mercoledì 31 agosto 2022

Aleurites moluccanus, l'albero delle noci-candela

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Ma con tutto il ben di Dio di alberi ornamentali che nel clima siciliano, oramai diventato simil tropicale, possiamo coltivare, non capisco perché il massimo dell’esotico che riusciamo ad immaginare per i nostri giardini sono ceiba, grevillea o brachychiton.

Ed invece bisogna osare, essere curiosi e sperimentare perché quello che oggi per noi è usuale non lo era, ad esempio, nel 1874 quando dal Sud America fu introdotta in Italia la Ceiba speciosa o nel 1910  il Brachychiton discolor. Se si vuole trovare qualcosa di nuovo ed originale, l’ho detto tante volte, bisogna andare al vivaio di Natale Torre, a Milazzo dove le piante non si vedono in catalogo ma nel loro habitus naturale, coltivate da anni nel suo giardino.

Un albero, ad esempio, che nel futuro a venire potrebbe diventare specie ornamentale abituale per nostri giardini è Aleurites moluccanus, un’ entità botanica dalle caratteristiche davvero particolari. La specie, descritta per la prima volta con il nome di Jatropha moluccana da Linneo nel suo Species plantarum (1753), ed attribuita alla famiglia delle Euphorbiaceae, è un bell’albero sempreverde a crescita rapida, alto intorno ai 20 metri, dalla chioma frondosa ed arrotondata; la specie è originaria del sud-est asiatico ma si è diffusa nelle isole del Pacifico già migliaia di anni fa ad opera degli aborigeni. In natura cresce nelle foreste pluviali tropicali dal livello del mare sino a 800 metri di quota ed è oggi diffusamente coltivata, anche a scopo ornamentale, nelle aree subtropicali; alle isole Hawaii è l’albero nazionale conosciuto con il nome comune di kukui.

Di un albero da giardino, in genere, se ne apprezza il fogliame e quello dell’aleurites è molto particolare; la pianta infatti ha un notevole dimorfismo nella produzione delle foglie, lungamente picciolate, che da giovani, sono di colore verde chiaro, semplici e di forma ovale ma crescendo possono assumere una forma a cuore o presentare tre, cinque, o sette lobi con dimensioni delle foglie che arrivano fino a venti centimetri di lunghezza.

Anche il colore cambia perché le foglie giovani che vengono prodotte all’esterno della chioma, nelle parti esposte al sole, si ricoprono di peli stellati di colore crema o ruggine per proteggersi dalla forte intensità luminosa, assumendo un aspetto argentato (il termine Aleurites vuol dire infatti, dal greco antico: farina, come se le foglie ne fossero spolverate). 
I fiori, piccoli, di color crema sia maschili che femminili sono portati in infiorescenze coniche, dal profumo mielato, lunghe circa 15 centimetri. 
E’ il frutto, però, la parte più caratteristica dell’albero; si tratta di una grossa drupa grande quanto una palla da biliardo, formata da due lobi posti all’interno di un guscio screziato; ogni lobo contiene un nocciolo morbido ed oleoso.
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Da questi semi, detti comunemente “noci” si ricava un olio infiammabile (i semi ne contengono percentuali superiori al 85%) da cui il nome attribuito alla pianta di “noce -candela” o candlenut.
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I semi, nella tradizione, venivano, infatti, direttamene bruciati per fornire luce, inserendoli in un bastoncino appuntito a formare una torcia, oppure, l’olio estratto per spremitura, non particolarmente buono per uso alimentare, veniva usato per le lampade o come combustibile, lubrificante, componente di vernici e saponi.
I frutti crudi sono lievemente tossici ma possono essere consumati cotti o tostati e l’olio trova impiego, in farmacopea, come emolliente e lenitivo della pelle. Tra gli usi più particolari di queste noci da parte delle antiche popolazioni polinesiane, vi era un impiego attinente l’arte dei tatuaggi, molto diffusi in quelle isole per indicare, nelle persone che se ne fregiavano, coraggio (pratica molto dolorosa), status sociale, appartenenza ad un’isola o a un gruppo familiare.
Per ottenere l’inchiostro dei tatuaggi si bruciavano noci di aleurites seccate al sole e sulla fiamma si teneva una conchiglia o una pietra piatta per raccogliere la sottile fuliggine che si formava che veniva poi miscelata con acqua di cocco. I primi esploratori inglesi verso la fine del 1700 osservando la diffusione dei tatuaggi sulla popolazione locale ne adottarono l’uso che divenne presto una moda tra i marinai inglesi.
Aleurites moluccanus  è dunque un albero che ha  tutte le carte in regola per acclimatarsi lungo le coste della nostra isola e prendendo esempio dall’arte dei tattoo la cui diffusione è oramai  diventata capillare, abbiamo a ben sperare che anche l'aleurites,  prima o poi, riesca a dilagare.
Bibliografia:  J. Drori, Il giro del mondo in 80 piante, L’Ippocampo, 2021, Milano.

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