lunedì 30 aprile 2018

Finocchietto selvatico, un aroma antico

 
Nessuno mi sta più antipatico di chi usa parole difficili per mettere in evidenza cultura e posizione sociale. Avevo un Professore alla Facoltà di Agraria che infarciva le sue lezioni di frasi astruse, impreziosendo l’eloquio con latinismi che rendevano la sua materia una palla incredibile. Una frase gli era particolarmente cara e la ripeteva ad ogni lezione: “……mutatis mutandis” …… e se all’esame ne riuscivi a snocciolare almeno uno di “mutatis…..” la materia era assicurata. Io, invece, da insegnante, ho fatto della semplificazione la mia etica professionale e riuscire a rendere facile e di immediata comprensione ciò che, se mal posto, può diventare astruso e complesso, è la mia missione. Perciò, quando recentemente ho sentito discutere di quanto sia piacevole “erborinare alimurgiche” per dire di come sia gradevole andare a raccogliere verdure selvatiche, mi è preso il nervoso ed ho deciso  di  parlare  a mio modo di piante spontanee e in special modo di finocchietto selvatico che è  il "marchio di fabbrica" di alcune ricette tipiche della cucina siciliana.
Sinapis nigra
Foeniculum vulgare
Il termine alimurgia fu utilizzato per la prima volta alla fine del settecento da un medico fiorentino in una sua pubblicazione dove dava consigli su quale piante spontanee raccogliere per cercare di alleviare la fame che si registrava in quel tempo a causa di una terribile carestia. Nel suo lavoro utilizzò il termine fiton (pianta) e alimos (che sfama) per indicare piante spontanee da utilizzare come nutrimento in caso di calamità. 
Oggi le erbe spontanee non si raccolgono e consumano più per fame ma per sfizio, per svolgere un’attività ricreativa all’aperto finalizzata all’esercizio fisico abbinato al mangiare sano. Ci sono in commercio molte guide alla raccolta delle erbe spontanee rivolte ai cittadini inurbati che con la campagna hanno poca dimestichezza e se proprio non si trova il tempo per andare a raccoglierle, le erbe spontanee si comprano molto più comodamente nei mercati rionali o all’angolo delle strade vendute dagli erbaioli. 
Tra le tante specie di campagna che è possibile consumare, molte possono essere utilizzate tal quali come la cicoria, la bieta selvatica o la senape canuta ed altre, invece, vengono raccolte ed utilizzate per aromatizzare una ben determinata e specifica pietanza: il finocchio selvatico è una di queste e si utilizza con il precipuo intento di preparare, in Sicilia, la pasta con le sarde o il macco.
Condimento per la pasta con le sarde (chef :mio marito)
In alcuni paesi siciliani, è vero, il finocchio selvatico in foglia o utilizzandone i semi, viene anche impiegato per insaporire la salsiccia, le frittelle o le misticanze di verdure ma in tutte queste pietanze il sapore inconfondibile di questa aromatica è un di più che si aggiunge ad un sapore già ben definito mentre è incontrovertibile che la pasta con le sarde o il macco non si può fare se non si ha del finocchietto selvatico a disposizione. Un poco di storia ed alcune curiosità, allora, su un aroma così particolare ed antico.
 
Foeniculum vulgare
Il finocchio selvatico, è una erbacea perenne della famiglia delle Apiaceae (in passato Ombrellifere) che cresce spontanea nei coltivi abbandonati e lungo i bordi delle strade di campagna di una vasta area dell’Europa mediterranea; non in tutte le condizioni però: nell’arco di una settimana ho fatto un’escursione sui monti Sicani e il finocchietto spuntava per ogni dove; qualche giorno a seguire sono stata a visitare una sughereta famosa su un altopiano dei monti Erei e di finocchietto neppure l’ombra. La pianta ha un apparato radicale legnoso e fusto cespuglioso che può raggiungere il metro d’altezza; i rami sono cilindrici e di colore verde brillante con ramificazioni sottili; le foglie sottili, sono molto frastagliate ed hanno alla base una guaina carnosa.
Il fogliame del foeniculum può essere confuso con quello della ferula in fase giovanile (finocchiaccio) o ancor più con il finocchio porcino (Peucedanum officinale) ma le loro foglie non fanno particolare odore mentre tutta la pianta del finocchietto ha un aroma penetrante ed inconfondibile perché contiene anetolo ed altri terpeni. 

Ferula
I fiori sono di colore giallo intenso, riuniti in ombrelle solitarie e terminali e producono frutti formati da minuscole capsule contenenti piccoli semi ovali che, raccolti in settembre, trovano utilizzazione per insaporire la salsiccia o per condire le olive in salamoia.
E’ dal finocchio selvatico, per selezione ed incroci, che è stato ottenuto il finocchio da orto che ha fatto la sua comparsa in tavola a partire del XVI secolo.
Le virtù del finocchio erano ben note ai Romani che lo chiamavano Foeniculum da foenum, fieno, per le foglie sottili; ci racconta il compianto Gugliemo Betto nel suo libro Erbe: Storie e ricette di cucina della Edagricole che,  nel Manuale Gastronomico di Apicio, i semi di finocchio entravano in una grande quantità di vivande, di salse aromatizzanti o digestive , utilizzato nella preparazione di tisane, cacciagione o nelle farinate.

Da un punto di vista erboristico il finocchietto ha funzione digestive e carminative soprattutto attraverso i semi ed i suoi oli essenziali; stimola la funzione diuretica, aumenta la montata lattea e calma la pertosse e l’asma.
Oggi il finocchio selvatico è stato in parte domesticato e lo si può trovare coltivato in vaso, ottenuto da semi raccolti in estate su piante spontanee che, seminati in autunno, vengono poi commercializzati in primavera come piantine  a 5 o 6 foglie.
Se ne volete comprare una di queste pianta in vaso, mi raccomando a non farvi infinocchiare:  strofinate le foglie ed annusate per bene, solo se vi pizzica il naso sarete certi di portare a casa finocchietto selvatico doc.
 

mercoledì 4 aprile 2018

Blufi, il paese dei tulipani

Blufi è un piccolo paese siciliano dell’Alta valle del Salso posto a 600 metri d’altezza, ai margini del Parco delle Madonie. E’ diventato comune autonomo soltanto a partire dal 1972 staccandosi da quello di Petralia Soprana e vi abitano poco più di mille persone suddivise in numerose frazioni sparse su una superficie territoriale di non oltre 22 kmq. Il nome, un poco buffo, del paese, è un toponimo che compare a partire dal XIII secolo, probabilmente di origine araba, derivato dall’etimo be luf che indica il nome in arabo di una cucurbitacea, la Luffa cylindrica che evidentemente doveva essere coltivata in zona.
Il paese non ha turisticamente molto da offrire se non qualche Sagra ed il Santuario della Madonna dell’ Olio, posto a pochi chilometri dal paese, la cui costruzione ha origini medievali con rimaneggiamenti successivi anche recenti, in un luogo rinomato sin dall’antichità per una sorgente di olio minerale usato per la sua funzione medicinale contro le malattie dermatologiche.
Pur essendo siciliana non ero mai stata a Blufi e non ne conoscevo l’esistenza sino a qualche giorno fa, quando  un amico , Michele, mi spedisce una foto di un campo di tulipani spontanei, un mare rosso ondeggiante che riempie la vista e l’orizzonte stagliandosi contro il cielo blu e la neve che in questi giorni di inizio primavera ricopre ancora le Madonie.
Il luogo dello scatto? Il santuario della Madonna dell’Olio a Blufi: un paesaggio di una bellezza folgorante ed inaspettata e per me, in particolare, sorprendente se si considera che l’anno scorso per vedere un prato di tulipani (coltivati) sono salita fino a Vescovana, nel Veneto, per assistere a Giardinity una manifestazione che ha luogo nella villa della Contessa Pisani e che ha il suo punto di forza negli oltre 70000 tulipani olandesi messi a dimora in modo apparentemente spontaneo nel grande prato prospiciente la Villa.
A Vescovana la vista di tanti tulipani di ogni foggia e colore che punteggiavano il prato, creando un colpo d'occhio fantastico, mi aveva emozionato ma ora so che non può esserci confronto con la  bellezza di questa enorme macchia rossa di tulipani selvatici di Blufi,  che ondeggia nel vento.
Il tulipano che cresce a Blufi è classificato botanicamente come Tulipa raddii o Tulipa praecox, una specie che pur essendo di origine medio orientale si è naturalizzata in diverse regioni italiane probabilmente sfuggendo da qualche giardino e che ha uno dei massimi popolamenti proprio in questo campo che guarda il Santuario. 
In realtà secondo The Plant List la specie avrebbe un altro sinonimo in Tulipa agenensis ma molti post degli esperti del gruppo Forum Acta Plantarum trovano differenze evidenti tra le due specie: nella lunghezza delle foglie in rapporto a quella del fusto, nella forma dei fiori,   nella forma della macchia nera e dell'apice del margine giallastro presente nei tepali interni, la presenza o meno di una banda interna longitudinale gialla; insomma tutti gli indizi porterebbero ad indicare  per i tulipani di Blufi le caratteristiche specifiche di Tulipa raddii.

Qualche giorno dopo avere ricevuto la foto, sono andata anche io a vedere di persona questo paesaggio che ha del miracoloso ed in verità non ci sono foto che ne riescano a catturare   per intero la bellezza. 
Insieme a me, probabilmente avvisati da un passaparola social, c’erano molti appassionati di fotografia, attrezzati di macchina e treppiede ma purtroppo, fa male dirlo, erano anche tante le persone che raccoglievano tulipani a piene mani in fasci grandi o cassette o ne scavavano i bulbi, probabilmente per realizzare. come ho avuto modo di vedere, ordinate bordure nei giardini di campagna delle villette  intorno al Santuario.
Per un paese come Blufi,  che ha poco da offrire ai visitatori, questo paesaggio naturale che in tanti siamo venuti ad ammirare potrebbe essere una opportunità per uscire dall'anonimato, un modo per essere ricordato  come il paese che sa preservare  i suoi  tulipani selvatici; a Vescovana  ho pagato un ingresso e sono stata contenta di farlo  perché  dunque non pensare qualche cosa di simile anche per il campo di Blufi? Non c'è molto da tergiversare, se si vuole conservare un paesaggio così effimero; è d'obbligo intervenire perché la bellezza dei tulipani del campo di Blufi,  lasciata al saccheggio incontrollato, potrebbe rapidamente del tutto scomparire .

 
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