mercoledì 28 maggio 2014

"La piccola estate" di Lidia Zitara

Conversando con Lidia del suo nuovo libro
Non conosco Lidia di persona nel senso che fisicamente non ci siamo mai incontrate; io vivo in una grande isola con il ponte levatoio perennemente alzato, Lidia vive in Calabria, anch’esso un mondo a parte affacciato sul mare; ma siamo entrambe meridionali accomunate da una sensibilità verso le piante e gli animali che ci rende amiche. Amiche di penna come si diceva un tempo quando i lunghi viaggi e la scarsa possibilità di movimento rendevano obbligatori gli scambi epistolari per intessere conoscenze, rapporti, amicizie. In era tecnologica non è più la “penna” il tramite per molte amicizie a distanza ma il computer e i social network e la possibilità di scrivere comunicando all’intero mondo il proprio sentire. Di Lidia conosco ed apprezzo perciò quello che lei ha voluto rendere pubblico attraverso i suoi scritti: sul blog “Giardinaggio Irregolare” uno dei più seguiti ed autorevoli;
ma anche su FB  dove, sul suo diario, si innescano discussioni  a più voci, coinvolgenti e talvolta, interminabili.
Lidia è anche molto conosciuta tra i “giardinofili” per l’autorevole attività di moderatore esperto del forum “Compagnia del Giardinaggio”;
ed è autrice di pubblicazioni editoriali come il libro “Giardiniere per diletto” che tanto successo ha avuto tra gli appassionati del genere o l’introduzione su Ippolito Pizzetti nel libro che raccoglie le bandelle della collana “L’Ornitorinco”.
Quale è il tratto distintivo di Lidia che ho imparato a conoscere dopo anni trascorsi a seguirne sul web pubblicazioni, scritti e pensieri? Il suo carattere di donna spigolosa, intransigente, veemente nel portare avanti tesi e ragioni, che spesso non conosce mediazioni ma è ugualmente capace di profonda sensibilità, fragilità, romanticismo, melanconia; con un forte piacere per la scrittura che la spinge a scrivere di giardini su Wikipedia, che le fa recensire libri su Amazon;  bulimica lettrice di generi letterari vari, da Tolkien ai classici, appassionata di cinema e di grafica, fotografa di giardini e natura su Flickr; amante dei cani e gatti di casa che rappresentano una parte importante della sua famiglia, con poca o nessuna predisposizione per il mondo dell’infanzia che viene spesso menzionato ne suoi scritti per rilevarne gli aspetti più molesti. Nel suo blog che sovente chiude e poi riapre in funzione della voglia che ha di comunicare con gli altri si alternano post centrati sui giardini e sul parlare di giardini come la recente intervista a Marco Martella a post ermetici il cui significato spesso mi trova spiazzata e perplessa: “Dal panopticon alla tessera della palestra, passando per la leva militare”
Lidia ha pubblicato in questi giorni il suo secondo libro “La piccola estate” sotto forma di romanzo edito da Pendragon che sarà in libreria dalla metà del prossimo mese. Le ho chiesto di rispondere ad alcune domande per arrivare preparati all’evento.

"Un romanzo è un genere diverso da un saggio o da un manuale di buon giardinaggio; cosa ti ha spinto a parlare di un giardino raccontandone la storia sotto forma di racconto?"
"Mi è partita una vena triste, di malinconia, per qualcosa di perduto. I vecchi amici capiranno a cosa mi riferisco. Ci sono persone che hanno bisogno di scrivere tutto, dalla lista della spesa, al diario, all’esercizio di stile, al blog. Non sono tra questi, la scrittura mi rattrista, scrivere è sempre un’attività faticosa. Ma ho un forte bisogno di cristallizzare i dispiaceri, scriverne è un modo come un altro per bloccarli in una palla di vetro, posarli su uno scaffale della propria anima e dimenticarli lì. In qualche modo lo scrittore se ne disfa, li “appioppa” al lettore. Penso sia abbastanza comune per lo scrittore un tentativo di “consegnare all’umanità” il proprio dolore: in questo modo lo divide con gli altri, e –si sa- mal comune… "


"È la storia di un giardino o quello di una ragazza che non amando il genere umano ama i giardini?"

"Non è la storia di un giardino, no, per nulla. Anzi, forse sono debitrice a questo giardino immaginario di qualche attenzione in più, ma non volevo che fosse considerato tra i protagonisti della Piccola Estate. La verità è che non c’è nessun protagonista, anche la ragazza di cui seguiamo le giornate, fa la “comparsa” nella storia della sua vita. Vive come in attesa di qualcosa, qualcosa che non arriverà –o tornerà- mai. Percepisce se stessa in maniera distorta, consapevole solo in apparenza. Non riesce ad amare le persone e anche per questo preferisce i giardini, che sono frutto di una operazione di controllo e manipolazione (a cui le persone per solito sfuggono). La vera protagonista del romanzo è la desolazione della “vita comune”, del tempo che passa, dell’abitudine a pensare alla propria vita come un deserto di sentimenti senza risposta". 

 "Vuoi raccontarne in breve la trama"

"Una ragazza deve badare ad un giardino di campagna per un’estate. Tutto qui. Non mi fare dire niente, ma la trama non è essenziale, in questo romanzo". 

 "Occuparsi di un giardino nelle estati torride del meridione d’Italia viene descritto nel tuo libro come un’attività spossante, (caldo torrido, ore passate ad innaffiare) è veramente così: giardinaggio come “travaglio, sofferenza?"

"Il giardinaggio in inverno può essere molto gratificante dal punto di vista fisico, non è una fatica né un travaglio, anzi, è corroborante, ritempra. Hai il mal di schiena? A zappare e ti passa. Mal di testa? A zappare e ti passa. Ma dopo maggio diventa un tormento. Il solo pensiero di uscire a togliere le erbacce, a controllare i vasi, persino a contemplare i fiori, diventa ammorbante. Il caldo si regge fino alle otto del mattino, e la sera si respira dopo le quattro di notte, se si riesce a prender sonno nonostante le zanzare. La mia esperienza diretta di giardiniera è limitata al mio paesino, Siderno, sul litorale ionico reggino, ma in zone più fresche l’estate è la stagione tanto attesa. In fondo in Inghilterra si aspetta l’estate per la fioritura delle rose (qui da noi a maggio sono già tutte andate)! Quando ero piccola, attorno a casa mia alitavano gli ultimi sospiri della campagna di provincia: ci si infilava tra gli orti dei vicini per andare a casa dei compagni di scuola, c’era sempre un varco attraverso cui passare per entrare nei frutteti. La nostra auto era la bici, e se no a piedi. Il terreno, materialmente, lo potevamo calpestare. Ora la città, ma anche i poveri brandelli di campagna, sono luoghi di transito, non di sosta. Oggi attorno a me ci sono case ricolme di vicini chiassosi e molesti, le pareti di calcestruzzo non sono solo un cambiamento devastante a livello paesaggistico, ma anche ecologico: la quantità di calore che trattengono è inimmaginabile. Se negli anni Ottanta l’estate era il momento del fresco e del ristoro, oggi è un inferno di chiodi arroventati che piombano sulla terra. Non mettiamo il dito nella piaga “acqua”. Altro che romanzo"

"L’esperienza e la sensibilità botanica che caratterizzano la protagonista hanno tratti autobiografici?"

"Del tutto, sì. Da lettrice ho sempre biasimato i romanzi in cui il giardino, le piante, i fiori, sono uno stratagemma per attrarre l’attenzione degli appassionati, ma che in realtà parlano di tutt’altro. Un esempio? Fammi sfogare, non danneggio nessuno, l’autrice è straniera e il volume fuori catalogo: Il giardino che fioriva di notte, una miserevole storiella pseudo-romantica con abbondante farcitura di sentimentalismo da battaglia in assetto antisommossa. Proposto in tutte le liste di romanzi che parlano di giardini, must delle generazioni di giardinieri dei decenni passati, solo perché all’interno l’autrice vi ha abusivamente introdotto una cassetta di pansé. Ho voluto parlare di fiori per quel che sono, di giardini per quel che sono, non per simboli, metafore, analogie e allegorie, che mettono una enorme distanza tra noi e la nostra comprensione della Natura". 

A me la storia è piaciuta, e molto; si legge d’un fiato e rappresenta un altro piccolo tassello che va a comporre il grande e misterioso puzzle che è la complessa personalità di Lidia. Non resta che attendere l'effettiva uscita del libro, nei primi del mese prossimo, in libreria.

venerdì 23 maggio 2014

Quiz botanico maggio 014

Cinque indizi per una specie
 
Genere


 1
Ah! Non credea mirarti
Si presto estinto, o fiore;
Passasti al par d’amore,
Che un giorno sol durò….


2

Non bisogna essere un esperto profumiere per sapere che in lozioni e profumi la mia gommo resina è la base che da corpo e forza alle fragranze

3
Per acchiappare mosche e zanzare altro non devi fare che bagnarmi con acqua zuccherata, appendermi al soffitto ed aspettare

 4
Se, nella terra dei nuraghi, vedi gente intenta a perlustrare le mie vaste distese
stai sicuro che non è li per passeggiare ma per scovare Leccinum da preparare sbollentati e fritti secondo l’usanza locale

5
C’è sempre qualcuno che per farsi notare ti si attacca al piede

 

domenica 18 maggio 2014

Proteaceae, un caleidoscopio di colori

Una famiglia botanica di origine australe coltivata e commercializzata con successo in Toscana
Tra le piante arbustive da fiore più strane che è possibile coltivare nei giardini a clima mediterraneo un posto di primo piano occupano le Proteaceae le cui diverse specie appartenenti a Generi come ProteaBanksia, Leucadendron, Telopea, Grevillea, Isopogon, Dryandra, Hakea hanno tutte infiorescenze vistose dai colori sbandierati, esotici, sgargianti come c’è da aspettarsi da generi appartenenti ad una delle famiglie più caratteristiche ed importanti dell’emisfero australe. Si tratta di entità botaniche antiche le cui origini si fanno risalire ad oltre 140 milioni di anni fa prima della deriva dei continenti; quando le terre emerse cominciarono a separarsi alcune specie rimasero confinate in Africa meridionale dando origine alla sottofamiglia delle proteoideae, mentre altre, oggi inserite nella sottofamiglia delle grevilleoideae, sono presenti soprattutto in Australia con circa 800 specie riunite in 45 generi di cui alcuni esclusivi di questo continente come i generi Banksia, Grevillea, Dryandra, Hakea.
Pinterest

La variabilità che caratterizza l’intera famiglia riguarda sia l’aspetto delle piante che le strutture fiorali di una singola pianta nel corso della stessa fioritura; non a caso la famiglia delle Proteaceae deve il suo nome al genere Protea, studiato e classificato da Linneo nel 1735; esaminando i campioni di alcuni esemplari che gli erano stati inviati dal Sud Africa e notandone il carattere di notevole variabilità, Linneo diede loro il nome del dio greco Proteo che secondo la leggenda era in grado di cambiare continuamente aspetto per sfuggire a Menelao che ne voleva trarre auspici. Il termine protee è stato poi esteso alle tantissime specie appartenenti alla Famiglia, anche di generi diversi da Protea, accomunati dal possedere infiorescenze dalle strutture molto strane ed inconfondibili. 
 
Il fiore di una protea classica, ad esempio, ha l’aspetto iniziale di un carciofo (non per niente la denominazione botanica è di Protea cynaroides), un grande ricettacolo circondato da sepali e petali saldati insieme a formare brattee molto colorate con funzione vessillare. Un’infiorescenza può contare anche 160 fiori disposti a spirale e quando le brattee si aprono i fiori sbocciano partendo dall’esterno e procedendo verso l’interno.
La stranezza delle forme, la singolare bellezza dei fiori e la notevole possibilità di ibridazione ha consentito di selezionare, a partire dagli anni 60, cultivar di pregio di Protea cynaroides e di altre specie (Protea magnifica, Protea eximia, Protea nerifolia, Protea repens con i relativi ibridi) da coltivare in pieno campo e commercializzare come fronda e fiore reciso, un prodotto molto ricercato dai fioristi per bellezza e durata (oltre due settimane).
I principali centri di produzione a livello mondiale sono, oggi, la California, seguita dalle regioni d’origine come Australia e Sud Africa, da Israele, Isole Canarie e in Europa, particolarmente in Toscana, una regione a vocazione florovivaistica dove le protee vengono coltivate essenzialmente come piante fiorite da vaso.
Per saperne di più sui motivi che hanno determinato la nascita in Italia di un polo di produzione di specie così selvatiche ed esotiche, abbiamo chiesto a Gabriele Simoncini del vivaio omonimo di raccontarci la storia di come la sua famiglia abbia intrapreso la coltivazione di queste particolarissime piante.
"I Vivai Simoncini è un'azienda florovivaistica avviata a Pescia, in provincia di Pistoia, nel 1950 dai miei nonni che producevano garofano per farne fiore reciso; alla costituzione della Cooperativa Floratoscana ne siamo subito diventati soci, affiancando al garofano la produzioni di calle , iris, bocche di leone, Gypsophila e crisantemi. Circa 10 anni fa a causa di una forte crisi del fiore reciso, insieme ad altri soci della cooperativa abbiamo deciso di diversificare la produzione entrando nel mercato delle piante in vaso con un prodotto unico e particolare. La nostra attenzione si è rivolta alle protee e per capire e apprenderne le tecniche di produzione siamo stati in Australia a visitare aziende e a stipulare accordi commerciali per l’approvvigionamento del materiale di propagazione certificato.  Nell’ambito di Floratoscana abbiamo quindi formato un gruppo di una decina di aziende che si è specializzato nella coltivazione di generi di protee, diversi per azienda, curandone anche la moltiplicazione per talea delle varietà da noi scelte e coltivate che vengono prodotte in Italia da un’azienda del gruppo. Attualmente la produzione del Vivai Simoncini, svolta a conduzione familiare, si sviluppa in 3 serre di circa 2000 mq ciascuna  avendo in coltivazione i generi Protea, Telopea, Leucospermum e Grevillea.
La Grevillea è il genere di Proteaceae più comune in Italia, coltivata già da diversi anni in Puglia e anche Sicilia, stiamo però ampliando il catalogo mettendo in produzione altre specie di Grevillea tra cui la Grevillea juniperina, Grevillea banksia e Grevillea longifolia.
Tra le protee la varietà più conosciuta e commercializzata è la Protea Little Prince, una Protea cynaroides che cresce, rispetto ai suo fratelli maggiori White king e Pink king, in modo più contenuto rimanendo una pianta più compatta e proporzionata.
Dall'arrivo della talea alla vendita passa circa un anno e mezzo durante il quale le piante subiscono rinvasi e potature a seconda delle necessità della varietà. Una volta ottenuto, il prodotto finale viene commercializzato all'ingrosso da Floratoscana principalmente in Portogallo e in tutta Europa attraverso i mercati olandesi. Purtroppo una piccolissima percentuale è destinata all'Italia, perché nel nostro paese le protee sono ancora troppo poco conosciute e richieste".
"Quali tra i diversi generi presenti in coltivazione nella vostra azienda avrebbero possibilità di essere introdotti con successo nei giardini mediterranei ?"
"Una tra le specie che effettivamente è già presente nella maggior parte dei giardini è la grevillea, un tipo di pianta resistente al freddo, che una volta stabilita garantisce la fioritura durante quasi tutto l’anno, incominciando dai mesi invernali. Assieme ai cespugli di grevillea, potrebbe trovarsi benissimo anche la telopea, pianta molto resistente al freddo, sempreverde con sviluppo a cespuglio e talvolta piccolo alberello, che produce una lunga e robusta fioritura per tutta la primavera ed oltre.
La protea è ideale per posizioni soleggiate purché ben arieggiate, basta disporre le piante  in modo che siano riparate a nord e libere verso sud; l’unica cosa necessaria alla crescita e alla salute di queste piante è, infatti,  il sole che deve essere diretto. Durante l’inverno, in zone fredde,  è preferibile mettere le piante al riparo con la stessa tecnica che si usa per coprire le piante di limone."
A sentire il parere di Gabriele la coltivazione delle protee è, dunque,  alla portata climatica di molti giardini mediterranei e procurarci esemplari di questi fiori "alieni" è facile grazie al  catalogo online dei Vivai Simoncini  che effettua la vendita per corrispondenza di tutta la produzione.  Ed allora, lasciamoci tentare dai colori pirotecnici delle protee che nate e cresciute in Italia non avranno di certo nostalgia delle loro origini lontane.

Bibliografia: F. Sammiceli, Possibilità di utilizzazione delle Proteaceae nel florovivaismo siciliano (le foto del primo collage sono tratte dalla tesi),  Università degli Studi di Catania Facoltà di Agraria. Proteas passion for collection Flora Toscana

lunedì 12 maggio 2014

Meryta denhamii, una specie tante volte riscoperta

Meryta denhamii è un piccolo alberetto dalle lunghe foglie sempreverdi presente, anche se non molto diffuso, nei giardini pubblici e in alcune ville storiche siciliane degli inizi del 900. E’ una specie appartenente alla famiglia delle Araliaceae e come tale il suo punto di forza non sono i fiori, che appaiono insignificanti, portati da individui diversi per i due sessi, ma è la particolare eleganza del fogliame e del portamento, soprattutto negli individui adulti, alti anche 5-6 metri che presentano un fusto slanciato, poco ramificato, con grandi e lunghe foglie semplici, alterne, portate all’estremità dei rami.
 
In base all’età le foglie hanno dimensione e forma diversa, le giovani foglie sono lineari ed allungate mentre le vecchie hanno forma più allargata e possono raggiungere il metro di lunghezza con una nervatura centrale gialla ben in rilievo ed il margine ondulato; il colore delle foglie è verde brillante per la pagina superiore e verde chiaro inferiormente. La crescita del fogliame è invernale mentre in primavera si producono corte pannocchie di piccoli fiori verdastri su piante dioiche; dai fiori femminili a seguito di impollinazione si produrranno frutti globosi, giallastri.
 
La specie proviene da un posto molto, molto, lontano; una piccolissima isola del Pacifico, l’Ile des pins, non più grande di 250 kmq, facente parte dell’ arcipelago della Nuova Caledonia, un territorio francese d’oltremare scoperto nel 1774 dal capitano inglese James Cook che osservando il profilo dei rilievi montuosi di queste terre sconosciute ebbe nostalgia di casa e le chiamò Nuova Caledonia dal nome antico della Scozia, terra d’origine di suo padre .

Sono isole emerse più di 280 milioni di anni fa in mezzo al Pacifico tra la Nuova Guinea, l’Australia e la Nuova Zelanda, caratterizzate da un isolamento pressoché totale che ne ha fatto un paradiso botanico con più di 3300 specie endemiche , tipiche del luogo. Tra esse soprattutto il famoso pino colonnare, una specie di araucaria che caratterizza i boschi presenti sui bassi rilievi, insieme a felci e ad oltre 38 specie di palme anch’esse endemiche, immerse in una vegetazione primordiale. E’ da questa vegetazione fatta di boschi assolati ed umidi che ha origine Meryta denhamii ma ci vorranno ancora cento anni dalla scoperta di queste isole lontane perché William Grant Milne, un giardiniere inviato dal Botanic Garden di Edimburgo, nel corso di una spedizione sull’isola, presti attenzione a questo alberetto tutto foglie mandandone alcuni campioni ai Giardini Botanici Reali di Kew dove nel 1860 arriverà a fiorire in serra. Due anni dopo il botanico Berthold Seeman la descriverà dandole il nome di Meryta denhamii in onore del capitano Denham che aveva comandato la spedizione del Botanic Garden.

Sito reperimento foto
La specie, negli anni a venire verrà descritta tante volte ad opera di botanici diversi assumendo le seguenti denominazioni: Aralia reticulata Linden Ex B. S. Williams (1870) Meryta macrocarpa Baill. 1878), Meryta macrocephala Baill. 1878, Meryta superba Borzí 1906, Oreopanax reticulatus (Linden Ex B. S. Williams) L. H. Bailey 1900, Strobilopanax macrocarpus (Baill.) R. Vig. 1906, Strobilopanax macrocephalus (Baill.) R. 1906.E anche oggi sui diversi siti internazionali per la denominazione botanica si fa fatica a rintracciarla (Kew Checklist; IOPI; IPNI; GRIN)
In Sicilia Meryta arriva presso l’Orto Botanico di Palermo nel 1905 e sarà descritta l’anno dopo dal direttore Borzì. Piano, piano come per molte altre specie introdotte nell’Orto palermitano, questa aralia comincia diffondersi nei giardini delle ville nobiliari di inizio secolo come specie esotica resistente e di gradevole aspetto.
Oggi Meryta denhamii è quasi scomparsa da ville e giardini mediterranei sia perché poco conosciuta a vivaisti ed utenti del verde sia perché da pochi anni è ospite preferito di Protopulvinaria pyriformis, cocciniglia esotica che infesta numerose piante di interesse agrario (agrumi, avocado) ed ornamentali provocando accartocciamento del lembo fogliare e disseccamento dei rametti. Alcuni esemplari imponenti ed annosi che facevano da cornice alla vasca centrale del Giardino Bellini a Catania ne sono stati irrimediabilmente colpiti.
Pur con tutte le difficoltà del caso penso che valga la pena riprovarci reintroducendo Meryta denhamii nei giardini pubblici o nei piccoli spazi privati delle regioni mediterranee dove la semplice eleganza di questo piccolo albero dalle grandi foglie potrà rivelarsi una nuova, piacevole scoperta.

venerdì 9 maggio 2014

Il giardino della Villa Piccolo di Calanovella

La villa della famiglia Piccolo, a Capo d’Orlando, in provincia di Messina, è stata, dalla fine dell’ottocento agli anni 70 del secolo scorso, la residenza di campagna dei baroni Piccolo di Calanovella, famiglia siciliana di nobiltà terriera del XVII secolo, ricca di proprietà e palazzi nei paesi di Naso, Capo d’Orlando e Ficarra.
Gli ultimi discendenti che hanno abitato la villa sono stati il barone Giuseppe Piccolo, sua moglie Teresa Tasca Lanza Filangeri di Cutò, figlia del conte d’Almerita ed i loro tre figli, Agata Giovanna, Casimiro e Lucio, le cui vicende familiari sono strettamente legate alla villa e al giardino di Capo d’Orlando. 
Il Barone Giuseppe, infatti, amante della bella vita e del lusso, riuscì a dilapidare nel corso della sua vita un ingente patrimonio; inoltre, invaghitosi di una ballerina, abbandonò la famiglia per seguirla a Sanremo dove si stabilì definitivamente sino alla sua morte che avverrà nel 1928. A causa di questo evento traumatico la baronessa Teresa decise di vendere il palazzo di Palermo e di ritirarsi a vivere insieme ai figli, tutti più che trentenni, nella villa di Capo d’Orlando sia per allontanarsi dal clamore che la fuga del marito aveva suscitato nell'alta società palermitana che per ridurre le spese e amministrare da vicino le  proprietà rimaste.
La residenza di campagna era estesa circa 20 ettari, molti dei quali coltivati ad agrumi ed olivi e godeva di una splendida posizione panoramica posta com’era su un pianoro compreso tra i monti Nebrodi ed il mare. 
Un ambiente tipicamente mediterraneo con estati calde ed asciutte ma con un clima mitigato dalla vicinanza del mare e ricco d’ acqua per la presenza di due torrenti che attraversavano la proprietà. Una vegetazione mediterranea fatta di cisti, euphorbie, lecci e sugherete faceva da contorno alle aree coltivate creando un ambiente agreste, chiuso al mondo circostante, dove la famiglia Piccolo abiterà conducendo vita appartata e dedicandosi ai molteplici, raffinati e talvolta stravaganti, interessi personali.
Foto Fondazione Piccolo
Casimiro, ad esempio,  amava la pittura e trascorreva il suo tempo ritraendo paesaggi e realizzando sorprendenti acquerelli   a soggetto fantastico con elfi e folletti la cui presenza ricercava di notte in giardino; era anche un appassionato fotografo e  sono molti i ritratti di anziani, ragazzi o scene di vita contadina, conservati nella villa. Era ipocondriaco ed aveva una vera passione per il paranormale e lo spiritismo, attività  che condivideva con tutta la famiglia.
Foto Fondazione Piccolo
 
Foto Fondazione Piccolo
Lucio, il minore era  un uomo molto erudito ed eclettico che amava l'astronomia e la matematica ma era anche poeta e musicista. Come molti siciliani, non sentiva il bisogno di trasmettere o pubblicare i frutti del proprio talento, ma quando finalmente pubblicò alcuni versi vinse un importante premio letterario conoscendo in tale occasione Eugenio Montale.
Foto Fondazione Piccolo
Lucio condivideva la passione per la poesia europea, antica e recente, con il cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa che amava trascorrere lunghi periodi di riposo in villa per discutere  di letteratura e sottoporre al giudizio del cugino Lucio quanto andava di volta in volta scrivendo. Molte della suggestioni del libro il Gattopardo, pubblicato postumo nel 1958,  nascono nel giardino e nella stanza della villa che gli era riservata.  
Trama

Agata Giovanna, la maggiore dei fratelli Piccolo, si interessava, invece, insieme alla madre, di amministrare la casa e gestire le proprietà; amava molto i suoi cani, sepolti tutti in un piccolo cimitero loro dedicato in un angolo del giardino, era cuoca raffinata e si interessava di botanica.
Foto Fondazione Piccolo
Il giardino che la giovane baronessa aveva realizzato intorno alla casa era diviso essenzialmente in due parti;  in una zona più piccola e raccolta c'era il cosiddetto giardino esotico,  posto sul terrazzo giardino sul quale si apriva la stanza da pranzo ed il salone; era uno spazio verde concepito come un  balcone proteso sul mare con vasche di pesci e ninfee,  coltivato a piante grasse e piante coloniali come aloe, agavi, cactus, Yucca draconis, Nolina recurvata, strelitzie, ibiscus.
 
 
L’altro giardino chiamato ”esoterico”, secondo il  sentire comune della famiglia, era più grande e antistante l’ingresso principale della villa, al confine con le aree coltivate. Aveva come punti d’interesse una passeggiata coperta, realizzata con un lungo pergolato a glicine, gelsomino e rose;una grande aiuola centrale e dei viali ad incrocio, cui si accedeva dalla scalinata d’ingresso, che si inoltravano nella proprietà verso sedute in pietra poste agli estremi del viale, sotto monumentali Pinus pinea e Cupressus macrocarpa, ancora oggi in vegetazione.
 
L’ interesse di Giovanna per la botanica le fece sostituire poco alla volta le piante d’agrume presenti nel terreno circostante la casa con essenze arboree esotiche come Bauhinia, Cercis siliquastrum, Ficus, Inga pulcherrima, Eucaliptus camaldulensis, Cycas,  Solandra e specie profumate come Pittosporum tobira, Philadelphus coronarius, Acokanthera,  ancora presenti qua e la nel parco. La vera passione di Giovanna erano, però, i fiori; il suo giardino infatti, veniva descritto come ricolmo di agapanti, ortensie, iris, rose, azalee, di cui oggi non se ne ha più traccia. Tra le sue passioni botaniche più originali vi era una rara pianta tropicale di origine brasiliana, la Puya berteroniana, cui dedicò tempo, studio ed energie per realizzarne il trapianto e l’acclimatazione nel giardino esotico, descrivendone poi la tecnica di coltivazione in una pubblicazione dell’Orto Botanico di Palermo del 1963. 
Oggi di piante di puya nel giardino ce ne sono ancora sette esemplari che regolarmente in giugno producono, su di un lungo stelo, bellissimi fiori azzurro-blu.

Sito immagine
A rimarcare la stranezza della famiglia, i fratelli Piccolo non si sposarono mai come promesso in punto di morte alla madre anche se Lucio, in età avanzata ebbe un figlio da una contadina del luogo che visse in famiglia sino all’età di nove anni; quando poi Lucio morì, il ragazzo fu restituito dagli zii alla madre con la sua parte di legittima eredità; il resto del patrimonio per volere di Giovanna e Casimiro confluì alla loro morte nell’istituzione della Fondazione Piccolo che dal 1978 promuove e mantiene in vita il ricordo della famiglia e delle sue molteplici attività culturali.

Per chiunque sia appassionato di giardini e di storie di vita siciliana, la visita alla Villa della famiglia Piccolo di Calanovella a Capo d’Orlando è d’obbligo preferendo come periodo il mese di giugno perché è allora che le puye saranno in fiore.


Bibliografia e foto storiche: C.Paterniti Barbino, Il ruolo della vegetazione nel giardino storico: Villa Piccolo a Capo d’Orlando (Messina), Università degli Studi di Catania, Facoltà di Agraria, Corso di laurea in Tecnologie e Pianificazione per il Territorio e l’Ambiente Dipartimento di OrtoFloroArboricoltura e Tecnologie AgroalimentariSezione di Ortofloricoltura.
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lunedì 5 maggio 2014

Soluzione "Esploratori botanici, incrocio di parole"


Verticale
1.      Humboldt Alexander, naturalista, esploratore, botanico tedesco; viaggiò per cinque anni (1799-1804) nell’America meridionale; Darwin lo definì “Il più grande viaggiatore che sia mai esistito”; a lui è dedicata una specie di Annona.
2.     Cunningham Allan, esploratore botanico inglese  che esplorò il  Brasile (1815-1816) e l’Australia (1839) percorrendo regioni ancora ignote nell’interno; a lui è dedicato un genere di Cupressaceae originario dell’Asia che comprende due sole specie.
3.      Masson Francis, botanico scozzese e primo giardiniere dei Kew gardens ad essere inviato all’estero; esplorò il Sudafrica dove nel 1772 trovò un territorio quasi vergine e ne riportò numerosissime piante soprattutto eriche, gerani, hamaryllis. Pubblicò un unico libro sulle Stapelia  pubblicato nel 1796.
4.    Thunberg Carl Peter, botanico ed entomologo svedese, allievo di Linneo, fece la sua prima spedizione in Giappone (Flora japonica 1794) ed in seguito in Sudafrica; divenne professore di Botanica a Uppsala; a lui è dedicato un genere di piante da fiore della famiglia delle Acanthaceae native delle zone orientali e meridionali dell’Africa.
5.      Banks Joseph, botanico inglese di lunga e eccezionale carriera;  fu consigliere botanico di re Giorgio III, presidente della Royal Society e fondatore della Horticultural Society. Esplorò Oceania, Nuova Zelanda ed Australia introducendo in occidente piante come eucalipto, acacia, mimosa.
6.      Hooker Joseph Dalton, figlio d’arte, botanico e viaggiatore inglese esplorò l’antartico e poi fu in Tibet e Himalaya partecipando a spedizioni in Sudamerica, Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica. Scrisse una voluminosa enciclopedia sulle piante. Nei suoi viaggi raccolse oltre 7000 specie introducendo tra l’altro i rododendri dalla regione del Sikkim.
7.      Douglas David, botanico scozzese che per conto della Royal Botanic Institution di Glasgow effettuò nel 1823, per cinque anni, una spedizione in Nord America durante la quale scoprì numerose conifere che importate al suo ritorno in patria hanno in parte modificato la silvicoltura delle isole britanniche.
8.      Tradescant John detto il Vecchio, naturalista, botanico  e giardiniere per nobili e reali d’Inghilterra;  insieme al figlio fu tra i primi della sua epoca a recarsi all’estero per cercare nuove piante, in Russia nel 1618 ed in Spagna nel 1621; porta il suo nome un genere della famiglia delle Commelinaceae.
Orizzontale
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