per l’elevato contenuto di salsedine delle goccioline d'acqua trasportate dal vento che risulta tossico per le foglie di molte piante; esse vengono letteralmente bruciate  dal sale che determina necrosi dei tessuti   con conseguente morte e caduta precoce delle foglie.

Fra le specie arboree di medio sviluppo, di aspetto gradevole ed ottima resistenza al vento e alla salsedine, mi sentirei, tuttavia,  di consigliarle Melia azedarach una specie proveniente dall’Asia che si è assai bene integrata nel  contesto climatico mediterraneo.
Melia azedarach

E’ una specie che ama gli ambienti caldi e molto luminosi prediligendo esposizioni fortemente soleggiate. Lasciato crescere, è un albero a fronda leggera che raggiunge i dieci metri d’altezza ma che può essere facilmente potato con forme di allevamento a sviluppo più contenuto. E’ specie che perde le foglie in inverno ed è questo uno dei motivi della sua resistenza alla salsedine. Alla ripresa vegetativa compaiono le foglie pennate, composte da numerose foglioline a margine dentato, molto simili a quelle del frassino da cui il nome generico di Melia (frassino, appunto).
I fiori compaiono all’inizio dell’estate e sono di colore lilla pallido, a cinque petali e con la parte centrale del fiore, che contiene gli stami, di colore viola scuro.
Fiori di Melia Azedarach
Ai fiori, riuniti in grandi pannocchie, seguono frutti tondeggianti, di colore giallo pallido che perdurano tutto l'inverno sulla pianta. Sono drupe la cui polpa, dall’odore sgradevole, contiene un seme naturalmente cavo al centro. Questa particolarità fa si che i semi della melia siano stati tradizionalmente utilizzati come grani dei rosari.
Frutti di Melia azedarach
Le foglie manifestano un effetto repellente nei confronti di api ed insetti consentendo un tranquillo soggiorno in giardino le sere d'estate.  Non risultano a carico della Melia particolari notazioni per chi soffre di allergie, tuttavia, essendo la pianta velenosa in ogni sua parte, molti siti ne indicano una potenziale pericolosità per i gatti.

sabato 19 maggio 2012

Adiantum capillus-veneris:soluzione quiz botanico aprile 012



Il mio nome vuol dire “non mi bagno” e dire che, dove vivo,  ne avrei spesso l’occasione;
Il Capelvenere è una piccola felce, unica rappresentate della Famiglia delle Adiantaceae in Italia, dalle foglioline a forma di ventaglio e portamento delicato e ricadente che cresce allo stato spontaneo nel calcare vicino a sorgenti o sulle rive di corsi d’acqua o all’interno di umide cisterne, in penombra. E’ specie diffusa anche come pianta da appartamento, prediligendo a questo proposito i bagni di casa. E’ così chiamata perché i piccioli fogliari sono scuri e sottilissimi come capelli. Il nome botanico del Genere Adiantum deriva dalla parola greca “ adianton” che significa “non bagnato, asciutto”; le foglioline, infatti, restano asciutte anche se le si immerge nell’acqua e le gocce di pioggia e di rugiada scivolano su di esse senza inumidirle.
 
Nello specifico sono dedicata ad Afrodite, dea della bellezza
I botanici, nei secoli hanno dedicato molte specie alla bellezza di Venere (Afrodite, in greco); c’è il “pettine di Venere” (Scandix pecten-veneris); l’ombelico di Venere (Cotyledon umbelicus-veneris;) il labbro di Venere (Labrum veneris o Agrostemna coronaria); la scarpetta di Venere (Cypripedium) ed infine anche il “Capelvenere”(Adiantum capillus veneris).
 
Nel romanzo “la luna ed i falò” di Cesare Pavese così si legge:
 Nei tufi sopra le vigne vidi il primo grottino, una di quelle cavernette dove si tengono le zappe, oppure, se fanno sorgente, c’è nell’ombra, nell’acqua.....
 
A Santo Stefano Belbo, tra le colline piemontesi, nacque nel 1908 Cesare Pavese, morto suicida, a soli 42 a Torino, nel 1950. Lo scrittore amò, tra le molte piante delle sue colline, il capelvenere affascinato dalla sue presenza gentile nella semi oscurità delle grotte e negli anfratti; la specie è spesso citata  in alcuni brani dei suoi racconti come “La luna ed i falò” ed il “Il diavolo sulle colline”.
 
Sin dal XVII secolo, con il mio sciroppo, si preparava una bevanda chiamata “Bavarese”, oggi un poco dimenticata
Nel XVII secolo lo sciroppo di capelvenere, mescolato con il tè e con il latte caldo, era una bevanda molto apprezzata chiamata "bavarese".  In erboristeria il capelvenere è una delle piante più utilizzate per combattere i sintomi del raffreddore, della tosse e dell’influenza.
 
Ad Acilia, quartiere periferico di Roma c'è una piazza a me dedicata;
Acilia è un quartiere periferico di Roma, fatto costruire da Mussolini nel 1924 per trasferirvi gli abitanti di Roma sfrattati dai quartieri dei Fori Imperiali e di Via del Teatro di Marcello. Nella zona nord del quartiere c’è la Piazza Capelvenere che prende il nome dalla statua della divinità posta a decoro di una fontana.

Bibliografia:
A. Cattabiani, Florario, Arnoldo Mondadori Editore, 1996, Milano
C. Lunardi, Visti e raccontati: Vive in ombra, gentile e un po' misteriosa.. Gardenia ?

mercoledì 16 maggio 2012

Strophanthus speciosus: tutto in una settimana

Strophanthus speciosus
Domenica 6 maggio
Non lo avevo mai visto prima ne lo avevo mai incontrato durante il mio vagabondare perdigiorno per parchi e giardini; di lui, sino a quel momento, non ne supponevo neppure l'esistenza. Poi domenica l'altra, girovagando senza fretta tra i viali ombrosi dell'Orto Botanico di Palermo, lungo il percorso che porta all'Acquario, l' ho visto. E tu chi sei?, penso tra me e me e, soprattutto, da dove vieni? Sbircio le sue generalità sul cartellino fresco di stampa ed ho le prime generiche informazioni.
La tua Famiglia (Apocynaceae) la conosco bene; annovera entità tutte pericolose, da cui guardarsi. Ciò nonostante molti dei tuoi parenti, immigrati di prima, seconda e terza generazione, si sono bene radicati in Sicilia tanto da essere considerati di casa nei nostri giardini: oleandro, plumeria, allamanda, carissa, mandevilla, thevetia, acokanthera, sono arbusti apprezzati (chi più, chi meno), per le fioriture bianche o colorate, talvolta profumate e per la notevole adattabilità.
Apocynaceae: Plumeria, Acokanthera, Mandevilla, Allamanda, Thevetia, Nerium
Tu, però, mi sembri un tipo alquanto originale.  Hai fiori dai petali lunghi e sottili, ondeggianti (strophanthus vuol dire " fiore cordone", di un pallido giallo con una macchia rossa alla base, che se ne stanno ammassati in buon numero in dense infiorescenze terminali; sembrano un groviglio di stelle marine mosse dalla corrente o ragni in agguato dai colori tropicali.
L'esemplare dell'Orto, coltivato in piena terra, è un arbusto di medio sviluppo dall'aspetto un poco disordinato; le foglie sono opposte, a margine intero, lanceolate e disposte in numero di tre per ogni internodo. Nel paese africano da cui proviene (Zimbabwe) le popolazioni zulu, con il lattice che fuoriesce dai rami, intingono le frecce per renderle velenose. 
Di lui prendo mentalmente nota come un "tipo da orto"; mi sembra infatti una specie assai particolare per essere vista in giro in un circuito commerciale.
Domenica 13 maggio
Passa una settimana e curiosando tra stand e gazebo alla mostra dell'artigianato "Viscalori in fiore" che si è svolta questo fine settimana a Viagrande, paese etneo nei dintorni di Catania, tra aromatiche e bouganvillee, rosai e fruttiferi esotici, a ridosso di un muro, confuso tra plumerie ed avocado, lo vedo. "Che ci fai tu qui e chi ti ci ha portato?". " Il vivaista che lo vende appare frastornato. "Ma perché tra le tante piante che ho in esposizione lei vuole comprare proprio questa?" Gli dico di averla vista all'Orto botanico di Palermo, neanche una settimana fa e chiaccherando, chiaccherando riesco a ritrovare il bandolo della vicenda.
C'è di mezzo Natale Torre  il maggiore esperto, in Italia, di flora esotica e tropicale. Natale è titolare dell'omonimo vivaio a Milazzo, in provincia di Messina; laureato in Scienze tropicali a Firenze, ha introdotto in ambito mediterraneo, nel corso di un'esistenza divisa tra la Sicilia ed i tropici, moltissime specie arboree ed arbustive da fiore che con fiuto ed esperienza ha acclimatato nel suo grande vivaio per poi commercializzarle direttamente o tramite altri vivai in Italia e all'estero. Gli Orti Botanici sono suoi affezionati clienti (la recente collezione di Plumerie dell'Orto Botanico di Catania è opera sua) e penso che quasi tutti i vivai che in Italia  commercializzano "tropicali" ruotano attorno a lui. Anche l'Orto Botanico di Palermo, ci scommetterei, è ricorso a Natale Torre per avere lo Strophanthus della sua collezione così come il vivaista che lo ha portato in fiera. Se c’è  di mezzo Natale questo arbusto da fiore  è una specie di sicura adattabilità nei giardini caldi del Sud.
Ora che ho le idee più chiare, penso:  Strophanthus!: ti voglio, ti compro, ti porto a casa". 

sabato 12 maggio 2012

Erythrina viarum a Palermo

Storia di un appuntamento mancato

Illustrazione tratta dal libro Guida all'Orto Botanico di Palermo, Dharba Editrice
Palermo, Palermo, devo andare a Palermo e non voglio intoppi, disguidi, recriminazioni come è successo  l'altr'anno quando tra lamenti e discussioni di amici e parenti del tipo: "Ma che ci andiamo a fare a Palermo che dista da Catania quasi tre ore di macchina?"; "ma proprio di domenica quando i negozi sono chiusi e non c'è vita, non c'è movimento?"; ma ti sembra normale fare tutta questa strada solo per fotografare delle stupide piante"; "invece che a Palermo andiamo al mare che siamo bianchi come delle mozzarelle!!"; tergiversando, tergiversando, di domenica in domenica, mi sono persa l'appuntamento. Ma quest'anno ho giurato, non mi faccio fregare e per nessuna ragione al mondo mi perderò l'evento; in aprile andrò a Palermo con o senza famiglia al seguito... Le ultime parole famose: "Mamma questa domenica non si può perché c'è la partita Palermo-Catania e non è proprio il caso di mettersi in mezzo"; "domenica l'altra ricordati che ho la festa dal compagno di scuola"; "questa domenica non ci pensare perché hai teatro e devi accompagnare il nonno a vedere la sua amata "Lirica"". Insomma oggi no e domani neppure anche quest'anno, quando sono riuscita ad andare a Palermo senza figlio né amici ma in compagnia di quell'anima santa di mio marito, l"Evento" si era già verificato e solo a sprazzi se ne vedevano gli ultimi bagliori. Di che parlo? Ma della fioritura dei secolari alberi di Erythrina viarum del Foro Italico di Palermo, nel tratto della Marina che va da Villa Giulia a Porta Felice.


Diapositive dell'aprile 1991
Sono alberi che hanno sulle spalle quasi duecento anni d'età essendo stati piantati intorno al 1830 in quella che era la prima alberatura stradale palermitana sul Foro Umberto I. Sono grandi alberi di origine tropicale dai tronchi ingrossati e gibbosi, presenti anche altrove in Europa dove il clima è molto mite, ma qui a Palermo hanno assunto sviluppo ed autorità vegetale che li fa essere unici e speciali. Questi grandi alberi, dell'impianto originario ormai ridotti a solo quindici esemplari, perdono le foglie in inverno e fioriscono in aprile prima di avere rimesso le foglie nuove.

La fioritura è da cartolina; le piante si riempiono di grandi ammassi di fiori rosso corallo (come  indicato dal genere Erythrina che in greco vuole dire "rosso") tipici delle Fabaceae raggruppati in pannocchie apicali con i petali dello stendardo corti che lasciano fuoriuscire gli stami. In Sud Africa, paese d'origine, la specie è chiamata albero dei coralli ma non sono solo i fiori ad essere rosso arancione, anche i semi, contenuti all'interno di baccelli penduli, sono dei fagioloni rossi con una macchia nera in mezzo.


La fioritura di questi monumenti vegetali è breve e si conclude con la comparsa delle foglie che sono grandi, di colore verde chiaro, composte da tre foglie ovali a base arrotondata e punta accentuata, margine intero e portate sulle nuove ramificazioni che hanno piccole ed affilate spine simili a quelle delle rose. 
La sistematica della specie appare controversa: c'è chi individua nei grandi alberi della Marina di Palermo esemplari di Erythrina viarum Todaro, sinonimo di Erythrina caffra, specie proveniente dalle coste orientali del Sud Africa, nella regione del Cafri; c'è, invece chi descrive la specie palermitana come Erythrina corallodendrum, originaria dei paesi del Sud dell'America (Giamaica, Haiti). Guglielmo Betto nel suo testo "Piante insolite" le classificò come Erythrina corallodrendum;   le pubblicazioni dell'Orto botanico di Palermo parlano invece di Erythrina viarum.  A guardare sul web le numerose immagini delle due specie sembrerebbe trattarsi proprio di quest'ultima specie.

  Conclusione

I grandi alberi di Palermo si sono oramai rivestiti di foglie ed il ricordo della recente fioritura riecheggia nel verde con rade macchie di fiori arancione. Come mi potrò consolare di avere toppato anche quest'anno l'appuntamento con l'Evento"? Mio marito, pragmatico, sa cosa fare ordinando granite al limone e brioches all'ombra ed al fresco delle grandi eritrine, vista mare. Penso che anch'io mi consolerò così ma, giuro che, l'anno prossimo ci sarò, puntuale.

mercoledì 9 maggio 2012

Theobroma cacao: alle origini del cioccolato

Tipi da Orto
L’albero del cacao è il fiore all’occhiello di molti Orti Botanici di regioni a clima temperato o continentale che ne custodiscono gelosamente pochi esemplari, rigorosamente coltivati  in serra viste le origini tropicali della specie. Io ho avuto modo di vedere questo piccolo albero per la prima volta all’interno della grande serra tropicale del Jardin des plantes a Parigi dove la specie era dettagliatamente descritta attraverso tavole esplicative che ne spiegavano le caratteristiche botaniche, ne riproducevano i frutti e ne descrivevano la lavorazione dei semi per la produzione del cacao. In Italia ho visto degli esemplari a Firenze presso l’Istituto Agronomico d’Oltremare e a Genova all’Euroflora dove alcune piante in fruttificazione erano in esposizione. La descrizione che ne segue è un collage tra quanto visto ed annotato nei tre luoghi botanici indicati. 

Theobroma cacao è specie appartenente alla famiglia delle Sterculiaceae ed è originaria delle regioni tropicali dell’America centrale e dell’America del sud anche se oggi la coltivazione ha un areale maggiore comprendendo altre regioni tropicali sia dell’Asia ( Indonesia e Malaysia) che dell’ Africa (Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria), continente che ne è anche diventato il principale produttore mondiale . Nelle forme addomesticate è un piccolo alberello sempreverde che, tuttavia, in natura può raggiungere anche i 20 metri d’altezza; la specie cresce nel sotto bosco delle foreste tropicali umide e possiede grandi foglie alterne, oblunghe, appuntite, brevemente picciolate.

La specie è cauliflora e, dunque, direttamente dal tronco e dai rami spuntano, a maturità, i piccoli fiori solitari o in piccoli grappoli fragranti, color crema con i calici rosati, impollinati in natura dagli insetti. Dai fiori derivano i frutti (cabosse), capsule indeiscenti oblunghe, dapprima verdi poi rosso-brune che richiedono da quattro a sette mesi per maturare; essi contengono grossi semi appiattiti, simili a fave, disposti in cinque file di 30-50 semi ciascuna immersi in una mucillagine acquosa ed acidula.


E’ proprio da questi semi che, una volta liberati dai residui della polpa, si produce la polvere di cacao, il mitico “nettare degli dei” delle popolazioni indigene del Messico che lo consumavano come bevanda rigenerante ottenuta partendo dalla polvere di cacao unita con miele, vaniglia e peperone, nelle diverse varianti. Sotto il regno di Montezuma i semi del cacao erano tanto preziosi da essere messi alla base del sistema monetario ed infatti, all’epoca del conquistatore Hernan Cortés che, nel 1528 porta i primi semi in Europa, 1000 semi di cacao corrispondevano al valore di tre ducati d’oro. La lavorazione dei semi di cacao procede anche oggi con tecniche simili al passato; dai frutti una volta raccolti ed aperti viene prelevata la polpa che è sottoposta ad una leggera fermentazione; è questa un' operazione molto importante perché facilita la separazione dei semi dalla mucillagine che li avvolge e inoltre conferisce al prodotto un aroma ed un sapore particolare. Le fave di cacao subiscono, in seguito, l’essicazione e la tostatura; il prodotto che si ottiene viene riscaldato e ridotto ad una pasta omogenea di sapore amarissimo che macinata viene ridotta in polvere di cacao. I semi possono essere torrefatti anche senza il loro tegumento, triturati e poi scaldati a formare una pasta da cui, per pressione a caldo si ottiene un olio che solidifica a temperatura ambiente dando luogo al burro di cacao usato in cosmetica e in farmacologia come protettivo delle labbra e per la preparazione di unguenti. La pianta contiene un alcaloide, la teobromina affine alla caffeina che rende il prodotto un alimento stimolante per il sistema nervoso e digerente. E’ del 1850 la prima macchina industriale per l’estrazione dell’olio di cacao e nel 1887 i fratelli Frey, svizzeri, producono la prima tavoletta di cioccolata ideando una tecnica per combinare l’olio di cacao con il liquore di cacao e lo zucchero.
Post scriptum; mio padre ha 91 anni ben portati e  da sempre finisce il pasto mangiando cioccolata (tranne in estate, stagione del gelato al gusto... cioccolato); guardandolo invecchiare in salute e di buon umore penso, che il cacao faccia molto bene

venerdì 4 maggio 2012

Tillandsie in Sicilia: come palloni al vento


Tillandsia aeranthos
Le tillandsie sono specie di origine tropicale che appartengono alla famiglia delle Bromeliaceae, la stessa cui fanno parte molte diffuse piante tropicali da interno come Vriesea, Aechmea, Bilbergia, Ananas o Bromelia. Sono piante un poco strane, le tillandsie, perché non hanno bisogno del vaso per vegetare. Sono, infatti specie epifite che si alimentano in modo molto frugale assorbendo umidità e nutrienti dall'atmosfera attraverso particolari aperture presenti sulle foglie che in alcune specie si configurano come vere e proprie squame (stromi) e che utilizzano le radici solo con una funzione di ancoraggio e sostegno per aderire ai tronchi di alberi o di rocce. Sono assimilate, commercialmente, alle succulente in quanto hanno limitate esigenze idriche essendosi adattate a vivere in condizioni climatiche di grande caldo, tipiche delle regioni tropicali del sud America. Ne esistono specie a foglia verde e specie a foglia grigia che vivendo in ambienti diversi manifestano esigenze climatiche non assimilabili dimostrando una grande capacità di adattamento. Le specie a foglia verde, infatti, provengono tutte dalle foreste pluviali dell' America del Sud e richiedono pertanto, per ben vegetare, un clima temperato caldo, piovoso; crescono al riparo della chioma degli alberi e prediligono la mezz’ombra; sono in genere le specie più adatte per essere coltivate in appartamento, come ad esempio Tillandsia leiboldiana o la diffusa Tillandsia cyanea.

Tillandsia cyanea
Le specie a foglia grigia, invece, vivono in natura in zone semiaride del Centro e Sud America, in Messico e nel Sud degli Stati Uniti, caratterizzate da temperatura medio alte, buona luminosità ed elevata umidità atmosferica. La maggior parte delle specie vive sugli alberi ma ci sono anche specie che vivono tra le rocce. Nei paesi di origine, alcune specie, trasportate dal vento colonizzano finanche i fili delle linee telefoniche da cui pendono come festoni al vento. Ne fanno parte, tra le altre, Tillandsia usneoides, Tillandsia aeranthos, Thillandsia xerographica. 
Tillandsie Collezione Parlato (1993)
Le tillandsie sono specie monocarpiche che fioriscono cioè una sola volta producendo fiori raccolti in spighe o grappoli di lunga durata e in alcune specie leggermente profumati con fragranze che ricordano il tiglio, il gelsomino ed il garofano tanto da essere chiamate, popolarmente, “garofani dell’aria”. La riproduzione oltre che per seme avviene con grande facilità per gemmazione quando dalla base del tralcio della pianta madre, in genere dopo la fioritura, si producono nuove piantine che possono staccarsi per colpa del vento o rimanere attaccate alla pianta madre per formare un'unica colonia.
Nonostante le apparenze di frugalità ed adattabilità le tillandsie non sono specie di facile coltivazione e le percentuali di insuccesso sono molto elevate; basta a tal proposito consultare i vari forum di giardinaggio che sono prodighi di consigli e dolenti di insuccessi: “io la tengo dentro, io la metto fuori”; “io la nebulizzo ogni tanto; io no, la immergo direttamente in acqua; io la concimo come se fosse un'orchidea, io invece uso il concime per le cactaceae; la appendo al soffitto, la metto in un cesto; a “capa” sotto o a testa in su". Insomma è un genere di piante difficili che una volta comprate se non si azzecca la giusta esposizione dentro casa o all’aperto (ricordandoci che le tillandsie non sopportano temperature rigide) nel giro di un’estate cominceranno a deperire, seccare ed infine morire.
Ma non sempre ed ovunque è così; in Sicilia, ad esempio, la coltivazione all’aperto per tutta la durata dell’anno di Tillandsia aeranthos avviene in tutta semplicità e naturalezza in una particolare zona di costa che da Catania corre verso Messina, soprattutto intorno alle cittadine di Giarre ed Acireale (località Stazzo, Pozzillo, San Leonardello). E’ qui che girando per strade e cortili non è difficile trovare, in primavera, cespi in fiore di Tillandsia aeranthos che aggrappati a fili di ferro sottile penzolano da ringhiere o balconi come tanti palloni al vento. Ma niente è paragonabile alla popolazione di Tillandsia aeranthos che è presente ad Acicastello, cittadina sul mare in prossimità di Catania, nel giardinetto di Daniela, mia cara amica dai tempi dell’Università.



Ed è lei stessa  che spiega in che modo ha messo insieme questa irripetibile collezione:
Cara Marcella
La mia collezione è iniziata circa 40 anni orsono, quando è arrivata la prima pianta in casa. Invero l'ho poi incrementata circa 30-25 anni fa prendendo un germoglio di una piantina che era presente in Facoltà nell'Istituto di Orticoltura e Floricoltura (correva l'anno 1983-84) che si è moltiplicata molto velocemente ed è la mamma di quasi tutte le piante ad eccezione di una, molto grossa (la pianta di 40 anni fa) che non è mai fiorita (e non so il motivo). La manutenzione è molto semplice: pulisco bene i cespi una volta l'anno immergendoli in acqua per poco tempo in modo da eliminare la vegetazione appassita e risistemare le piante (facendone di nuove nel caso in cui si separino naturalmente). In estate, due volte la settimana, bagno le piante, lasciate appese, con un tubo dell'acqua a spruzzo; in inverno non faccio niente. In genere, poi, non le concimo. 
Ovviamente è possibile la propagazione per seme ma nelle nostre condizioni io non ho mai ottenuto i semi e quindi non ci posso provare".


Daniela non la racconta giusta, non può essere solo merito dell’esposizione a sud ovest del suo giardino, del parziale ombreggiamento estivo assicurato dalla vite che ricopre la pergola, del clima caldo umido castellese, degli sguardi affettuosi che tutta la famiglia riserva alla “madre di tutte le tillandsie appese” , ci deve essere un altro segreto che Daniela non può o non vuole svelare. Io ho provato più volte a riprodurre la specie senza mai riuscirvi, partendo da bulbilli della sua pianta madre; rimango perciò del parere che le tillandsie sono piante difficili da coltivare e che il giardino di Daniela non è altro che una magnifica, irripetibile, irraggiungibile, eccezione.
Dove trovarle
Sull'argomento guarda anche il post:Tillandsie che passione
 
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