sabato 28 dicembre 2013

Lo zucchero non guasta bevanda

Alle origini dello zucchero
 
A guardare questi pezzi di canna che ho tra le mani, acquistati alla Fiera del Bio da un produttore di fruttiferi tropicali, non mi posso assolutamente capacitare delle enormi conseguenze  economiche, alimentari, di costume ed anche ambientali che questa canna, dall’aspetto insignificante, ha potuto determinare nella vita degli uomini.
Parlo della canna da zucchero o Saccharum officinarum,  specie importata dagli arabi, dalle lontane Indie in Sicilia, durante la loro dominazione, che ha segnato,  in modo ineluttabile, il destino di obesità del mondo occidentale e che è responsabile dei chili in più accumulati per Natale.
Saccharum officinarum è botanicamente una graminacea di grande taglia con culmi che possono raggiungere i 3-4 metri d’altezza. Ha radici rizomatose da cui si diparte un fusto sul quale si inseriscono foglie guainate. I culmi, divisi in nodi ed internodi, hanno forma ovale e contengono un tessuto parenchimatico spugnoso impegnato di una linfa zuccherina; in corrispondenza dei nodi sono localizzate le gemme dalle quali prendono origine i culmi primari da quali, a loro volta, si formeranno culmi secondari. Le foglie sono alterne e sono composte da un lembo e da una guaina; le infiorescenze sono pannocchie ramificate.
La Canna da zucchero è stata importata dalle Indie sulle coste orientali del Mediterraneo dagli arabi che ne conoscevano e diffusero, soprattutto in Sicilia, la tecnica di estrazione. A quei tempi lo zucchero di canna era considerato un vero esotismo e le piccole quantità di cristalli ottenute attraverso spremitura dei culmi venivano vendute nelle farmacie, utilizzate per edulcorare il gusto terribile delle medicine dell’epoca. Allora il prodotto era chiamato “cannamele” perché era dolce come il miele ed estratto da una canna, una rarità di origine vegetale la cui estrazione era molto costosa rispetto all’ economico miele di api che si trovava facilmente nei boschi. Dal 1300 e per circa duecento anni in Sicilia la coltivazione della canna da zucchero diventa un’importante coltura da reddito grazie alle forti richieste dei mercanti genovesi e veneziani che ne commercializzavano lo zucchero per la produzione del marzapane.
La coltivazione della canna si diffonde intorno a Palermo, nel trapanese e sulla costa ionica etnea in aree prossime al mare dove il clima è mite, con ampia disponibilità d’acqua, dove ci sia abbondanza di concime animale e di manodopera a basso costo. Praticamente le stesse condizioni climatiche dove in seguito si insedieranno gli agrumi. La lavorazione della canna da zucchero richiedeva inoltre la realizzazione, in prossimità delle aree di produzione, di veri e propri stabilimenti di produzione chiamati trappeti di cannamele, un toponimo molto diffuso ancora oggi in Sicilia a dimostrazione di quanto fosse diffusa sul territorio isolano questa remunerativa attività economica.
Le canne coltivate nel “cannameleto o cannamelito” giunte ad un’altezza di circa un metro e mezzo venivano tagliate e inviate subito alla lavorazione perché facilmente deperibili. Il prodotto diviso in più pezzi era torchiato per farne uscire il succo che versato in capienti calderoni posti sopra fornelli, veniva cotto a lungo, rimescolato con schiumarole perché non si rapprendesse, eliminando i grumi che affioravano in superficie.
Una volta reso sciropposo dalla prolungata cottura, il liquido veniva versato in apposite forme d'argilla che consentivano la percolazione della melassa e delle relative impurità con conseguente cristallizzazione dello zucchero. C’era bisogno di molto legname per alimentare i fuochi a ciclo continuo e questo ebbe come diretta conseguenza la deforestazione di ampie porzioni di territorio isolano mai più rimboschito. La produzione dello zucchero in Sicilia fu un’attività remunerativa sino alla scoperta dell’America quando gli spagnoli trovarono molto economico avviare produzioni di canna da zucchero nel nuovo mondo, in particolare in Brasile, dove le condizioni climatiche erano molto più favorevoli. La Canna da zucchero sparisce dal panorama vegetale dell’isola per farvi ritorno in tempi recenti, come curiosità botanica venduta alle fiere. 
Con questo pezzo di canna in mano che fare per evocare i fasti del passato? Innanzi tutto è d’obbligo gustarne al naturale il dolce sapore dopo avere messo a nudo il midollo spugnoso; è un’ esperienza gradevole che riporta a piaceri dell’infanzia, data la necessità di dovere ciucciare il tessuto vegetale per estrarne il succo.
Poi, seguendo le istruzioni del produttore che me l’ha venduto, taglio la canna sotto l’internodo e la metto in acqua dentro un bicchiere.
Si formeranno radici rizomatose e da una gemma presente sul nodo si formerà un germoglio; ad avvenuta radicazione basterà interrare la talea in vaso o in piena terra per ottenere in una sola stagione un bel culmo ingrossato. 
Esteticamente non è gran che ma provo una certa soddisfazione nel possedere un pezzo di storia agricola siciliana sul balcone di casa mia.

Fonti: http://www.editorialeagora.it/rw/articoli/18.pdf ; A. G. Haudricourt, L. Hedin, L'uomo e le piante coltivate, Flaccovio Editore, 1993 Palermo
 
 

venerdì 27 dicembre 2013

Soluzione Cruciverba "Arbor day"


1: ho frutti poveri, raccolti in autunno che vanno mangiati ammezziti;
2: sono il cibo divino dei maya ;
3: vengo dal Sol Levante e fiorisco in autunno ma è solo in primavera che potrai gustare i miei frutti gustosi;
4: il nome latino della quercia;
5: con le mie foglie i neo dottori, in posa, si cingono il capo;
6: sono un tipo volubile alcune foglie le porto spinose altre mi piaccion lisce;
7: basta cambiar l’accento e tutti mi vogliono sputare;
8: in confidenza il mio frutto puzza;
9:scorro tra le dita di chi recita le preci;
10: la colomba che portava l’annuncio che il diluvio era finito mi teneva stretto stretto tra le zampe;
11: Sambucus racemosa per gli inglesi;
12: arillo è il nome curioso del mio frutto;
13: io sono quello nero usato come legna da ardere;
14: cultivar precoce di arancio del gruppo dei Navel;



PS: nello schema iniziale in posizione 6 c'era una casellina mancante! Scusate

mercoledì 25 dicembre 2013

Tanti auguri ai miei followers

Se prima eravamo in sette..
ed ancora..
savino la femina,  michele torrisi , Marja Elsenaar,Vincenzo Lipoli ,Francesco Paolo,Giampietro Petiet, Stefania Viti, mary66, Alfio_Barbera, Fabrizio Castelli, Anila, sabino luisi, Franca, Isidoro Trovato, maria melandri, Calogero Campochiaro.
 
Sono passati tre anni da che scribacchio di piante  e pubblico foto  a tema vegetale e con il passare del tempo la mia voglia di continuare a scrivere è andata progredendo in modo inversamente proporzionale al crescere dei miei followers. Se il primo anno erano in sette, per loro ho scritto 116 post; l’anno successivo erano in 20 ed il numero dei post era sceso a 96. Quest’anno sono in 47 e la mia voglia di scrivere per loro ha prodotto 84 post. E’ sempre più arduo trovare argomenti interessanti per un pubblico amico al quale desidero dedicare sempre più contenuti e meno parole in fila. Sperando di riuscire ancora ad interessarvi ma con la promessa che non lo farò ad oltranza, vi ringrazio tutti  salutando anche i tanti amici che lasciando commenti ai  post mi hanno fatto sentire meno sola ed in particolare:
Santi Triscari alias Il potatore,  Simonetta da abautgarden, Antonino, Magda, Stefano, Lidia, pontos,  Francesca d’Amico, Audrie,  CarloFelix, Cosimo,  Marcello da Agronomo fumosa, Archeo, maurizio corrado, ZielonaMila, Francesco Borgese, Agoraverdello, Jan Mariscalco, flòflò, delia, dodi, joe bass, Daniela Bazzani, Roberta Melfi, Marta, ortensia, Algodào Tao doce, box in legno, Titti Diviccaro, Irene, Manuela, nunzio, Francesco, Quattro TonidiVerde
 
A voi tutti un augurio di cose belle ed un grazie sentito


 

domenica 22 dicembre 2013

Magnolia grandiflora: soluzione quiz botanico dicembre 013

Il mio fiore è considerato primitivo ma non me ne curo perché appartengo ad una famiglia di antico lignaggio 
Magnolia grandiflora è una specie arborea dalla larga chioma di forma conico piramidale formata da grandi foglie sempreverdi e con un fusto robusto che raggiunge i 15-25 metri d’altezza. La specie, originaria dell’America settentrionale, fu introdotta in Europa nel 1737 diffondendosi poi ampiamente come albero ornamentale in parchi e giardini per la notevole bellezza dei fiori e del fogliame, soprattutto nelle regioni settentrionali. Il nome del genere fu attribuito da Linneo che volle così onorare Pierre Magnol (1638-1715), grande botanico francese, direttore dell'Orto Botanico di Montpellier.
Albero di prima grandezza, Magnolia grandiflora, ha foglie molto caratteristiche che raggiungono i 25 cm di lunghezza; sono semplici, alterne, ovali, coriacee, solcate da una nervatura centrale molto marcata; presentano un colore verde intenso e lucente nella pagina superiore, sono pubescenti e di colore bruno-rugginoso in quella inferiore. Ad esse somigliano molto le foglie del Ficus macrophylla che in una prima attribuzione, effettuata a Palermo dal Borzì, fu denominato appunto Ficus magnolioides. La pianta produce, in estate nella parte terminale dei rami, grandi fiori profumati a forma di calice, ermafroditi, di colore bianco crema, composti da petali carnosi. 
Da un punto di vista sistematico il fiore della magnolia è considerato dai botanici un fiore “primitivo” essendo grande, vistoso, a simmetria raggiata, con stami numerosi disposti a spirale; la famiglia delle Magnoliaceae, infatti, è una delle prime famiglie differenziatesi tra le Angiosperme mantenendo ancora alcuni caratteri che sono propri, come alcune parti del sistema vascolare,  delle conifere.
Di molte magnoliacee si è conservata traccia come reperti fossili, risalenti ai tempi più remoti della preistoria, componenti della flora presente sulla terra circa 65 milioni di anni fa in ambienti tipicamente caldo-umidi. I cambiamenti climatici verificatisi nel quaternario ne hanno determinato l’estinzione in forma spontanea ma molte specie si sono tramandate, coltivate dall’uomo, come specie d’ornamento di parchi e giardini.

La mia progenie sta appesa ad un filo e penzola dal cocceto
 
Il frutto della magnolia è un’infruttescenza conica a forma di pigna chiamata in botanica cocceto; essa è formata da un aggregato di follicoli deiscenti cioè piccoli frutti (cocchi) che a maturità si separano in due metà e lasciano penzolare un seme arancione-rossastro attaccato ad un filo sottile (funicolo).

La bandiera dello stato del “grande fiume” mi porta in campo dal glorioso 1861
Il Mississippi è uno stato federato degli Stati Uniti d’America attraversato dal fiume omonimo il cui nome deriva dalla parola indiana nativa misi-ziibi che vuol dire “grande fiume”. Lo stato è ricoperto da foreste ed ha per emblema la magnolia che fu inserita nella bandiera, adottata dallo stato, quando il Mississippi si separò dall'Unione nel 1861. Come simbolo dell'indipendenza fu adottata una bandiera nota col nome di Magnolia Flag, mantenuta sino al 1894, che prevedeva un albero di magnolia in campo al centro della bandiera.
Hai visto il film dove ..”le rane piovono dal cielo ?”
Magnolia è un film drammatico americano del 1999, scritto e diretto da Paul Thomas Anderson. La pellicola è composta da storie separate ma connesse che si intrecciano durante un giorno nella  San Fernando Valley, a Los Angeles, California. Verso la fine del film, si ha un evento singolare: migliaia di rane cominciano a piovere giù dal cielo, un evento che suscita terrore in alcuni e serenità in altri.

Fatta dai ceroplasti vivo alla Specola e data l’età ho bisogno d’aiuto
A Firenze, presso il Museo di Storia Naturale “La Specola”, il più antico museo scientifico d’Europa, è conservata, presso la sezione Botanica, la Collezione Lorenese di cere Botaniche che raggruppa riproduzioni a grandezza naturale di 184 specie di piante in vaso e frutti,  illustranti l’anatomia, la patologia e la fisiologia dei vegetali.
Le cere, riprodotte nei più piccoli dettagli e realizzate tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo presso l’officina di ceroplastica del Museo da artisti ceroplasti come Susini, Calenzuoli, Calamai e Tortori sono uniche al mondo e hanno un grande valore artistico, storico e scientifico. I diversi soggetti erano copiati dal vero, con l’obiettivo di raggiungere la massima veridicità scientifica e riguardano soprattutto specie esotiche.

Magnolia grandiflora
La Collezione Lorenese delle piante in cera ha ora bisogno di un intervento di restauro per riportare all’antico splendore ogni singolo reperto.  Il restauro è stato affidato all’esperienza dei restauratori del prestigioso Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

giovedì 19 dicembre 2013

Quiz botanico dicembre 013

Cinque indizi per una specie
 
1
Il mio fiore è considerato primitivo ma non me ne curo perché appartengo ad una famiglia di antico lignaggio
2

La mia progenie sta appesa ad un filo e penzola dal cocceto
3

Mi porta in campo, dal glorioso 1861, la bandiera dello stato del grande fiume 
4

Hai visto il film dove ”le rane piovono dal cielo ?”
5

Fatta dai ceroplasti vivo alla Specola e data l’età ho bisogno d’aiuto

Soluzione

domenica 15 dicembre 2013

Verde presepe

Mi piace fare il presepe; lo considero un modo per rinnovare un gradevole ricordo della mia infanzia quando l’assemblatore ufficiale del presepe di casa era mio fratello che con tutta l’autorità conferitagli dall’avere sette anni in più dirigeva le operazioni di assemblaggio con un piglio da “eletto”. Da quando non sono più sotto la sua tutela costruisco il presepe in modo autonomo applicando tuttavia, senza deviare, i dettami fraterni: cielo stellato con dietro lucine a simular le stelle; sfondo ricco di catene montuose fatte di carta marrone che danno profondità all’insieme; in primo piano la grotta e gli elementi di pregio: mulino a ruota; pozzo con l’acqua a riciclo; laghetto con paperetta magnetica che gira; i pastori piccoli in fondo quelli più grandi davanti; Gesù bambino nascosto alla vista fino al momento della nascita, applicando particolare cura ed attenzione ai particolari (ciottoli, erba, animali da cortile, casette). Ma una licenza poetica rispetto al modello fraterno me la concedo: do più risalto alle piante cercando di ricreare un ambiente vegetale plausibile rispetto al contesto originale. Ma per quanto si voglia essere rigorosi nella scelta delle piante da posizionare nel presepe quelle che si possono trovare nei negozi specializzati sono sempre e solo le seguenti:
abete spruzzato di neve con base in legno: penso che il genere Abies non sia particolarmente di casa in Palestina, quindi l’abete è relegato nel mio presepe in un posto lontano in cima alla montagna dove quasi non si vede; 
 
cespo di agave in stoffa o ceramica che si accompagna, in genere, a grandi macchie di ficodindia. Per quanto scenografiche, Agave ed Opuntia ficus indica sono specie americane e quindi è molto difficile che facessero da sfondo alla natività.
Phoenix dactylifera, la palma da datteri del deserto; è forse l’unica specie adeguata al contesto tra quelle reperibili; ce n’è di plastica e di stoffa e dunque,  nel mio presepe, le palme hanno il posto d'onore ma per non fare torto alla mia sicilianità anche agavi e fichi d’india non mancano.
Ma il presepe “verde”più bello che ho visto quest’anno è un presepe dall'aria naif realizzato da un’anziana signora che vive ad Adrano, in una zona boscata a castagni e lecci lungo la strada che porta in quota sull’Etna.
La signora già in ottobre stava lavorando ad un presepe realizzato dentro una vecchia radice di castagno trovata durante la cerca nel bosco; un piccolo mondo di animaletti, piccoli personaggi, gnomi e nanetti, distribuiti tra le pieghe del legno, fa da cornice alla Sacra Famiglia; ed intorno tanto verde: muschio, pigne d’abete e di pino intagliate a forma di rosa, bacche e fagiole, frutti di betulla e piumetti di code di volpe insieme ai fiori secchi della ferula e perine dell’Etna. Ogni centimetro della composizione trabocca di vita vegetale e di amore per il bosco un vero esempio di come vivere "in verde" anche il presepe.

venerdì 13 dicembre 2013

Plectranthus amboinicus, origano cubano

L'esperto risponde
Domanda
Ho acquistato al mercato bio da un venditore di frutta esotica una pianta in vaso caratterizzata dal possedere lunghi tralci erbacei, legati ad una canna, portanti  grandi foglie carnose che strofinate sprigionano un inconfondibile e persistente aroma di origano. Il venditore da cui l’ho comprata non ne conosceva il nome avendo come unica informazione il fatto di essere arrivata dal Sud America dove è conosciuta come “pianta origano” e che, per sua esperienza, si riproduce assai facilmente per talea di cima erbacea che, una volta piantata in vaso o in giardino,  radica in modo rapido. Saprebbe dirmi di che pianta si tratta?
Risposta:
Plectranthus amboinicus o origano cubano
L’indicazione che mi ha messo sulla giusta traccia per l'identificazione della specie è stata la presenza di grandi foglie carnose, come una specie succulenta, ma molto aromatiche e di  facile radicazione; per le grandi foglie in un primo momento le ricerche si erano indirizzate verso Salvia sclarea ma le foglie di questa specie sono disposte a rosetta mentre quelle descritte sono portate da tralci erbacei; la provenienza poi dal Sud America e l’aroma di origano sono indizi che hanno fatto convergere verso la soluzione; Plectranthus amboinicus o origano cubano è il nome della specie; ecco di seguito alcune indicazioni.


Plectranthus amboinicus è una lamiacea come molte delle più importanti specie aromatiche coltivate in tutto il mondo, spesso indicata con la vecchia denominazione botanica di Coleus amboinicus. E’ specie africana che, per la grande facilità di propagazione si è diffusa e naturalizzata in tutte le zone a clima tropicale, in particolare in India e nelle regioni caraibiche, dove viene coltivata sia in giardino che in vaso per la forte aromaticità delle sue grandi foglie che ricordano il profumo dell’origano ma anche del timo e della salvia;  ecco perché la specie è conosciuta con il nome di “cuban-origano” ma anche di french timo; indian menta timo spagnolo; timo giamaicano. L’habitus della specie è quello di una erbacea perenne con lunghi steli erbacei fragili che strisciano sul terreno e che, nella coltivazione in vaso, vengono tenuti in alto legati a dei tutori; gli steli portano foglie carnose, tomentose su entrambi i lati, ampiamente ovate, con margine ondulato. 
I fiori, tipici delle labiate, sono di colore violaceo raggruppati in verticilli che formano spighe terminali.
Foglie e fiori emanano un persistente e forte odore di origano; le diverse parti della pianta possono essere utilizzate tritate finemente, fresche o essiccate, per aromatizzare zuppe di legumi o arrosti ma senza esagerare perché l’aroma è veramente forte e persistente. Mentre la specie si trova a proprio agio nel clima caldo e siccitoso teme il freddo e non tollera gelate a meno che non si coltivi in vaso al riparo di una veranda o in casa; la collocazione ideale in giardino è, invece,  negli angoli rocciosi o per rinsaldare muri di contenimento. Specie di scarse esigenze colturali  va periodicamente accorciata  per favorire un migliore sviluppo vegetativo utilizzando poi steli e foglie per effettuarne la propagazione.  Nelle zone dove la specie si è naturalizzata  ne sono molto apprezzate le proprietà medicinali: l'infuso in acqua calda delle parti aeree della pianta somministrato per via orale è usato in Asia per trattare asma e tosse cronica; in India le foglie hanno molte applicazioni nella preparazione di rimedi utilizzati per il trattamento di raffreddore, tosse e febbre nei bambini; studi farmacologici hanno, poi, dimostrato le proprietà antiepilettici del decotto delle sue foglie.
PS
Dopo tempo dal primo scritto ho cambiato la foto al post perchè la specie messa in origine non era Plectrantus amboinicus. Ora con un poco di esperienza in più sono sicura che la specie in foto è proprio quella giusta.
 

domenica 8 dicembre 2013

Claudio dei sedum

Non credo ci sia niente di più spartano nel grande mondo delle erbacee xerofite succulente di un genere come quello dei Sedum che comprende oltre 300 specie (ma alcuni esperti sostengono 600) presenti in tutti gli ambienti dell’emisfero boreale la dove le condizioni climatiche sono aspre, povere, difficili. Un genere vario che annovera specie annuali ma anche perenni, dai fiori vistosi ma anche piccolissimi, che vegeta sia ai tropici che nelle aree montane e temperate del nord Europa, in Medio Oriente e in Africa.
Dentro piccole fessure nella roccia i sedum di montagna tollerano inverni prolungati e forte intensità luminosa sviluppando una vegetazione bassa e prostrata che come il muschio forma cuscinetti appressati al suolo. Altri sedum, giù al meridione, si incuneano tra le pietre dei muretti a secco o tra le rocce laviche incoerenti sopravvivendo a condizioni estreme ma sfruttando ogni piccolo segnale di miglioramento termico ed idrico per ricoprirsi in un attimo di una minuta ma intensa fioritura.
Alcune specie, tra le tante presenti in natura, sono riuscite a fare il salto di qualità passando dalla vita randagia ai giardini dove sono considerate piante popolari perché, sebbene poco appariscenti, sono facili da coltivare e veramente di scarse esigenze colturali; piante per gli amanti dei giardini rocciosi o per la coltivazione in vaso ma che oggi sono sempre più richieste nelle sistemazioni del verde pensile o nelle pareti verticali dove la caparbietà dei sedum di vegetare e fiorire anche in situazioni disagiate costituisce una carta vincente per un intervento di sicuro successo tecnico. 
Sarà per questo motivo che molte aziende di settore hanno inserito nei loro cataloghi nuovi assortimenti varietali di sedum scoprendo forse solo oggi pregi e virtù di queste piante che pur non essendo vistose, costose ne difficili da coltivare presentano per molti estimatori un fascino discreto che le rende meritevoli delle attenzioni di appassionati collezionisti.
Uno dei più importanti esperti del genere Sedum in Italia, si chiama Claudio Bonetto e vive e lavora a Ciriè, vicino Torino dove ha realizzato un piccolo vivaio dedicato a questo genere di specie succulente. Claudio da cinque anni dedica il proprio tempo a studiare gli "adorati" sedum, girando per fiere e mostre di settore, fotografando le diverse specie nel loro ambiente naturale, archiviando, scambiando informazioni sui sedum, sempre in contatto con altri appassionati sparsi nel mondo per accrescere conoscenza e collezione.
Claudio, raccontaci come è nata la tua passione per i sedum.
Nel 2007 sull’onda della mia passione di collezionista di piante del genere Sedum ho creato un vivaio che ho chiamato “Floricoltura di Bonetto Claudio” ; non ero nuovo del settore perché dal 1988 avevo un’impresa di progettazione, costruzione e manutenzione di parchi e giardini ed ero quindi già inserito nel mondo del giardinaggio e visitando mostre e vivai, restai colpito da questa specie, dalle forme in miniatura, dai vari colori delle piante, dalla svariata gamma di fioriture che ogni varietà a se produce. Iniziai con l’acquistare alcuni vasetti per specie, cominciando a riprodurli per talea e ogni volta che visitavo una mostra o un vivaio facevo nuovi acquisti. Dove abito non avevo uno spazio sufficiente per contenere la mia collezione, quindi affittai un terreno, che è l’attuale vivaio, dove ho realizzato dei tunnel freddi per riparare d’inverno alcune specie più delicate e per lavorare al riparo. Nel mio vivaio ho voluto specializzarmi studiando, coltivando, scambiando e vendendo solo sedum e, considerando la vastità del genere, per ora coltivo e riproduco solo specie europee e asiatiche e alcune del Medio Oriente, scegliendo preferibilmente tra le specie perenni; per le specie messicane in futuro costruirò una serra calda. Ogni anno la mia collezione si arricchisce di una decina di nuove varietà ed in estate, spesso faccio viaggi sulle montagne italiane e francesi per fotografare e studiare i sedum nel loro habitat naturale. 
E tra le tante specie di sedum che possiedi ce n'è qualcuna che prediligi?
Sono affezionato ad alcune specie come ad esempio Sedum makinoi “Ogon” una pianta perenne nana, alta circa 5 cm., semisempreverde. Originaria del Giappone la varietà Ogon ha foglie di colore giallo-verde brillante, vigorosa, con steli striscianti e foglie spatolate, succulenti, lucide; produce nei mesi di luglio-agosto una profusione di fiori stellati di colore giallo.   Mi piace molto anche Sedum album “Coral Carpet”, una pianta perenne nana, alta circa 3 cm, di origine europea. Coral Carpet è una varietà a portamento estremamente compatto con minuscole foglie globose di colore verde scuro, che diventano completamente rossastre in un terreno povero e in condizioni asciutte e assolate. Produce nei mesi di maggio-giugno fiori stellati di colore bianco. È un’eccellente tappezzante, calpestabile.
So che stai scrivendo un libro sui sedum:
L’unico libro recente, in inglese, esistente sul genere è “Sedum – Cultivated Stonecrops”, dell’amico Ray Stephenson, edito, tuttavia, nel 1994; il libro è oramai in parte superato perché in questi 20 anni sono state scoperte specie e varietà nuove. Per aggiornare le conoscenze rivolgendomi ad un pubblico di appassionati in Italia, dal 2010 ho iniziato a lavorare alla stesura di un mio libro, una pubblicazione per far conoscere e avvicinare al genere Sedum tutti gli amanti del verde corredando la descrizione di specie e varietà con foto a colori; spero che in primavera possa essere, finalmente in commercio.

Quali sono le ultime acquisizioni o le varietà che rendono preziosa la tua collezione? Sono molto interessato alle forme crestate di alcune varietà conosciute; nel libro di Stephenson è citato solo Sedum rupestre f. Crestatum, ma in realtà due anni fa una mia collaboratrice ha individuato una forma di Sedum lydium glaucum f. Crestatum e questa primavera ne abbiamo individuato un’altra di Sedum album “Coral Carpet” f. Crestatum.
Queste crestature sono provocate da virosi che colpiscono le piante provocando una malformazione che è possibile mantenere riproducendo la pianta per talea; secondo quanto scritto da Stephenson nel suo libro, le crestature sarebbero comparse per la prima volta su piante del genere sedum , dopo la dispersione di radiazioni nucleari provenienti da Cernobil e anche quelle da me individuate potrebbero essere attribuite all’incidente occorso circa tre anni fa alla centrale nucleare presente nella Francia meridionale.
Che consigli vorresti dare a chi volesse cominciare una piccola collezione di sedum in vaso?
I sedum sono un genere che non ha bisogno di cure particolari; si possono abbandonare per lunghi periodi di tempo anche nei mesi estivi e non moriranno mai, anzi se le piante sono messe in uno stato di semi-sofferenza, innaffiando poco, produrranno molti più fiori. Collezionarle e facile anche per chi ha poco spazio perché vivono perfettamente in vaso. 
 
Qualche consiglio invece per le specie da utilizzare in giardino?
Le specie di sedum da coltivare in giardino sono molte come ad esempio Sedum telephium e Sedum spectabile;  sono specie che hanno altezze che variano dai 50 cm fino al metro di altezza e sono usate  spesso per fondali o per formare aiuole; hanno foglie caduche e quindi in inverno spariscono lasciando sul terreno delle rosette basali che ripartiranno in primavera formando i rami della pianta nuova. Hanno quasi tutti infiorescenze formate da cime appiattite o sferiche di fiori che variano dal bianco, al rosa al rosso, secondo la specie e la varietà della pianta. Fioriscono, in genere da agosto fino a ottobre a seconda della varietà. La cosa principale per coltivare i sedum nel proprio giardino è controllare che il terreno sia molto ben drenato, in aiuto si può usare della pomice a grana di media grandezza mischiata al terreno. Non hanno bisogno di cure particolari.
 
Considerando la mia  scarsa propensione ad accudire le piante penso finalmente di avere trovato, con i sedum,  il genere più adatto alle mie capacità.
 POST SCRIPTUM
Claudio è venuto a mancare nell'ottobre del 2017
 

giovedì 28 novembre 2013

Naveline, arance al femminile

Pregusto già l’arrivo delle prime arance che a giorni riempiranno le bancarelle del mercato e gli angoli delle strade. Sono le arance dorate della varietà “Navelina” dalla polpa bionda, dolce e croccante; arance californiane arrivate in Spagna negli anni 30 e poi da noi in Sicilia dove hanno trovato, in alcune aree dell’isola una nuova terra di conquista. 
 
Gli spagnoli, al suo arrivo, chiamarono la cultivar “Navelina” perché l’albero era di taglia più piccola rispetto alla varietà tipo ”Washington navel”;  in Sicilia nel tempo il nome è stato storpiato in  “novellina”  o anche  in“novellini”  per dire che i frutti sono precoci essendo questa arancia la prima  a comparire sul mercato.
Non lo posso dire troppo forte che a me piacciono le naveline perché queste arance per molti siciliani (e per mio marito in particolare) non sono le "vere arance”. Si,  sono succose, croccanti e dolci e non hanno semi ma, vuoi mettere un buon tarocco dal succo rosso che macchia il piatto ed ha un sapore pieno, agro ed aromatico? Le naveline sono arance gentili  e penso che abbiano una particolare “affinità con il genere femminile”; sarà per quel piccolo frutticino che cresce nascosto all’interno del frutto principale e la cui presenza è rivelata all’esterno dall’ombelico o navel, una piccola apertura presente all’apice dell’arancia.
E’ un fenomeno di sincarpia caratteristico di tutte le varietà del gruppo dei Navel ( Navelina, Whashington navel, Navelate) , cioè la formazione di un secondo frutto abortito all’interno di quello principale, derivante da una seconda serie di carpelli. 
A me il frutticino delle arance Navel piace molto e ne pregusto già il sapore aromatico e succoso mentre vado sbucciando il frutto principale, ma non tutti riescono a mangiarlo: ad una mia amica, ad esempio, fa molta impressione e mi guarda sempre con grande riprovazione: "Ma non hai compassione? Come puoi mangiare senza esitazione  il “figlioletto abortito dell’arancia?"
 
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