lunedì 24 febbraio 2014

Soluzione Quiz tropicale

  1. Ceiba insignis sin. Chorisia insignis
  2. Passiflora edulis
  3. Persea americana (avocado)
  4. Aristolochia gigantea
  5. Cycas revoluta
  6. Phoenix dactilyfera
  7. Sapindus mukorossi
  8. Physalis alchekengi
  9. Cerbera manghas
  10. Mansoa alliacea
Per i numeri 9 e 10 devo fare atto di costrizione confessando che, al momento della pubblicazione del quiz, non conoscevo il nome delle relative specie;  poi grazie al gruppo FB  "Le piante tropicali e sub tropicali" sono riuscita ad identificarle. Il numero 9 è il frutto di Cerbera manghas, un piccolo alberello tropicale; il n. 10 è stato a lungo incerto ma alla fine l'identificazione è avvenuta grazie a Fabio Maio del vivaio Piante tropicali di Barcellona P.G. (Me) che non ha avuto dubbio nel riconoscere nel baccello in questione il frutto di Mansoa alliacea. Il gioco ora è veramente chiuso.

La misteriosa ultima specie  che è stata a lungo senza nome è..
Mansoa alliacea
 

giovedì 20 febbraio 2014

Son tornate a fiorire le fresie

Tra la terra dei vasi ne vedo spuntare le foglie appuntite che è già fine agosto; in dicembre son ciuffi di erbe scomposte che pioggia e mal tempo hanno fatto in parte appassire e quando penso che così malandate sono oramai destinate a morire, al tiepido sole di fine febbraio, le vedo fiorire. 
La fresia è tra i primi fiori di specie bulbosa che insieme al mandorlo e alla gialla mimosa annuncia a chi vive nelle terre del sole che l’ effimero inverno è passato. Ne raccolgo nei vasi mazzetti che porto a papà; al più sono bianche talvolta son gialle ed in acqua emanano un lieve sentore che al solo annusarlo ho una fitta nel cuore pensando che lui non c’è più.
Freesia alba è una iridacea di origine sud africana che faceva belli i giardini semplici di una volta; ciuffi vagabondi di foglie appiattite simili a spade, sovrapposte alla base, sparsi nel prato o in vasi ad altro destinati che negli ultimi mesi d’inverno dal cespo di foglie, emettono scapi fiorali sottili, più alti del cespo stesso, spesso ricurvi, che portano in cima una spiga di fiori rivolti all’insù, disposti su corti peduncoli.
I fiori sono di colore bianco-crema con sfumature violacee esterne e gola gialla e hanno un gradevole, intenso profumo.
Se di un cespo ne vuoi fare la moltiplicazione usando i bulbilli non c’è ragione; la propagazione con questo sistema è molto difficile. L’unico modo per riprodurla con buone possibilità di successo è attraverso i semi che piccolissimi e neri sono contenuti dentro capsule, secche in estate.
 
Papà le raccoglieva girando tra i vasi e rompendole tra le dita ne distribuiva i semi a casaccio ed i suoi vasi ancora oggi traboccano di piccole fresie che dopo una lunga e copiosa fioritura, al primo vero caldo dell’estate, disseccano e spariscono alla vista rimanendo quiescenti nel terreno all’interno di un bulbo allungato.
A livello commerciale sono molto comuni le fresie ibride dai colori sgargianti che vanno dal giallo al rosso-porpora, dal blu al violetto, talvolta a fiore doppio, che durano lo spazio di una stagione. La produzione di fresie ibride da utilizzare come fiore reciso è un’attività agricola che ha una certa dignità economica ed i mazzetti di fresie acquistati al mercato sono allegri e variegati ma non fanno nessun odore.
Niente a che vedere con le piccole e profumate fresie di papà.
 
 

domenica 16 febbraio 2014

Coffea arabica, dalla pianta al caffè

“Caa-ffè, caffè” gridava il ragazzo del bar all’arrivo del treno in stazione, tra stridore di freni e nuvole di vapore; “caa-ffè, caffè” lo si sentiva cantilenare mentre con il vassoio in mano fendeva la folla intenta a salutare: “ Hai fatto buon viaggio?” o: “Quando arrivi, chiama”; e bisognava sporgersi dal finestrino per farsi notare, sventolando la mano e urlare per farlo avvicinare e riuscire così a conquistare, soldi alla mano, uno dei pochi diversivi del lungo e noioso viaggio che da Catania mi portava su fino a Trieste e poi ancora, in autobus, oltre cortina, in Jugoslavia, fino al paesino istriano di Lovran dove mia nonna abitava.
Era la fine degli anni 70 ed allora i grandi spostamenti si facevano in treno; un lungo viaggio per una breve vacanza; un esercizio di infinita pazienza su di un treno a cuccette di seconda classe dove non c’era altro da fare che leggere, dormire o chiacchierare. Niente tecnologia, allora, no voli a prezzi stracciati ne web, ne ipad. 
"Caa-ffè- caffè", la voce mi cantilena in testa ogni qual volta mi trovo al cospetto di un qualche esemplare di Coffea arabica, specie presente in molti Orti Botanici dove, al riparo di accoglienti serre, la specie riesce a fruttificare anche in ambiente mediterraneo.
Il primo esemplare l’ho incontrato all’interno della Serra Carolina presso l’Orto Botanico di Palermo, poi all’Orto di Padova, a Firenze all’Istituto d’Oltremare ed ora anche nella nuova serra dell’Orto Botanico di Catania. La pianta del caffè si presenta come un piccolo alberello sempreverde a foglie grandi, di un verde brillante, sorrette da brevi piccioli. 
I fiori, bianchi e profumati producono bacche di colore rosso, a maturità, che racchiudono due semi (chicchi) con la faccia dorsale convessa e quella ventrale piana. I chicchi verdi sono inodore e solo dopo che è avvenuta la torrefazione si sprigiona da essi il caratteristico profumo. 
Il principio attivo in essi contenuto è la “caffeina” sostanza che ha reso il caffè un prodotto commerciale di notevole importanza. Le innumerevoli qualità di caffè si distinguono tra loro per colore ed aroma le cui differenze dipendono da molteplici fattori come la provenienza geografica, la ricchezza del suolo, il clima, la diversa specie o la modalità di torrefazione.
Coffea arabica è originaria dell’ Abissinia da dove si è diffusa in varie regioni africane ed in Arabia, per passare poi in vari paesi dell’America centro-meridionale (Brasile, Colombia, Messico), divenuti oggi i maggiori produttori del mondo. La pianta del caffè venne introdotta in Europa nel 1576 grazie al medico e botanico tedesco Rauwolf e ben presto divenne una delle essenze più comuni del Vecchio Mondo anche se l’uso della bevanda eccitante fu aspramente contestata inizialmente dai medici e dalla Chiesa. 
La specie predilige condizioni climatiche caldo umide senza periodi freddi e può essere  coltivata facilmente in vaso utilizzando terriccio fertile, ricco di sostanza organica, ben drenato, tendenzialmente acido; preferisce un' ombra parziale, soprattutto nella fase giovanile della crescita, tanto che nelle coltivazioni in piena terra gli arbusti del caffè vengono tenuti inizialmente sotto altre piante come le Erythrine che assicurano una adeguata protezione dal sole. 
Oggi è facile trovare presso garden center o ipermercati piantine di Coffea arabica in vaso, commercializzate come piante d’appartamento. Io ne ho due piccole in balcone in una zona dove non batte direttamente il sole; sono piante gradevoli con il fogliame di un lucido brillante ed hanno il pregio che se stanno male te lo fanno capire perché le foglie inferiori del fusto cadono subito al minimo accenno di sofferenza. Spero che crescendo arriveranno a fiorire e allora chissà se...: "Caa-fè, caffè!"

sabato 8 febbraio 2014

Pummelo, un agrume extra large

Tipi da Orto
Se il nome botanico del pummelo è Citrus maxima o anche Citrus grandis non è certo per caso; le dimensioni di questo agrume sono, infatti, oversize rispetto a quelle di tutte le altre specie appartenenti al genere Citrus.
Citrus grandis pyriformis a confronto con pompelmo ed arancia
L'albero di pummelo è, ad esempio, molto più grande di un qualunque altro agrume, potendo raggiungere, nelle regioni asiatiche d’origine anche 15 metri d’altezza con un’ampia e fitta chioma; le  foglie sono larghe, ovali o ellittiche, pelose lungo le nervature della pagina inferiore e caratterizzate dal possedere un picciolo alato, a forma di cuore rovesciato.
Sito di reperimento
I fiori sono anch’essi molto grandi, con petali bianchi o crema e con il peduncolo fiorale e anche l’ovario ricoperti da una leggera peluria.
Ma è certamente dalle dimensioni del frutto che si comprende il motivo dell’attribuzione specifica.
I frutti, infatti, di forma sferica, ovali o piriformi, leggermente schiacciati alle estremità, hanno un diametro medio di 10-20 cm, che arriva, talvolta, anche a 30 cm per singolo frutto, con un peso fino a 6 kg. Il pummelo ha una buccia del frutto molto spessa, di colore giallo o arancio pallido che ricopre grossi spicchi avvolti da una spessa pellicola non commestibile. La polpa molto succosa è gialla o rosa, aspra ed amara, con grandi semi schiacciati e a forma di cuneo.


Come molti agrumi l’origine della specie è asiatica anche se per l’individuazione dell’area di origine esistono pareri discordanti. La maggior parte degli studiosi ritiene possa provenire dall’area malese e dalla Nuova Guinea, ma anche la Polinesia viene ritenuta una possibile zona di provenienza; da queste regioni il pummelo sarebbe poi giunto per mano dell’uomo in India, Thailandia ed in Cina. I popoli anglosassoni chiamano la specie "shaddok” per ricordare il Capitano scozzese Shaddok che la introdusse alle isole Barbados alla fine del XVII secolo, a dimostrazione di quanto la specie abbia viaggiato.
In Asia il pummelo è un frutto molto apprezzato che viene mangiato dopo avere tolto la spessa membrana che avvolge gli spicchi, che è coriacea e non commestibile; come per tutti gli agrumi  con la polpa se ne preparano conserve e la  spessa buccia viene candita.
E’ tradizione in occasione del Capodanno cinese regalare pummeli sui quali vengono scritte frasi augurali.

Nel Bacino del Mediterraneo questo agrume non è molto diffuso e spesso i frutti che si trovano in commercio con il nome di pummeli sono in realtà pompelmi (Citrus x paradisi) o pomeli, un incrocio ottenuto in Israele tra il pummelo e il pompelmo (Citrus grandis x Citrus x paradisi), con frutti che hanno grandezza media tra pummelo e pompelmo.
Esiste anche una varietà di pummelo a frutto più piccolo e con un muso pronunciato denominata Citrus grandis cv pyriformis.

Nell’ambito degli agrumi il pummelo è un “Tipo da Orto”, una curiosità, una stravaganza ornamentale perché come frutto proprio non ci siamo; la polpa ha un gusto decisamente “estremo” aspra ed amara insieme, non adatta ad un palato mediterraneo.

Ne ho trovato un esemplare all’Orto Botanico di Palermo e le relative informazioni sono tratte da un cartello esplicativo esposto all’Orto in occasione della mostra: Promoagrumi Sicilia (22-28 ottobre 2012), che esponeva pannelli dedicati alle singole specie.

martedì 4 febbraio 2014

A Lucca per VerdeMura 2014

"A Mosca, a Mosca",  mi verrebbe di declamare insieme alle tre malinconiche sorelle di Cechov; o meglio: a Lucca, a Lucca vorrei urlare per come disperatamente mi sento emarginata dal giro che conta, dai luoghi e dalle manifestazioni che, per il verde ornamentale, dettano le tendenze e danno le indicazioni su dove andrà la produzione, la progettazione, il sentire “verde” in Italia e altrove.
In questo fondo di stivale dove mi tocca abitare, in questa Sicilia dove tutti gli appassionati di verde vorrebbero vivere o solo venire perché tutto viene bene, l’esotico, il tropicale e anche l’usuale, non succede mai niente di “culturalmente” interessante; niente di stimolante o di coinvolgente. Gli eccessivi costi di trasferimento, la crisi, la scarsa propensione all’acquisto del pubblico isolano hanno fatto naufragare in Sicilia anche quelle poche iniziative benemerite, organizzate in proprio da volenterosi vivaisti che, di fronte a spese non compensate da pur minimi ricavi, hanno dovuto chiudere i battenti.
Ed ecco allora: a Lucca, a Lucca ho voglia di andare perché proprio oggi ho ricevuto il primo comunicato stampa che annuncia l’organizzazione della manifestazione VerdeMura 2014 che si svolgerà nei giorni dal 4 al 6 di aprile; un anticipo primaverile della più blasonata manifestazione lucchese Murabilia che si svolge in settembre; ma anche VerdeMura con i suoi centocinquanta espositori dislocati sulle antiche mura lucchesi, promette idee e conoscenza. Si parlerà, ad esempio di camelie che anche qui da noi, in Sicilia, vengono bene ma che per scarsa dimestichezza culturale sono spesso indicate con il semplice colore del fiore: la rossa, la variegata, la bianca.


 
Quanto darei per riuscire a sciorinare nome cognome e patronimico di ogni camelia che incontro. Ed a Lucca, nell’ambito della Mostra Mercato del Giardinaggio, verrà organizzata la tradizionale esposizione delle camelie provenienti dai giardini e dalle coltivazioni della Lucchesia e verranno presentate tre nuove varietà create da Andrea Antongiovanni del vivaio Rhododendron, specializzato in rodedendri ed acidofile in genere.
Camellia sp.‘ Bella di Lucca’: cultivar di media stagione, a fiore doppio piccolo, rosso vivo con listature bianche al centro dei petali, dedicata ai 500 anni del monumento più rappresentativo della città.  
Camellia sp. ‘Francesca Marzotto Caotorta’, cultivar a fiore doppio, di media stagione, di colore bianco solo leggermente soffuso di rosa, dedicata alla nota paesaggista e giornalista, presidente della sezione italiana della International Camellia Society.
Camellia sp. ‘Emanuela Rosa Clot’, cultivar di media stagione a fiore doppio irregolare, con petali di un colore rosa carico, dedicata alla giornalista piemontese, figura di spicco nella conoscenza e divulgazione dei giardini e delle piante italiane.
Vuoi mettere la soddisfazione di sentire parlare a questi livelli di camelie?
Ma forse non basterà un viaggio a Lucca da programmare, perché di un vero e proprio viaggio si deve parlare, per placare il senso di inadeguatezza e di insoddisfazione culturale che oggi, ricevendo il comunicato ufficiale, ho sentito di provare. 


P.S.
6 febbraio 2014
Ho avuto modo di parlare con gli organizzatori dell’evento primaverile Ciuriciuri che mi hanno confermato che anche quest’anno, nonostante le difficoltà, sono riusciti ad organizzare la Mostra mercato di Valverde (Ct) che si svolgerà nei giorni del 5 e 6 aprile, coincidente, dunque, con la manifestazione VerdeMura di Lucca e chissà con quant'altro ancora. E dunque, delle due, una.
P:S
Niente da fare; per mancanza di ospiti esterni la manifestazione Ciuriciuri  non si farà.
PS
Ciuriciuri si farà ma sotto forma di una manifestazione culturale sulle tematiche del verde urbano
 

sabato 1 febbraio 2014

Nicola fa il sapone con il metodo a freddo

Sapone Ficopala
Nicola è un appassionato cultore di tutto ciò che può essere realizzato con le mani creando oggetti utili ed altri strani come è possibile vedere sul suo sito tutto e ogni cosa; fra le tante "cose" che Nicola sa fare c’è il sapone che può essere prodotto artigianalmente anche a casa praticando solo un poco di attenzione. In un precedente post Nicola ci ha spiegato la tecnica di saponificazione a caldo, oggi ci descrive la tecnica a freddo, più semplice e facile da effettuare ma che presenta l’ inconveniente di non consentire l’uso immediato del sapone che dovrà decantare per almeno quattro settimane prima di essere utilizzato. Per dare un tocco di originalità al sapone ed una più intensa colorazione verde, Nicola ha usato la polpa delle pale del ficodindia, frullate e ridotte ad un composto acquoso.  
Ingredienti
1000 gr di olio d’oliva
134 gr di soda caustica
300 gr di polpa di pala di ficodindia
tagliata a pezzi (spine comprese) e frullata
 
In un recipiente di plastica o di vetro (evitare i recipienti di metallo) si versa la quantità stabilita di acqua di pala alla quale va aggiunta con grande cautela la soda caustica (vietato fare al contrario), coprendosi gli occhi con occhiali protettivi e senza respirare i fumi che si producono. Questa miscela, che si chiama liscivia, nel corso della reazione raggiunge temperature di 70-80 gradi; si fa raffreddare il composto sino a raggiungere la temperatura di 40° circa misurandola con un termometro specifico. 
 
A questo punto si fa scaldare l’olio mettendolo sul fuoco dentro una pentola di acciaio abbastanza capiente; anche in questo caso la temperatura a cui fermarsi misurando con un termometro specifico è di circa 40°.
Quando i due composti avranno grosso modo la stessa temperatura nella pentola dell’olio si comincia a versare lentamente la liscivia mescolando con un cucchiaio di legno.
 
La durata di questa operazione è variabile in funzione della qualità degli oli e delle temperature. Man mano che si mescola il composto comincia ad addensarsi fino ad un punto che viene chiamato nastro, quando  cioè il composto comincia ad attaccarsi sul cucchiaio. Non appena si forma il nastro e solo in quel momento si possono aggiungere piccole quantità di oli essenziali a piacere o altri ingredienti (talco) che si rimescolano velocemente.Quando si sarà raggiunta la giusta consistenza il composto ottenuto viene versato in contenitori o formelle di plastica, silicone, o legno, magari protetto da carta frigo; non vanno assolutamente utilizzati contenitori in alluminio che verrebbe corroso dalla soluzione caustica e che genera fumi tossici altamente pericolosi.  
Nicola, per questa preparazione ha voluto utilizzare un sacco tubolare di plastica tenuto rigido da una base di legno.Dopo 1 o 2 giorni il sapone si sforma, si taglia e si lascia riposare.
Il sapone potrà essere utilizzato dopo circa un mese perché deve perdere naturalmente l’eccesso di alcalinità dovuto all’uso della soda caustica.


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