Conversando con Lidia del suo nuovo libro
Non conosco Lidia di persona nel senso che fisicamente non ci siamo mai incontrate; io vivo in una grande isola con il ponte levatoio perennemente alzato, Lidia vive in Calabria, anch’esso un mondo a parte affacciato sul mare; ma siamo entrambe meridionali accomunate da una sensibilità verso le piante e gli animali che ci rende amiche. Amiche di penna come si diceva un tempo quando i lunghi viaggi e la scarsa possibilità di movimento rendevano obbligatori gli scambi epistolari per intessere conoscenze, rapporti, amicizie. In era tecnologica non è più la “penna” il tramite per molte amicizie a distanza ma il computer e i social network e la possibilità di scrivere comunicando all’intero mondo il proprio sentire. Di Lidia conosco ed apprezzo perciò quello che lei ha voluto rendere pubblico attraverso i suoi scritti: sul blog “Giardinaggio Irregolare” uno dei più seguiti ed autorevoli;
ma anche su FB dove, sul suo diario, si innescano
discussioni a più voci, coinvolgenti e talvolta, interminabili.
Lidia è anche molto conosciuta tra i “giardinofili” per l’autorevole attività di moderatore esperto del forum “Compagnia del Giardinaggio”;
ed è autrice di pubblicazioni editoriali come il libro “Giardiniere per diletto” che tanto successo ha avuto tra gli appassionati del genere o l’introduzione su Ippolito Pizzetti nel libro che raccoglie le bandelle della collana “L’Ornitorinco”.
Quale è il tratto distintivo di Lidia che ho imparato a conoscere dopo anni trascorsi a seguirne sul web pubblicazioni, scritti e pensieri? Il suo carattere di donna spigolosa, intransigente, veemente nel portare avanti tesi e ragioni, che spesso non conosce mediazioni ma è ugualmente capace di profonda sensibilità, fragilità, romanticismo, melanconia; con un forte piacere per la scrittura che la spinge a scrivere di giardini su Wikipedia, che le fa recensire libri su Amazon; bulimica lettrice di generi letterari vari, da Tolkien ai classici, appassionata di cinema e di grafica, fotografa di giardini e natura su Flickr; amante dei cani e gatti di casa che rappresentano una parte importante della sua famiglia, con poca o nessuna predisposizione per il mondo dell’infanzia che viene spesso menzionato ne suoi scritti per rilevarne gli aspetti più molesti. Nel suo blog che sovente chiude e poi riapre in funzione della voglia che ha di comunicare con gli altri si alternano post centrati sui giardini e sul parlare di giardini come la recente intervista a Marco Martella a post ermetici il cui significato spesso mi trova spiazzata e perplessa: “Dal panopticon alla tessera della palestra, passando per la leva militare”
Lidia ha pubblicato in questi giorni il suo secondo libro “La piccola estate” sotto forma di romanzo edito da Pendragon che sarà in libreria dalla metà del prossimo mese. Le ho chiesto di rispondere ad alcune domande per arrivare preparati all’evento."Un romanzo è un genere diverso da un saggio o da un manuale di buon giardinaggio; cosa ti ha spinto a parlare di un giardino raccontandone la storia sotto forma di racconto?"
"Mi è partita una vena triste, di malinconia, per qualcosa di perduto. I vecchi amici capiranno a cosa mi riferisco. Ci sono persone che hanno bisogno di scrivere tutto, dalla lista della spesa, al diario, all’esercizio di stile, al blog. Non sono tra questi, la scrittura mi rattrista, scrivere è sempre un’attività faticosa. Ma ho un forte bisogno di cristallizzare i dispiaceri, scriverne è un modo come un altro per bloccarli in una palla di vetro, posarli su uno scaffale della propria anima e dimenticarli lì. In qualche modo lo scrittore se ne disfa, li “appioppa” al lettore. Penso sia abbastanza comune per lo scrittore un tentativo di “consegnare all’umanità” il proprio dolore: in questo modo lo divide con gli altri, e –si sa- mal comune… "
"È la storia di un giardino o quello di una ragazza che non amando il genere umano ama i giardini?"
"Non è la storia di un giardino, no, per nulla. Anzi, forse sono debitrice a questo giardino immaginario di qualche attenzione in più, ma non volevo che fosse considerato tra i protagonisti della Piccola Estate. La verità è che non c’è nessun protagonista, anche la ragazza di cui seguiamo le giornate, fa la “comparsa” nella storia della sua vita. Vive come in attesa di qualcosa, qualcosa che non arriverà –o tornerà- mai. Percepisce se stessa in maniera distorta, consapevole solo in apparenza. Non riesce ad amare le persone e anche per questo preferisce i giardini, che sono frutto di una operazione di controllo e manipolazione (a cui le persone per solito sfuggono). La vera protagonista del romanzo è la desolazione della “vita comune”, del tempo che passa, dell’abitudine a pensare alla propria vita come un deserto di sentimenti senza risposta".
"Vuoi raccontarne in breve la trama"
"Una ragazza deve badare ad un giardino di campagna per un’estate. Tutto qui. Non mi fare dire niente, ma la trama non è essenziale, in questo romanzo".
"Occuparsi di un giardino nelle estati torride del meridione d’Italia viene descritto nel tuo libro come un’attività spossante, (caldo torrido, ore passate ad innaffiare) è veramente così: giardinaggio come “travaglio, sofferenza?"
"Il giardinaggio in inverno può essere molto gratificante dal punto di vista fisico, non è una fatica né un travaglio, anzi, è corroborante, ritempra. Hai il mal di schiena? A zappare e ti passa. Mal di testa? A zappare e ti passa. Ma dopo maggio diventa un tormento. Il solo pensiero di uscire a togliere le erbacce, a controllare i vasi, persino a contemplare i fiori, diventa ammorbante. Il caldo si regge fino alle otto del mattino, e la sera si respira dopo le quattro di notte, se si riesce a prender sonno nonostante le zanzare. La mia esperienza diretta di giardiniera è limitata al mio paesino, Siderno, sul litorale ionico reggino, ma in zone più fresche l’estate è la stagione tanto attesa. In fondo in Inghilterra si aspetta l’estate per la fioritura delle rose (qui da noi a maggio sono già tutte andate)! Quando ero piccola, attorno a casa mia alitavano gli ultimi sospiri della campagna di provincia: ci si infilava tra gli orti dei vicini per andare a casa dei compagni di scuola, c’era sempre un varco attraverso cui passare per entrare nei frutteti. La nostra auto era la bici, e se no a piedi. Il terreno, materialmente, lo potevamo calpestare. Ora la città, ma anche i poveri brandelli di campagna, sono luoghi di transito, non di sosta. Oggi attorno a me ci sono case ricolme di vicini chiassosi e molesti, le pareti di calcestruzzo non sono solo un cambiamento devastante a livello paesaggistico, ma anche ecologico: la quantità di calore che trattengono è inimmaginabile. Se negli anni Ottanta l’estate era il momento del fresco e del ristoro, oggi è un inferno di chiodi arroventati che piombano sulla terra. Non mettiamo il dito nella piaga “acqua”. Altro che romanzo".
"L’esperienza e la sensibilità botanica che caratterizzano la protagonista hanno tratti autobiografici?"
"Del tutto, sì. Da lettrice ho sempre biasimato i romanzi in cui il giardino, le piante, i fiori, sono uno stratagemma per attrarre l’attenzione degli appassionati, ma che in realtà parlano di tutt’altro. Un esempio? Fammi sfogare, non danneggio nessuno, l’autrice è straniera e il volume fuori catalogo: Il giardino che fioriva di notte, una miserevole storiella pseudo-romantica con abbondante farcitura di sentimentalismo da battaglia in assetto antisommossa. Proposto in tutte le liste di romanzi che parlano di giardini, must delle generazioni di giardinieri dei decenni passati, solo perché all’interno l’autrice vi ha abusivamente introdotto una cassetta di pansé. Ho voluto parlare di fiori per quel che sono, di giardini per quel che sono, non per simboli, metafore, analogie e allegorie, che mettono una enorme distanza tra noi e la nostra comprensione della Natura".
A me la storia è piaciuta, e molto; si legge d’un fiato e rappresenta un altro piccolo tassello che va a comporre il grande e misterioso puzzle che è la complessa personalità di Lidia. Non resta che attendere l'effettiva uscita del libro, nei primi del mese prossimo, in libreria.