martedì 4 agosto 2015

Il giuggiolo dal poggiolo

Basta poco e ti accorgi come tutto può cambiare; prendi un aereo che ti porta verso il nord ed in poco più di un’ora ti ritrovi in un ambiente completamente diverso dal tuo modo di fare, dove ogni cosa è un’esperienza nuova da inquadrare per capire un modo differente di vivere.
Catania-Mestre è la vacanza di quest’anno, ospite da amici per una settimana; sembrerà banale ma sono tante le cose che mi son sembrate strane a cominciare, come è ovvio, dal mondo vegetale dove distese di soia e mais si rincorrono tra i capannoni industriali e dove il verde ornamentale, a prima vista un poco piatto e convenzionale, è fatto di poche specie tra le quali non possono mancare lagerstroemia, lauroceraso e conifere.
Vogliamo parlare dei mezzi di locomozione? Tutti a Mestre usano la bicicletta ed il treno; la prima per girare i dintorni di casa, per fare la spesa o andare all’orto, lungo strade a loro dedicate, serene e alberate; è un modo estremamente rilassante di procedere, niente a che vedere con il caos dei nostri centri urbani assediati da migliaia di automobili , dove le bici sono considerate intruse, mezzi atti ad intralciare la circolazione veicolare.
Le stazioni poi brulicano di persone come i centri commerciali nei giorni dei saldi, sarà perché il treno lo prendono in tanti, i pendolari per andare a lavorare e gli studenti per studiare, gli altri per raggiungere città lontane che con il treno sono tutte a portata di mano, come ho potuto constatare andando in due ore e mezza da Mestre a Milano: una cosa inconcepibile per un siciliano.
A Mestre hanno un modo dolce di parlare anche se spesso li senti sacramentare e se nella foga del discorso gli scappa un “casso!” non ti sembra, detto da loro, un vero insulto. Tengono molto al modo di vestire (ma anche da noi c’è questa mania del “comparire”) e in molti si sentono serenamente integrati con una vera marea di lavoratori immigrati. Hanno le chiavi del cassonetto dei rifiuti, mangiano ottime insalate prodotte nell’orto e per spuntino, un tramezzino; bevono a tavola, anche d’estate, un litro di prosecco.
Detto questo, affacciandomi un giorno dal poggiolo (chiamano così quel luogo ingrato, caldo ed assolato che noi chiamiamo balcone) vedo relegato in un angolo di un giardino li vicino, un piccolo albero dal tronco contorto che porta frutti di forma cilindrica simili ad olive; è un giuggiolo, albero antico mai visto dalle mie parti e che scopro, invece, essere specie a coltivazione familiare molto frequente nel padovano e nel vicentino ma anche in Toscana; nel paese di Arquà Petrarca ci fanno addirittura una sagra le prime due domeniche di ottobre.
 La storia di questa pianta mi comincia ad intrigare e d’altra parte, si va fuori in vacanza anche per imparare, ed ecco le notizie che, in breve, ho potuto reperire:
Ziziphus jujuba, specie nota anche con il sinonimo di Ziziphus vulgaris, è un alberello spinoso di lento accrescimento, della famiglia delle Rhamnaceae, con foglie caduche, alterne e a margine seghettato. La specie è originaria della Cina del nord dove è frequentemente coltivata come pianta da frutto. Dall’Oriente fu introdotta in Siria dai romani , diffondendosi poi in tutto il Bacino del Mediterraneo in luoghi temperati dove è in grado di resistere a temperature di pochi gradi sotto lo zero anche se per tempi non troppo prolungati . Fiorisce in modo poco appariscente in giugno- luglio producendo poi in autunno drupe di forma ovale simili a grosse olive ma di colore rosso castano.
La polpa della giuggiola è di colore biancastro, dolce-acidula, carnosa ed ha un elevato contenuto in vitamina C; all’interno è presente un grosso nocciolo. I frutti hanno un sapore agretto, stuzzicante, appena raccolti e diventano più dolci e glutinosi quando si aggrinzano; le giuggiole si possono infatti mangiare fresche, candite o ammezzite, queste ultime, molto gustose sono dette ‘datteri cinesi’ ed hanno la stessa considerazione merceologica di datteri, fichi secchi ed uva passa.
La specie si moltiplica per seme o ancora meglio per polloni che crescono numerosi alla base della pianta e si possono facilmente estirpare.
Nella medicina popolare lo sciroppo di giuggiole è molto considerato come emolliente e sedativo degli stati infiammatori delle vie respiratorie. I contadini usavano conservare in casa una buona scorta di giuggiole infilzate a coroncina per l’inverno e quando una tosse stizzosa o un’infreddatura colpiva qualcuno in famiglia se ne faceva un salutare decotto. Ed il famoso brodo di giuggiole?
E’ un vino da meditazione, un succo liquoroso molto dolce che veniva servito a fine pasto, accompagnato da biscotti secchi o torte, tanto dolce e buono da essere diventato fin dal Seicento espressione di felicità, contentezza, goduria. Forti questi Veneti a tramandarne la tradizione.

 
 
 

2 commenti:

  1. Be', che dire Marcella, mi apri un mondo sul "mio" mondo! Mi hai ricordato la mia malinconia dell'aver accettato, anni fa, che mio padre regalasse ad altri la nostra "zìnzola", quella pianta orrendamente spinosa e dai frutti schifosetti che adesso rimpiango... letto il tuo post, mi toccherà trovarmene subito un nuovo esemplare! P.s.: davvero non dite poggiolo?

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    1. Ciao Marta, niente è più dolce del ricordo del passato, magari hanno veramente un gusto schifosetto...; sconoscevo la parola poggiolo.......

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