Cactacee.
La pianta adulta ha, di norma, portamento cespuglioso e, in alcuni esemplari, arborescente ed è formata da un insieme di articolazioni carnose dette botanicamente cladodi che costituiscono le cosiddette pale del fico d'india. Le pale sono i rami della pianta divenuti verdi per svolgere attività fotosintetica, capaci di accumulare, nel tessuto fibroso, notevoli riserve idriche. Nel passato le pale costituivano un diffuso alimento per il bestiame e spesso, in estate, venivano disposte intorno al tronco di specie arboree di pregio come riserva idrica d'emergenza. Le vere foglie della pianta sono di forma uncinata, poco visibili e disposte alla base delle gemme che ricoprono la superficie delle pale. Dopo circa un mese dalla loro comparsa diventano gialle e cadono, lasciando sporgere gli aculei posti a difesa delle gemme.
I fiori sono ermafroditi e vengono portati in prevalenza sulle pale di un anno. Sono molto vistosi e hanno petali di colore giallo zolfo, cangiante al rosso prima della sfioritura. Il frutto è una bacca zuccherina a polpa succosa, ricca di vitamine e piena di piccoli e durissimi semi. La buccia è cosparsa, come le pale, di piccoli noduli coronati da spine ed ha colore variabile dal rosso al giallo paglierino. E' proprio grazie alla bontà dei frutti e alla facilità di conseguire buone produzioni con poche cure colturali che questa specie si è diffusa come coltura agraria in molte aree marginali del Mediterraneo.
In Sicilia, per esempio, i frutti del fico d'india, freschi o più spesso trasformati in mostarda o in sciroppo, hanno costituito per intere generazioni di contadini un alimento abituale tanto che, oltre un secolo fa, si parlava del fico d'india come del pane dei poveri; dai frutti, mediante fermentazione alcolica del Saccaromices opuntiae, si otteneva la produzione di
alcool e dalla pressatura dei semi si ricavava un olio commestibile. Sulle pale, poi, si praticava l'allevamento di un insetto, il Dactylopius coccus dal quale si estraeva l'acido carminico, detto commercialmente "rosso di cocciniglia", utilizzato come colorante. Se, in passato, venivano raccolti prevalentemente i frutti prodotti su piante spontanee, oggi la coltivazione del fico d'india viene svolta in impianti specializzati ubicati in regioni vocate come Sicilia, Calabria, Sardegna e Puglia. Dal mercato sono praticamente scomparsi i frutti estivi che vengono consumati prevalentemente a livello locale; la produzione di miglior valore commerciale è quella autunnale ottenuta con una particolare tecnica di potatura verde detta " scozzolatura ". Il fico d'india, infatti, se privato, in giugno, di tutti i fiori e delle giovani pale emesse all'inizio della primavera ha la prerogativa di rifiorire a distanza di circa un mese dall'intervento. La nuova fioritura porta a maturazione frutti tardivi ( bastardoni) che presentano caratteri organolettici di pregio. Infatti, mentre i frutti che derivano dalla fioritura ordinaria maturano ad agosto e, avendo compiuto il ciclo produttivo nel periodo di maggiore siccità sono generalmente piccoli, a polpa scarsa e piena di semi, i frutti scozzolati maturano normalmente nel periodo delle piogge, dalla fine di settembre sino a Natale, e sono perciò più ricchi di polpa, più voluminosi, coloriti e profumati. Tra le varietà siciliane più diffuse: la Surfarina, a polpa croccante di colore giallo zolfo, la Sanguigna a frutto rosso e la Bianca. Esistono anche la varietà inermis, senza spine, ed una varietà senza semi, ma ambedue hanno riscosso scarso successo per il frutto di qualità non eccelse.
Mi sono persa qualcosa...non ho mai assaggiato il frutto del fico d'India...Ciao Marcella!
RispondiEliminaProvare per credere! E mi raccomando, manda giù tutto il frutto, polpa e semi compresi; non provarti nemmeno a sputare i semi del fico d'india che per noi siciliani è disdicevole.
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