domenica 24 luglio 2016

Plumeria pudica

La delicata eleganza di una plumeria diversa dalle altre
Tempo d’estate, tempo di plumerie; un poco assuefatta, però, ai profumi incantatori ed ai chiassosi colori tropicali delle tantissime varietà americane o thailandesi di Plumeria rubra presenti sul mercato online o prodotte anche in Sicilia in diversi vivai specializzati, desidero fare un bagno di semplicità, sobrietà e moderazione descrivendo una specie di plumeria che  spicca tra le altre per la sua diversità: Plumeria pudica, e lo dice già il nome, è infatti l’antitesi dei valori ornamentali della consorella specie.
Guardiamone ad esempio il colore: declinato in mille toni e sfumature il colore rappresenta un punto di forza di grande valore ornamentale per le varietà di Plumeria rubra ammiccanti in mille foto sui gruppi social specializzati.
Bun yen; Brittney; Inca gold; Delightful; Magnus opus; Gina red; Lady Godiva; Chiang Ray Red; BrugeJJ
I fiori di Plumeria pudica, invece, sono bianchi, di un bianco puro, virginale, chiamati per questo nei luoghi d’origine “fiore di latte”; solo il cuore della corolla è lievemente sfumato di giallo a ricordare il retaggio di parentele lontane.
Il profumo: quello delle plumerie è il profumo esotico per eccellenza che si presta ad essere descritto con difficoltà per le tante note olfattive che si percepiscono non solo tra varietà diverse ma anche tra singoli individui di una stessa entità botanica.
Elenco delle fragranze di plumeria tratto da L Ross, L. Rose, J. Stowar, Frangipani, A practical guide to growing frangipani hat home; tradotto da Daniela Romano 
I fiori di Plumeria pudica, invece, sono completamente privi di odore come se, per una forma estrema di riservatezza, la specie non volesse lasciare trapelare nulla di se.
Il portamento: le piante di Plumeria rubra in inverno, non sono particolarmente decorative; completamente prive di foglie mostrano rami simili a candelotti  paffuti, buffamente rigonfi in cima.
Plumeria pudica invece nei luoghi caldi d’origine o, anche altrove ma al riparo dalle basse temperature invernali, si mantiene sempreverde con rami a portamento verticale ricoperti di foglie dalla forma inusuale; sono foglie praticamente sessili, prive di picciolo fogliare, che partendo strette alla base si allargano all’apice tanto da essere chiamate foglie “a cucchiaio” o più poeticamente “a violino".
Sito immagine
Di Plumeria pudica ne esistono varietà a fiore rosato, altre a foglia variegata e  numerosi sono gli incroci con Plumeria stenopetala e Plumeria rubra, questi, con una loro lieve fragranza. La specie vuole il pieno sole e molta luce affinché si producano i grandi mazzi apicali di fiori circondati da numerose foglie;  la fioritura è prolungata.
Plumeria pudica Pink


Plumeria pudica Khao

 
Plumeria pudica White Opal


Plumeria pudica variegata Harrow
Non ho mai visto piante di Plumeria pudica coltivate nei nostri giardini in piena terra ma ne ho visto bellissimi esemplari coltivati in vaso ed in serra fredda nel vivaio che in Sicilia le ha in assortimento. Innegabile dire che la specie nel nostro clima è molto delicata potendo andare incontro ad un insuccesso nella sua coltivazione soprattutto se trattata alla stessa stregua delle varietà di Plumeria rubra a cui si sospendono in inverno le irrigazioni; con buona probabilità per Plumeria pudica, essendo questa specie sempreverde, annaffiature parsimoniose  anche in inverno non  dovrebbero mancare,  ma per chi ama e coltiva le plumerie queste difficoltà  sono messe nel conto.
Ed allora, per una volta evitiamo gli eccessi chiassosi dell’estate scegliendo la delicata eleganza di Plumeria pudica, un modo come un altro per andare, con semplicità, contro corrente. 

 

domenica 17 luglio 2016

Soluzione Rebus botanici d'estate

 

 
 A- CACI -A (6)  SALI - GNA (7)

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A- RAUCA- RIA (9)  EX - CELSA (7)
 
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CY - DONI - A (7)  JA - PONI- CA
 
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 PISTA- CIA (8) - VERA (4)
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 LAGUNA - RIA (9)  PATER- SON- II (10)
 
 


venerdì 15 luglio 2016

Rebus botanici d'estate

Trova il nome di cinque specie arboree
 

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martedì 12 luglio 2016

Il giardino di Vera

Tra le tante definizioni di giardino che mi è capitato di leggere ed annotare ce n’è una che mi pare descriva bene il giardino che vi voglio raccontare; si tratta dall’incipit del libro di Umberto Pasti “Giardini e no”: “Un giardino è un luogo dove l’uomo coltiva alberi, cespugli, fiori ed ortaggi per suo uso e diletto. Il giardino somiglia a colui che lo ha ideato”. Ed infatti visitando il giardino di Vera che è anche un poco orto, un poco roseto ma pure frutteto e vigneto, si colgono molti aspetti del carattere di chi lo ha realizzato: razionalità, tecnica, ordine, da un canto ma, al contempo, un’impronta romantica e sognatrice dall'altro, in una miscela di competenze ed emozioni che derivano dall’essere, Vera, un agronomo che conosce ed applica le più innovative tecniche di coltivazione, sperimentate nei campi della Facoltà di Agraria presso cui lavora e che trasferisce alle produzioni agricole che realizza sul suo piccolo fazzoletto di terra;  ma anche collezionista competente di ortensie e di rose, giardiniera curiosa di provare e sperimentare arbusti da fiore comprati in giro per vivai o di ripescare vecchie specie ornamentali un tempo diffuse nei giardini siciliani padronali.
Nel giardino convivono perciò, in un felice connubio, il pragmatismo della tecnica agricola ed il sentire romantico di chi ha sognato i paesaggi inglesi sui libri della Austen; ha letto tutto della Sackville-West e immagina di poter trasformare il suo buen retiro siciliano in un cottage garden all’inglese. Con grande difficoltà e perseveranza, aggiungo io, perché il giardino di Vera è assai lontano dalle brume inglesi  trovandosi in Sicilia nel comune di Linguaglossa, paese pedemontano alle falde dell’Etna, famoso sia per le fitte pinete un tempo sfruttate economicamente per l’estrazione della resina, che per il vino Etna DOC ottenuto da vigneti autoctoni (Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio) impiantati sui terreni vulcanici. E’ un luogo di dolce campagna alla periferia del paese dove le macchie spontanee di roverella e ginestra fanno da confine agli sparsi coltivi, con l’Etna, sullo sfondo che modula una inquietante colonna sonora  fatta di ininterrotti boati e borbottii.
Vera come è cominciata la storia del tuo giardino?
“Dopo avere ricevuto in regalo dai miei genitori questo vigneto, impiantato da mio nonno, io e mio marito abbiamo dovuto lavorare sodo per recuperare le piante in abbandono e i danni provocati da incendi che avevano colpito la proprietà partendo dalla boscaglia intorno. Fedele al motto che “la campagna deve dare frutto” ho cominciato a piantare tutto quello che dalle nostre parti è uso coltivare per il consumo familiare, avendo come limite la superficie che è poco più di un ettaro e la scarsa disponibilità idrica che ci fa penare in estate nonostante la presenza di un pozzo ed una condotta idrica di servizio; abbiamo impiantato olivi, un piccolo vigneto, fichi d’india, noccioli, alberi da frutto ed un piccolo orto.
Il fondo non è servito da corrente elettrica per cui, pur avendo riattato una casetta per tenere gli attrezzi da lavoro e per riposare, godendoci i tramonti sull’Etna, appena fa buio ce ne torniamo a casa che dista solo dieci minuti di strada in macchina”. 
"Mio marito, che è in pensione viene tutti i giorni e si dedica all’orto ed al frutteto mentre io, che ogni giorno faccio la spola Linguaglossa - Catania per il mio lavoro all’Università, trascorro qui, tutto il mio tempo libero nel fine settimana".
Adotti tecniche di coltivazione particolari?“La mia prima regola di coltivazione è cercare di ridurre gli input esterni, facendo interventi mirati; i primi anni non volevo neanche sfalciare l’erba ma con le graminacee il rischio di incendio è troppo alto; non lavoriamo il terreno ma passiamo una sola volta  la falciatrice dopo che le specie spontanee sono andate a fiore lasciando però i residui al suolo con un effetto pacciamante. Al posto del prato abbiamo fatto crescere il trifoglio ed in primavera è tutto un ronzare di api che fanno incessantemente la spola”. Ed in effetti camminare tra le balze dei muretti a secco che degradano vero il boschetto di roverelle è, da Vera, un’esperienza sensoriale per il profumo che si sprigiona ad ogni passo calpestando piante spontanee di nepetella e di menta selvatica.
Mi racconti del tuo interesse per le ortensie e le rose? 
"La mia passione per le ortensie precede quella per le rose che è sopraggiunta in un secondo momento; ho cominciato a coltivare le ortensie in vaso comprando le varietà che più mi piacevano da vivai specializzati come Borgioli o Anna Peyron; d’inverno le tenevo al sole nel cortile di casa per spostarle all’ombra in estate; poi cinque anni fa, quando abbiamo cominciato a sistemare la campagna, le ho messe in piena terra cercando per loro un posto che fosse ombreggiato, ma non troppo, lungo il confine a ridosso del bosco".
"Amo le ortensie è ne ho tante varietà sia di Hydrangea macrophylla (Hanabi, Otaksa’, Izu no hana; Ayesha , Green Shadow, Etoile Violette, Jogasaki) che di Hydrangea paniculata (Annabelle) e di Hydrangea quercifolia (Snowflake). Il problema colturale delle ortensie è che vogliono molta acqua; ho previsto per loro un impianto di irrigazione a goccia ma a dirla tutta cerco di abituarle alla parsimonia".
"In inverno tolgo tutti i fiori e le accorcio un bel po’ e siccome mi dispiace buttare via i rametti, ne faccio talee che distribuisco in vari angoli della campagna".


Come sei arrivata a coltivare rose?
"Appassionata di ortensie, alle rose non avevo mai pensato anche perché io coltivavo in vaso e le rose non sono adatte a questo tipo di coltivazione. Quando cinque anni fa ho potuto disporre della campagna ho cominciato a fare i primi esperimenti partendo con due ibridi di Rosa wichuraiana, 'Albertine' ed 'Aloha' e ho continuato sino ad oggi a provare scegliendo soprattutto tra le rose botaniche ed antiche che hanno una sola fioritura primaverile ed i fiori profumati o anche tra le rose moderne, rifiorenti, ma con i fiori dal carattere antico".




"Ho distribuito rose lungo le recinzioni e sul muro della casa, vicino al pozzo, nell’aiuola ad archi , nella pianura sotto il ciliegio o nel giardino dei susini, in testa al vigneto o ai lati dell’ingresso principale provando più di una dozzina di specie (R. weichuraiana, R. bracteata, R. Noisette, R. alba, R. gallica, R moschata, Rose Bourbons, R. Portland, R. damascena, R. banksiaea, R. cinese, R. sericea pteracantha, R. rugosa, R. roxburghii ‘plena’ e molti ibridi di rose moderne per un totale di oltre ottanta varietà".

Hai qualche vivaio di riferimento?
"Ho fatto tante prove perché nel nostro clima non tutte le specie e le diverse varietà che sono dichiarate potenzialmente adatte hanno avuto una buona riuscita. Ho comprato rose da Mondorose ('Albertine', 'Aloha', 'Belle Vichyssoise', 'Costance Spry', 'Canary bird') da Rosebacche ('Aimée Vibert', 'Duchesse d’Angoulême') da Novaspina, ('Compassion', 'Irene Frain Masirfa', 'Parc de Maupassant', 'Vertigo' ) da Nino Sanremo ('Great Maiden’s Blush 'o Cuisse de Nimphe; R. banksiae 'Purezza'), dal vivaio La Campanella e tra i vivai stranieri ho acquistato da Meilland e dal catalogo di David Austin". 
Quali sono le tue rose preferite?
"Scelgo sempre rose che abbiano tonalità del bianco, del rosato o per contro, del rosso accesso mentre non ho neanche una rosa gialla. Le rose antiche sono le mie preferite perché anche se effettuano una sola fioritura questa è sempre molto abbondante e per profumo e forma del fiore trovo queste rose insuperabili.
Tra le rose che mi hanno dato maggiore soddisfazione: 'Costance spry', una rosa moderna di David Austen che non è rifiorente ma fa una fioritura eccezionale per abbondanza di fiori dal profumo non molto intenso; forma un grande arbusto, con un vigore terribile; è una rosa bella che ricaccia sempre dal basso e che sto guidando a ricoprire un archetto essendo una rosa climber i cui rami si possono piegare; è una rosa sicuramente adatta al nostro clima.

'Albéric Barbier' è un ibrido di Rosa wichuraiana che ho messo a ricoprire un muro a secco lungo il confine ad est; ha un bel fogliame lucido che si stende sul pietrame in modo lussureggiante. I fiori, che si aprono in boccioli appuntiti di colore giallo chiaro, sono doppi, un poco quartati e ricordano le gardenie, con un profumo dolce ma lieve.
'Purezza', un ibrido di Rosa banksiae che sto facendo arrampicare sul pergolato davanti al pozzo; ha mazzi di fiori stradoppi di un bianco puro, senza spine come è caratteristica delle rose banksiae; la bellezza dei fiori si fa perdonare l’assenza di profumo. 'Mme Isaac Pereire' del gruppo delle Rose Bourbons, è tra le rose più profumate che esistono ed è anche coltivata per ottenerne l'essenza; l ‘ho sistemata nella pianura vicino ad un albero di fico che le fa mezz’ombra; ha grandi fiori, pesanti di un colore che va dal cremisi chiaro brillante, al rosso lampone".
"Pierre de Ronsard',  una moderna che ha il fiore dalla forma antica di un delicato color rosa tenue".
"Di altre, invece, da cui mi aspettavo mirabilie ho avuto al momento solo delusioni come 'Mme Alfred Carriére' che è tre anni che l’ho messa a dimora ma non è cresciuta gran che o 'Mayor of Casterbridge' di Austin che viene descritta come rosa profumatissima che sviluppa in pochi mesi rami fino a tre metri di lunghezza ma che da me ha fatto una crescita ed una fioritura meschina".
Come immagini il tuo giardino tra qualche anno?
"Non vedo l’ora di vedere crescere tutte le piante che in questi anni ho messo a dimora; comincerò così a fare ordine selezionando solo le specie e le varietà che si sono meglio ambientate nel nostro clima dove l’estate tutto si ferma. Ma ho ancora tanti progetti e tanti acquisti da fare per la prossima stagione  perché ho molte ortensie e rose da provare ma anche arbusti da fiore, fruttiferi, ortive.."
 
Non mi resta che aspettare la primavera  per vedere le novità programmate da Vera  ma questo luogo, un poco campagna ed un poco giardino è così gradevole in ogni stagione che, trascorsa  l'estate, non mi farò   mancare di certo  l'occasione per un nuovo ritorno.


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sabato 2 luglio 2016

Kaki nero

Diospyros nigra, un frutto esotico color cioccolata
Arriva l’estate e con i primi giorni di vacanza mi sento sulla pelle una gran voglia di esoticare.
Sogno di nuotare in mari tropicali,  di stare a crogiolarmi al sole su spiagge di sabbia impalpabile annusando il profumo di fiori al “Laim dei caraibi”, sorseggiando drinks dal sapore tropicale dentro gusci svuotati di noci di cocco. E’ un desiderio che dura poco perché sono pigra ed è molto più comodo sognare sprofondata nella mia poltrona e con il mio amato computer sulle gambe che partire per luoghi ingrati; i mari tropicali, lo sanno tutti, sono infestati da squali;  sdraiata sulle sabbie impalpabili verrei colpita da un eritema super; gli zanzaroni giganti dei tropici non mi darebbero scampo.
In fin dei conti non vale la pena fare tutto sto viaggio solo per il piacere di mangiare frutta esotica dal sapore omologato,  se la stessa frutta la posso gustare più comodamente in Sicilia dove diversi vivai e produttori la coltivano da anni con successo: mango, papaya, litchi, annona, guava, avocado, carambola, melarosa, syzygium sono, infatti, solo alcuni dei frutti che ho avuto modo di assaggiare a due passi da casa, direttamente raccolti dalla pianta con alterne preferenze di gusto.
Non posso proprio dire, ad esempio, che valga la pena fare un lungo viaggio per assaggiare un frutto chiamato Black sapote prodotto dalla specie Diospyros nigra delle famiglia delle Ebenaceae, la stessa per intenderci del naturalizzato kaki (Diospyros kaki) o dell’esoticissimo ebano, il legno nero prodotto dalla specie Diospyros ebanum.
Il black sapote è un frutto che matura all’inizio dell’estate, un frutto a polpa nera che è tra i più inquietanti a gustarsi. La specie Diospyrus nigra che lo produce è originaria della regione dei Caraibi ma è oggi coltivata come specie da frutto e come albero ornamentale per parchi e giardini in tutte le regioni a clima tropicale e sub tropicale del mondo. E’ specie rustica e resistente che si adatta a vivere anche in regioni a clima temperato a condizione che vi sia disponibilità idrica e che le temperature non scendano troppo sotto lo zero.

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Il kaki nero è un bell’albero dal fogliame sempreverde con foglie alternate, coriacee, ellittiche ed oblunghe con apici appuntiti e bordi marcati, di colore verde intenso e brillante; la fioritura primaverile ha fiori di colore bianco, alcuni perfetti con stami e pistillo e altri portanti solo piccoli stami; sono solitari o riuniti in piccolissimi gruppi ed emanano una piacevole fragranza. 
Il frutto, di forma sferica, appiattita alle due estremità come un pomodoro, ha inizialmente colorazione esterna verde chiaro, poi verde oliva per raggiungere a fine ciclo un verde marcatamente muschiato.
La polpa invece, in fase di maturazione passa dal marrone, al marrone scuro quasi nero (da cui il nome black sapote attribuito al frutto) per arrivare ad una colorazione tanto vicina al cioccolato da farle assumere anche il nome popolare di “chocolate pudding fruit”. La polpa, ricca di vitamina C e lievemente astringente, ha consistenza budiniforme e sapore definito in letteratura, dolce. All’interno cinque sei o più semi anch’essi marrone ma non mancano esemplari completamente apireni.
Devo confessare che sebbene ben disposta ad assaggiare il gusto tropicale l’aspetto di questo frutto maturo mi ha lasciata perplessa; a dispetto del nome che gli hanno affibbiato di “frutto nutella”, infatti, il colore marroncino e la consistenza cremosa fanno pensare a ben altra cosa, un poco meno appetitosa.
Io l’ho gustato spalmato sul pane e tutto sommato non era male ma certo non tanto da giustificare un viaggio ai tropici.
Dove trovarlo
 
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