lunedì 30 aprile 2012

Cicuta, stramonio ed altri veleni

Veleno,
se mi baci ti do il mio veleno
o una rosa scarlatta sul seno
e dopo t’amerò..
Così cantava nel 1947 Tina De Mola, moglie di Renato Rascel, interpretando il ruolo di Lucrezia Borgia nello spettacolo di rivista “Il cielo è tornato sereno”.

***
Veleno,
se mi "mangi" ti do il mio veleno..
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Così mi viene da cantare pensando a cicuta, stramonio, ricino, aconito, alcune tra le piante più velenose del panorama vegetale. Semi, cortecce, foglie, radici, tutti gli organi di una pianta, diversi in base alla specie, possono essere fonte di intossicazione mortale se ingeriti accidentalmente al posto di buone erbette di campagna, per la presenza di particolari composti chimici azotati, i potenti alcaloidi che, prodotti dal metabolismo vegetale, hanno effetti farmacologici spesso letali sull’uomo e sugli animali. Composti dai nomi gentili come caffeina, morfina, nicotina, china sono capaci in piccole dosi di manifestare sul metabolismo animale effetti cardiotonici, anestetici, antidolorifici; altri, come coniina, aconitina, stricnina, amigdalina, daturina sono in grado di stroncare un uomo con l’ingestione anche di modiche quantità. La funzione degli alcaloidi nel metabolismo delle piante è controversa ma molti autori propendono per la funzione difensiva volta a dissuadere il morso degli erbivori. "Tu mi mangi ed io ti uccido e che gli altri imparino dalla tua esperienza a non mangiarmi", ecco il motivo di tanta cattiveria. Gli alcaloidi, considerate sostanze di rifiuto del metabolismo vegetale, hanno in genere sapore amaro (segnale di avvertimento) e come tali le piante che li contengono non sono per niente appetite dal bestiame. L’uomo ha imparato a riconoscerne la pericolosità sin dall’antichità utilizzando molte specie a scopo medicinale e diffidando di altre il cui consumo accidentale può essere fortemente pericoloso. Alcune piante velenose, infatti, possono essere confuse con specie eduli, così come avviene con i funghi dove è facile scambiare, in fase giovanile Amanita phalloides (mortale) con Amanita caesarea (ovulo buono). Tra le verdure l’esempio più classico è quello della cicuta che mano inesperta potrebbe raccogliere al posto di prezzemolo o anice o, ancora, le cronache riportano casi di forte intossicazione al limite della morte per il consumo dei velenosissimi semi di stramonio utilizzati per inesperienza ed ignoranza come surrogato di altri allucinogeni.
Due parole, allora, su alcune piante spontanee velenose che non è assolutamente conveniente smangiucchiare.
Cicuta

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Con il nome comune di cicuta si indicano botanicamente almeno tre specie di piante erbacee a medio sviluppo diffuse nei luoghi ombrosi ed umidi posti ai margini di ambienti ruderali o di incolti. La famiglia di appartenenza è quella delle Ombrellifere oggi Apiaceae avendo, pertanto la specie, habitus e fioritura ad ombrella molto simile a quella di altre ombrellifere eduli come prezzemolo, carota, sedano. Delle tre specie: Conium maculatum, Cicuta virosa (cicuta acquatica) e Aethusa cynapium ( falso prezzemolo) quella più diffusa è Conium maculatum o cicuta maggiore dalle grandi foglie composte formate da foglioline dentate e fiori riuniti ad ombrella di colore bianco. Tutti gli organi vegetali, ma in particolare i semi verdi, contengono elevate quantità dell’alcaloide velenosissimo coneina in miscela con altri alcaloidi. L’azione sul metabolismo animale è neurotissica e, come racconta Platone descrivendo la morte di Socrate, costretto a bere cicuta per rispettare la sentenza di condanna a morte inflittagli nel 399 a. C., questa avviene con una progressiva paralisi degli arti che si conclude con arresto cardiaco. La morte per avvelenamento da cicuta può essere anche indiretto mangiando animali, ad esempio uccelli, che se ne siano cibati (gli uccelli sono immuni al consumo di germogli teneri di cicuta).

Stramonio
 
Datura  wrightii
Datura stramonium è una delle specie più velenose della nostra flora; pianta erbacea annua della famiglia delle Solanaceae, ha grandi fiori campanulati bianchi simili a quelli che caratterizzano alcuni arbusti ornamentali del genere Brugmansia (ex Datura) molto comuni e di grande effetto nei giardini mediterranei. Le foglie picciolate e grossolanamente dentate ai margini sono disposte in ordine alterno; fusti glabri.
Capsula di Datura wrightii 
I frutti sono capsule spinose deiscenti che si aprono spontaneamente per liberare semi neri di estrema velenosità. Datura stramonium ha  frutti su peduncoli eretti, globosi ma un pò allungati, con numerosi aculei a base conica larga mentre Datura wrightii Reg,altra specie diffusa, si riconosce per i fusti con fitta pubescenza “vellutata”; foglie con margine più o meno intero; frutti su peduncoli ricurvi, sferici, con numerosissimi aculei di dimensioni uniformi. E’ frequente trovare  le dature  nelle aree incolte, anche cittadine, dove fioriscono in estate.  La datura è’ popolarmente chiamata erbe delle streghe perché la miscela di alcaloidi presenti in tutti i tessuti della pianta provoca effetti allucinogeni, visioni ed incubi. Anche se potrebbe sembrare un’assurdità sono stati registrati in Italia casi gravi di intossicazioni acute dovute al consumo di stramonio.

Aconito
sito reperimento
Aconitum napellus è un’erbacea rizomatosa appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae che cresce spontanea in montagna nei luoghi umidi ed ombrosi e produce fiori di colore viola azzurro tanto belli quanto velenosi; tutta la pianta, infatti, contiene numerosi alcaloidi che contribuiscono a determinare uno degli effetti venefici più potenti che si conoscano nel mondo vegetale, tanto da risultare mortale non solo il consumo di parti di pianta ma il semplice contatto; l ‘aconitina contenuta nei tuberi della pianta viene infatti, assorbita dalla pelle anche in assenza di ferite. Nell’antichità di aconito si spalmavano le spade, le lance e le frecce per rendere mortali le ferite inferte al nemico.
Per la bellezza dei suoi fiori  ho visto commercializzati i tuberi  di Aconitum come pianta erbacea da giardino; io, però, per prudenza, consiglierei di  mettere i guanti per toccare questa graziosa pianta perchè: "fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio".

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